Sanità digitale, decollo in corso: tra nuovi servizi e vecchi intoppi

Prima di partire per le vacanze, facciamo il punto della situazione per capire come (e quanto più o meno velocemente) procede la digitalizzazione della sanità italiana.
Una buona notizia: le cose cominciano a muoversi con una maggiore accelerazione rispetto al passato.
Forse è la volta buona. O forse no: vediamo

Pubblicato il 28 Lug 2016

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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Ultimo refresh ai dati che rappresentano l’avanzamento del processo di digitalizzazione della sanità italiana.
L’obiettivo è quello di portarci sotto l’ombrellone un po’ di dati aggiornati a partire dai quali fare tuning sugli obiettivi e sulle strategie di digital transformation.
Per poi magari fare un punto della situazione insieme a tutti gli stakeholder nel corso dell’edizione 2016 di “S@lute: Forum dell’Innovazione per la Salute” che avrà luogo a Milano (Palazzo Lombardia) dal 10 al 12 novembre.

Partiamo subito dal fondo: questo primo del 2016 è stato il semestre dell’accelerazione, in tutti i sensi e su tutti i fronti.
Passano da 4 a 7 le Regioni che hanno in produzione il Fascicolo Sanitario Elettronico: alle “pioniere” Lombardia, Emilia-Romagna, Provincia Autonoma di Trento e Toscana si aggiungono Valle d’Aosta (riuso del FSE trentino), Sardegna e Puglia.

Continua ad essere difficile ottenere dalle Regioni dati puntuali sull’effettivo utilizzo della piattaforma FSE da parte di medici e assistiti/pazienti, con la sola eccezione del Trentino che pubblica e aggiorna di frequente i dati relativi agli accessi e non solo quelli (del tutto “teorici” e non rappresentativi dell’effettiva realtà) relativi al rilascio del consenso privacy da parte dei cittadini e contestuale “attivazione del FSE”

.Ma questo del forse ancora un po’ scarso utilizzo del FSE è un problema ascrivibile alla categoria degli “happy problem”: c’è tempo per diffondere l’utilizzo, l’importante è che le piattaforme ci siano e funzionino al meglio.
Ad oggi, una Regione su 7 (Valle d’Aosta) ha scelto di riusare un FSE già esistente, abbandonando la tentazione del “facciamo l’ennesimo software”; con ogni probabilità – se prendiamo per buone le indiscrezioni – alla fine saranno 4 o 5 (su 21) le Regioni “riusanti”.
Poche, troppo poche.

Ancora di più in questi tempi di vacche indiscutibilmente magrissime, pensare che si siano moltiplicati per 16 gli investimenti necessari a costruire una piattaforma di FSE grida un minimo di vendetta, ragionando da contribuenti.
Si ripete l’errore fatto a suo tempo coi software per il bollo auto e coi sistemi informativi di Lavoro e Agricoltura: qualche centinaio di milioni di Euro investiti per inventare l’acqua calda, alla faccia della spending review e del buon senso.
Desta qualche curiosità il fatto che una sola delle 8 Regioni in piano di rientro dal disavanzo della spesa sanitaria abbia più o meno ufficialmente manifestato interesse verso l’opzione di riuso per il FSE.

In estrema sintesi: bene dal punto di vista dell’avanzamento del processo di digitalizzazione della sanità, un pochino meno bene (per dirla con un eufemismo) sotto il profilo della “buona” amministrazione della res publica.
Soprattutto se si tiene conto che il legislatore, introducendo a suo tempo l’obbligatorietà del Fascicolo Sanitario Elettronico, previde l’infrastruttura centrale di FSE da rendere disponibile in regime di sussidiarietà alle Regioni che avessero voluto evitare rilevanti investimenti e iniziative progettuali complesse in alcuni casi poco compatibili con le risorse disponibili a livello locale.
Tutto bene, quindi, ma si spera che in qualche caso riesca ancora a prevalere il buon senso ed il numero delle Regioni riusanti (e/o accedenti alla piattaforma centrale di FSE) salga ad almeno 7-8. Con un risparmio di qualche centinaio di milioni, sicuramente da reinvestire in innovazione tecnologica dando luogo magari a circuiti virtuosi di riuso e co-progettazione/co-sviluppo.

Nel frattempo, ottime notizie da molte Regioni sul versante del rilascio di servizi online afferenti alla sfera sanitaria, con particolare riferimento al pagamento elettronico di ticket, all’inoltro telematico dei referti e alla possibilità di prenotare online visite specialistiche ed esami diagnostici.
Veneto, Lazio, Umbria e Liguria, in particolare, spiccano per un vero e proprio balzo in avanti nell’ultimo anno, secondo i dati rilevati dall’Osservatorio Netics relativi alla readiness regionale per l’e-health. Bene anche la Valle d’Aosta, anche in funzione della messa in operatività del Fascicolo Sanitario riusato dalla Provincia di Trento.
“Virtualmente bene” anche la Sardegna, che rilascia il servizio di “Web CUP” (prenotazioni di prestazioni online) restringendo sensibilmente le prestazioni prenotabili via Web rispetto a quelle prenotabili via call center o ricorrendo agli sportelli fisici. Troppo poco per vedersi aumentare il ranking secondo la metodologia Netics, che prevede di assegnare punteggio solamente alle piattaforme di Web CUP che consentono di prenotare almeno il 50% delle tipologie di prestazioni ottenibili.

Come sempre, il problema non è tecnologico: si rendono disponibili le prestazioni rispetto alle quali i singoli ambulatori/dipartimenti/unità complesse decidono di “aprire le agende”, mettendole online. Decisione che dipende in larghissima misura dal livello di confidenza che il singolo Dirigente ripone nei confronti del sistema informativo aziendale e/o regionale.
E qui le cose a volte si fanno critiche.

Ancora una volta, “come sempre”: il problema sta nel manico, e il manico sono gli obiettivi dati ai dirigenti.
Vogliamo provare? Cerchiamo un Direttore Generale di ASL che abbia voglia di fissare un obiettivo rigido relativo alla quantità di agende aperte online?
Scommettiamo che funziona?
Come diceva il Poeta: “provare per credere”.
Isole comprese.

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