risorse umane

Quale ruolo per i Cio nella PA, dopo il nuovo Cad

Le competenze e abilità del “Manager dell’innovazione” devono essere non solo tecniche ma anche gestionali e organizzative, in modo da coniugare la digitalizzazione con il miglioramento dei processi

Pubblicato il 23 Mar 2016

Patrizia Saggini

avvocata, esperta di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione

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Da un po’ di tempo si sente parlare di un ruolo che diventa sempre più importante nel mondo delle imprese: mi riferisco al CIO – Chief Information Officer – cioè il Responsabile dei Sistemi informativi aziendali.

Il ruolo del CIO sta rapidamente cambiando: secondo una ricerca di KPMG, “se i CIO italiani sono consapevoli della necessità di riconfigurare il loro ruolo e di posizionarsi su un livello più strategico (lo pensa il 78% degli intervistati), la maggioranza di loro sembra meno propensa ad aprirsi all’inserimento nel loro team di figure manageriali innovative come il Chief Digital Officer, denotando in questa ottica un atteggiamento piuttosto conservativo.”

C’è un ruolo analogo all’interno della Pubblica Amministrazione?

Per dare una risposta, occorre in primo luogo definire i confini delle competenze di questa figura: sicuramente sia nelle grandi Amministrazioni e anche in quelle di minori dimensioni da tempo c’è la necessità di avere uno staff o almeno una persona (nelle realtà di minori dimensioni) – all’interno o all’esterno – che si occupi della gestione dei sistemi informatici.
Addirittura un po’ di tempo fa una legge (D.L. 31.5.2010, n. 78, art. 14 comma 28) ha espressamente previsto per i Comuni più piccoli l’obbligo di gestire in forma associata questo tipo di servizio, con l’obiettivo di avere economie di scala e ottimizzazione nella gestione dei sistemi: in realtà, l’obbligo non è stato poi rispettato in modo uniforme, complice la complessità della più vasta problematica delle associazioni ed unioni dei Comuni piccoli.

Ora sul punto del “Manager dell’Innovazione” è intervenuto anche il nuovo CAD: l’art. 17 tratta delle “Strutture per l’organizzazione, l’innovazione e le tecnologie”; rispetto alla versione attualmente in vigore, le modifiche riguardano sostanzialmente questi aspetti:

  • Il “Responsabile della transizione digitale” deve garantire “l’attuazione delle linee strategiche per la riorganizzazione e la digitalizzazione dell’amministrazione definite dal Governo in coerenza con le regole tecniche“ e deve essere presente in ogni Amministrazione, mentre nel testo precedente era previsto solo per le Amministrazioni dello Stato;

  • in secondo luogo, gli si affida anche il compito di “difensore civico digitale”, ma vedremo poco più avanti i dubbi su questo ruolo.

La definizione del ruolo di questa figura comporta una riflessione a priori di che cosa si intende per “innovazione” in senso lato: occorre chiarire infatti, se si tratta solo di aspetti tecnologici o anche di tutto ciò che ad esso è collegato dal punto di vista organizzativo e gestionale; da qui, discenderanno dettagli più chiari in merito alle competenze e alle abilità che questa persona dovrebbe avere, per portare a termine con successo i progetti che gli sono affidati.

Ovviamente nel 2016 – a differenza di quanto poteva accadere vent’anni fa, quando avere un PC in ogni scrivania poteva già considerarsi un successo – non si può più pensare che il ruolo della digitalizzazione sia strettamente tecnologico.

E’ sotto gli occhi di tutti che l’innovazione di cui abbiamo più bisogno riguarda non solo i singoli progetti, ma soprattutto i processi; la digitalizzazione non può consistere nella riproposizione delle stesse prassi utilizzate con la carta, ma deve spingersi più in là creando semplificazioni e reingegnerizzazioni che portino effettivi benefici ai cittadini e agli operatori della PA.

Quindi la figura del CIO nella PA deve essere trasversale a tutta l’organizzazione, con un forte mandato politico e della direzione generale, in modo da poter agire su tutti gli uffici e le aree dell’ente; di conseguenza, renderebbe necessaria anche una revisione dell’organizzazione, inserendo questa figura in una posizione di staff, ad un livello superiore rispetto agli altri uffici.
Infatti al comma 1 ter dell’art. 17 nella nuova versione si legge che “Il responsabile dell’ufficio è dotato di adeguate competenze tecnologiche e risponde con riferimento ai compiti relativi alla transizione alla modalità digitale direttamente all’organo di vertice politico.”

Dal disegno del ruolo discendono poi le competenze: saranno necessarie le “digital skills”, intendendo con questo termine sia le competenze tecniche (informatiche o di sistemi informativi) ma anche competenze di livello più alto, non necessariamente di tipo tecnico.
Saranno invece indispensabili le competenze organizzative, le competenze gestionali e le competenze di gestione delle persone e dei gruppi, oltre al problem solving e alla leadership.

Ad esempio, uno dei compiti previsti riguarda la “pianificazione e coordinamento del processo di diffusione, all’interno dell’amministrazione, dei sistemi di posta elettronica, protocollo informatico, firma digitale e mandato informatico, e delle norme in materia di accessibilità e fruibilità.”: progetti di questo tipo non hanno contenuti esclusivamente di tipo tecnologico, ma incidono fortemente sulla dematerializzazione e gestione dei documenti, oltre che sui processi di lavoro, e quindi vanno affrontati prevalentemente dal punto di vista organizzativo.

Qualcuno potrebbe obiettare che questo è il ritratto di un “extraterrestre”, ma è anche vero che la normativa gli affida niente meno che “la transizione alla modalità operativa digitale e i conseguenti processi di riorganizzazione finalizzati alla realizzazione di un’amministrazione digitale e aperta, di servizi facilmente utilizzabili e di qualità, attraverso una maggiore efficienza ed economicità.”

I grandi cambiamenti – come appunto tutto ciò che rientra nel concetto di innovazione – non si fanno solo “per decreto”: la base normativa è assolutamente fondamentale, ma costituisce un punto di partenza, da cui poi occorre iniziare per capire nella singola organizzazione quale è la soluzione giusta in termini di software e hardware, e soprattutto per trasferire le competenze al personale, in modo che l’innovazione non sia “subita” ma “agita”: in un mondo perfetto, ciascun operatore della PA può essere un “agente del cambiamento”, se non si limita solo ad eseguire nuove procedure, ma collabora attivamente anche con proposte e suggerimenti.

Il fatto che l’art. 17 del CAD nella nuova versione si riferisca a tutte le Amministrazioni è un fatto positivo, perchè può essere letto come un riconoscimento del fatto che in tutti gli enti della PA è necessario procedere con l’attuazione dei progetti di digitalizzazione; ma, dall’altro lato, comporta anche dei problemi, soprattutto negli enti di più piccole dimensioni, come ad esempio gli enti locali.

Su un totale di circa 8.000 Comuni, il 70% ha meno di 5.000 abitanti, quindi con una dotazione di personale nettamente insufficiente per rispettare la previsione normativa, sia in termini numerici che soprattutto di competenze.

E quindi cosa succede in questi casi?

Secondo alcuni, l’unica soluzione è ancora una volta la gestione associata dei sistemi informativi, a livello di Associazione e/o Unione; ma occorre anche tenere presente che per una vera innovazione che porti reali benefici alle Amministrazioni, bisogna saper cambiare anche le organizzazioni, e per questo non sempre i servizi associati sono nella posizione giusta: infatti, anche se la gestione è unica, l’organizzazione dei servizi specifici rimane in capo ai singoli Comuni, e quindi diventa pressocchè impossibile uniformare o cambiare dei processi; per questo, una condizione imprescindibile diventa il mandato politico di tutti i Sindaci che fanno parte dell’Associazione/Unione a sostegno dei progetti di digitalizzazione, senza cui si rischia di non poter raggiungere i risultati sperati.

Da ultimo, il nuovo art. 17 affida al Responsabile anche il ruolo di “difensore civico digitale, e a lui i cittadini e le imprese possono inviare segnalazioni e reclami relativi ad ogni presunta violazione del presente Codice e di ogni altra norma in materia di digitalizzazione ed innovazione della pubblica amministrazione.”

La norme non sembra del tutto coerente: la figura del difensore civico dovrebbe essere in qualche modo “esterna” rispetto all’organizzazione, e invece in questo caso coincide proprio con la figura di colui al quale è affidata la responsabilità della transizione digitale.

Un altro aspetto che non è in alcun modo stato considerato – non solo dal CAD ma in generale dalle normative recenti – è che l’innovazione non si fa senza risorse economiche…

Anche in tempi di spending review si dovrebbe essere consapevoli che le risorse spese bene portano ad un aumento di efficienza ed efficacia, e anche nella Pubblica Amministrazione bisognerebbe iniziare a calcolare il ROI – Ritorno sull’Investimento, in modo da misurare con dati certi il valore economico e sociale generato dall’innovazione.

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