Open data

Dati geografici, il pubblico se li tiene per sé

Si è arrestato il fenomeno open data. Ministeri ed enti vari custodiscono gelosamente i propri dati territoriali, impedendo a utenti e ad aziende di utilizzarli con profitto

Pubblicato il 20 Feb 2014

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I dati geografici sono, senza ombra di dubbio, i dati più richiesti e scaricati in assoluto. Non parliamo solo di cartografia topografica e tematica, stradari, immagini da satellite e modelli tridimensionali del terreno, ma anche di anagrafiche di oggetti (scuole, ospedali, uffici pubblici, esercizi commerciali, hotspot, ecc.) localizzati sul territorio attraverso una coppia di coordinate geografiche. Utilizzando infatti uno stradario ed un’operazione detta “di geocoding”, tutti gli indirizzi stradali possono essere trasformati in coordinate geografiche. Poi ci sono quelle informazioni che possono essere localizzate sul territorio associando le coordinate acquisite via GPS. Ormai chiunque di noi si può trasformare in un produttore di dati geografici utilizzando uno smartphone dotato di GPS. Sui social network è consueto oggi postare foto, commenti, video, associati ad una posizione geografica su una mappa. Anche questi sono considerati a tutti gli effetti dati geografici.

Ma torniamo ai dati geografici del primo tipo, cioè quelli per così dire più complessi, ed alla loro disponibilità con licenze aperte.

Nel 2011, quando è decollato l’Open Data in Italia – lanciato dalla Regione Piemonte e poi a seguire dall’Istat, dalla Regione Emilia Romagna, dalla Regione Veneto, dal Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca e dal Ministero della Salute – sembrava un processo rapido e inarrestabile. Ma la crescita esponenziale è durata poco. Dopo il 2012, ricco di eventi significativi, è iniziata una parabola discendente. Nonostante il Decreto Crescita 2.0, trasformato in legge alla fine dello stesso anno, che ha dedicato un intero articolo all’apertura dei dati della Pubblica Amministrazione, complice la crisi e la spending review, gli Enti hanno tirato i remi in barca ed il processo ha assunto un andamento lento e svogliato.

In questa fase di deflusso si sono apprezzati maggiormente quei politici, dirigenti e funzionari illuminati che si sono avviati sulla strada dell’Open Data guardando non solo alla trasparenze e alla semplificazione delle pratiche amministrative ma anche all’economia che tali dati potrebbero aiutare a muovere. Recentemente è cresciuto il numero dei Comuni che hanno pubblicato dati geografici open (Matera, Ferrara, Cesena, ecc.), mentre è praticamente fermo il numero di Enti Centrali dello Stato. Le resistenze, soprattutto fra questi, sono ancora molte. Ad esempio il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che gestisce il Geoportale Nazionale ricco di dati geografici, dichiara termini di utilizzo molto lontani dalle licenze open; il Ministero delle Politiche Agricole, se da un lato pubblica in modalità aperta e scaricabile alcune tabelle di dati, dall’altro tiene chiuse e inaccessibili le coperture di ortofoto d’Italia bianco/nero e a colori acquisite dal 1996 ad oggi; l’Istituto Geografico Militare del Ministero della Difesa custodisce gelosamente (ma vende anche a caro prezzo) i grigliati, molto noti agli addetti ai lavori, necessari per le conversioni fra sistemi di coordinate diversi (problema ricorrente in Italia in quanto abbiamo dati geografici in quattro sistemi di coordinate differenti).

Possiamo citare ancora un caso di assente eccellente: l’Agenzia delle Entrate che ha assorbito l’Agenzia del Territorio ed ha sancito questo atto con una Legge che istituisce nuovamente il balzello sulla visura catastale. Dopo decine di milioni di euro di investimenti in progetti (vedi ad esempio il progetto SIGMA TER finanziato per più di 24 milioni di euro) che prevedevano la diffusione del dato catastale agli enti locali ed ai cittadini, l’Agenzia si riappropria del dato e impone agli enti che già avevano pubblicato il dato sui propri siti di non consentire l’accesso ai privati. Ma i cittadini delle Province autonome sono più fortunati. Ad esempio la Provincia di Trento che gestisce in proprio il catasto, ha pubblicato la cartografia catastale con licenza aperta.

Queste le situazioni più eclatanti, ma anche i dataset già disponibili con licenza aperta non sono esenti da problemi che ne limitano fortemente il riuso. Ad esempio, nelle sezioni open e nei portali dedicati degli Enti sono disponibili diversi dataset che riportano la stessa denominazione ma che si presentano con modelli differenti. Se scarichiamo ad esempio i dataset comunemente chiamati stradari e li confrontiamo fra loro, noteremo modelli e contenuti sostanzialmente diversi: elenchi alfanumerici di strade e numeri civici, grafi stradali con la toponomastica organizzata nei modi più disparati, numeri civici associati agli isolati come intervalli (numero di inizio e fine per lato strada) oppure localizzati puntualmente, ecc.

Anche la situazione della cartografia topografica, basilare per comprendere il territorio, è presente nelle varie regioni con modelli diversi: nei casi migliori hanno prodotto i dati secondo lo standard definito dal D.M. 10/11/2011, che però ha avuto durante la sua lunga gestazione, durata più di un decennio, varie e differenti versioni. La disponibilità in open dei cosiddetti database geotopografici, oltre ad essere al momento limitata ad alcune regioni, presenta una varietà non indifferente di modelli, alcuni dei quali anche dichiaratamente personalizzati.

E’ comprensibile in questa situazione la perplessità e l’esitazione da parte di sviluppatori ed aziende a realizzare applicazioni che, pur utilizzando la stessa tipologia di dato geografico, risultano difficilmente adattabili ai diversi modelli e strutture disponibili per le varie Regioni e per i diversi Comuni d’Italia. Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, le applicazioni sono cablate su dati circoscritti dal punto di vista geografico, ponendo seri limiti ai possibili ricavi. Si può anche notare un altro aspetto molto frequente per i dataset geografici relativi a luoghi di visita e trasporti pubblici. Gli stessi enti che pubblicano questi dataset, rendono disponibili anche App per turisti e cittadini che usano appunto questi stessi dati. Tali azioni sono un ulteriore deterrente ad iniziative imprenditoriali che riutilizzino i dati geografici aperti di questi enti.

Quindi, sulla base di queste considerazioni, gli Enti Locali oltre a promuovere giustamente iniziative per il riuso dei dati aperti (come Hackathon) e bandi per progetti, dovrebbero evitare di produrre applicazioni specifiche e magari premiare le migliori applicazioni sviluppate da aziende e sviluppatori sui dati da loro resi disponibili aperti e, soprattutto selezionare dataset veramente utili e strutturati secondo standard di riferimento nazionali o internazionali.

Ma il riuso non è solo sinonimo di applicazioni. Ci sono aziende specializzate nell’aggregare e rielaborare dati per conto di altre aziende. Un esempio sono le imprese che operano nel settore del Geomarketing. Queste aggregano dati open (Istat, dati geografici vari, indicatori) con dati derivati da campagne specifiche, e producono nuove informazioni molto utili per analizzare determinati mercati. Si conosce poco di queste attività, tenute volutamente riservate in quanto toccano ambiti sensibili del mondo del business, come la concorrenza e la competizione. Gli utenti di questi dati sono: banche, assicurazioni, catene di negozi, grande distribuzione, concessionari di prodotti specifici, ecc. Le aziende in grado di elaborare dati stanno avendo sicuramente un buon vantaggio economico dalla disponibilità di dati geografici aperti, aumentando la loro capacità di offerta.

Ma il riuso non è solo appannaggio degli informatici. C’è una categoria che acquisisce un grande vantaggio, valutabile anche in termini economici, dalla disponibilità di dati geografici aperti. Si tratta della grande categoria dei professionisti che svolgono attività di analisi, gestione, progettazione e controllo sul territorio: architetti, ingegneri, geometri, geologi, pianificatori, agronomi, ecc. Il reperimento di cartografia di base e tematica, di piani e vincoli, dei dati catastali, di sondaggi del sottosuolo, è alla base del loro lavoro. Progetti e pratiche richiedono elaborati grafici, stralci cartografici e mappe di vario tipo, derivati dai dati della stessa Pubblica Amministrazione che riceve tale documentazione per le dovute autorizzazioni. Molto spesso i dati necessari sono prodotti dagli stessi Comuni o da altri Enti sovraordinati che però sono restii a pubblicarli in licenze e formati aperti, pronti per il riuso.

Ai professionisti possiamo poi aggiungere gli Istituti di ricerca e formazione. I dati geografici aperti spalancano nuove prospettive di analisi e studio. Nella mia pluriennale esperienza di docente universitario a contratto, la ricerca del dato geografico per le esercitazioni e lo studio è sempre stato un problema ricorrente e penoso. Oggi ovviamente il problema si è molto attenuato, grazie ai benefici portati dagli Open Data. Ovviamente si opera con i dati degli enti più virtuosi, quelli che rendono disponibili praticamente tutto il loro patrimonio di dati, come ad esempio le Regioni Piemonte, Sardegna, Lombardia, Liguria, ecc.

Infine non possiamo tralasciare i cittadini. Le generazioni di nativi digitali sono abituate ad associare la posizione geografica ai propri contenuti. Molti social network, servizi web ed App per device mobile stanno formando tutti alla dimensione geografica, rendendola palpabile e viva. Quindi anche i cittadini stanno diventando utenti diretti dei dati geografici aperti.

Se volete scoprire di più sul riuso dei dati geografici aperti il 27 febbraio 2014 a Roma si terrà la Conferenza dell’Associazione OpenGeoData Italia con una sessione plenaria dedicata al tema e spazi dedicati a sviluppatori e applicativi, corsi di formazione e tavoli di lavoro sui temi che vi ho appena esposto.

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