Electronic Data Interchange

Industry 4.0, troppi standard: attenti a non ripetere gli errori dell’EDI

L’Electronic Data Interchange (EDI) ha assonanza con Industry 4.0. Sicuramente per quanto riguarda la necessità di collegamento e comunicazione di sistemi di partner diversi; ma anche per la standardizzazione delle metodologie e dei dati da comunicare. L’EDI è decollato a fatica, per colpa di un caos di standard

Pubblicato il 22 Feb 2017

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Ormai sappiamo abbastanza bene cosa sia “Industry 4.0”. Scrivo “abbastanza” perché le componenti di questa metodologia sono parecchie e prive ancora di una vera e propria normalizzazione condivisa da tutti gli interessati.

Di sicuro una sua parte fondamentale è la comunicazione tra elementi della produzione in senso lato. Questa comunicazione ha come obbiettivo lo scambio di informazioni in orizzontale e in verticale, tra tutti gli attori del processo produttivo, quindi non solo all’interno dell’azienda, ma anche all’esterno. Comprendendo ovviamente anche la progettazione e le fasi di tipo amministrativo e logistico (ordinativi, fatturazione, trasporto, eccetera.).

Quindi, il cuore di Industry 4.0 è l’interconnessione di sistemi di diversi attori.

Il pensare a ciò mi ha portato indietro agli anni ’90, quando dirigevo Televas; un’azienda impegnata anche nella fornitura di servizi per l’EDI (Electronic Data Interchange). E ho cercato di capire se analizzare il percorso che ha fatto l’EDI possa essere in qualche modo utile a Industry 4.0; magari ad agevolarne l’introduzione in azienda; oppure ad evitarne alcuni problemi di decollo indirizzandoli a monte.

l’EDI ha infatti una certa assonanza con Industry 4.0, anche se quest’ultima è molto più complessa. Sicuramente l’assonanza principale riguarda il requisito fondamentale, anche per l’EDI, di collegare i sistemi informativi di clienti, fornitori e partner, per il mutuo scambio di informazioni. Dove, nel caso dell’EDI, le informazioni sono documenti: documenti di progetto, di produzione, di ordini d’acquisto da clienti e di fatture agli stessi. Documenti che sono, oggi, altamente normalizzati nei minimi dettagli. Per fare un esempio: la parte logistica, che nell’EDI è stata molto curata, comprende non solo il trattamento elettronico dei documenti di trasporto, ma anche, ad esempio, di quelli di sdoganamento; concordati anche con varie dogane internazionali.

Un elevato livello di normalizzazione, quindi; ma L’EDI, come vedremo, è stato rallentato (e forse ucciso) soprattutto dalla “guerra degli standard”, e sarebbe brutto che ciò si ripetesse con Industry 4.0; anche se alcune avvisaglie non fanno sperare in bene.

Infatti la standardizzazione è di importanza cruciale per il futuro di Industry 4.0. Essa richiede un livello di integrazione tra sistemi come mai nel passato: superando confini geografici, tecnologici, gerarchici e seguendo il prodotto in tutte le fasi del suo ciclo di vita. Ciò è possibile solo attraverso l’uso di standard basati sul consenso dei vari attori, e attraverso una rigorosa valutazione e ideazione degli stessi. Per ottenere questi obiettivi è necessaria quindi una stretta collaborazione tra ricercatori, industrie, utenti ed enti di normalizzazione, per creare una correttezza metodologica volta a dare funzionalità, stabilità e sicurezza agli standard che andranno ad essere definiti.

L’EDI aveva pure essa grandi necessità di standardizzazione. Nell’industria automobilistica nacque la necessità di interconnessione di sistemi produttore-fornitore già a partire dagli anni ’70; questa necessità era sentita molto dall’industria autoveicolistica giapponese; Toyota in testa (anche se alcuni “storici” fanno risalire, addirittura, le origini dell’EDI al 1948; col telex). E questo per risolvere i problemi di Kanban; di “just in time” . Il “just in time”, infatti, è fondamentale nella produzione dei autoveicoli perché i costi di magazzino, in questo settore, sono enormi. Ricordo anche che la stessa Fiat è stata una grande utilizzatrice e sviluppatrice dell’EDI/Odette; costringendo tutti i suoi fornitori ad adottarlo. Non so se lo usi ancora, perché gli ultimi documenti che ho trovato sull’EDI di Fiat sono del 1991.

Per la cronaca, altro settore molto sensibile all’uso dell’EDI è stato ed è quello della Grande Distribuzione Organizzata (GDO). I supermercati, infatti, non hanno magazzini nel punto vendita: di norma questi sono situati fuori dalle città, per motivi di costo. E’ importante, quindi, per il punto vendita approvvigionarsi nella giusta quantità tempestivamente; tenendo conto che, per mancanza di spazio, non possono comunque sovraccaricare di merce il punto vendita. E d’altra parte gli stessi produttori sono interessati affinché il magazzino abbia sempre la giusta quantità del prodotto; considerando che, se un acquirente non lo trova sullo scaffale, non se ne va a mani vuote, ma compra quello del concorrente. Importante quindi sincronizzare la produzione del fornitore, con le esigenze del supermercato e con la disponibilità del trasportatore. Sistemi interconnessi e funzionanti a pieno ritmo giorno e notte.

Com’è sta procedendo l’EDI ? Ho fatto alcune ricerche, sicuramente non esaustive. E i risultati sono i seguenti: (ho messo alcuni riferimenti per chi abbia voglia di rispolverare un po’ il tema)

Negli USA ci sono circa 100.000 aziende che lo adottano, ma soprattutto nel settore della GDO (es. Wallmart; (cfr http://www.cyop.net/Walmart_EDI.html

In Giappone sono sempre stati molto confusi circa gli standard (cfr. http://www.lean-manufacturing-japan.com/scm-terminology/edi-electronic-data-interchange.html) e quindi si sono fatti dei loro standard. Il che, considerando che il Giappone produce quasi solo per l’esportazione, e che non possono quindi usare l’EDI con partner oltreoceano, ha fatto si che le aziende che usano l’EDI siano solo circa 300, soprattutto nella GDO (cfr. http://www.gs1jp.org/2014/ecom/2_1.html).

In Europa il Regno Unito è da sempre stato un grande utilizzatore e promotore dell’EDI, anche se soprattutto nel comparto della GDO (Wallmart e Harrods come esempi). In Germania, invece, è abbastanza usato in vari comparti: nella logistica, grande distribuzione e autoveicolistica; anche Amazon Germany lo usa. In Francia nel 1990 si fece un grande battage sull’EDI; venne addirittura fondato un ente, EDIFRANCE per la promozione ed istituzionalizzazione della metodologia (cfr. http://www.histoire-cigref.org/blog/les-debuts-de-l-edi-en-france-a-travers-edifrance/), ma al momento mi pare soprattutto diffuso nella GDO (es. Carrefour). Anche in Spagna c’è una buona adozione dell’EDI; ma, anche qui, soprattutto nella GDO (es. El Corte Igles).

In Italia non mi pareva si fosse diffuso molto. Io ormai non mi occupo più di EDI da più di 20 anni; ma ho scoperto che l’industria della moda, nel 2016 ne è diventata grande utilizzatrice (cfr. http://newsroom.edicomgroup.com/en/2016/12/29/espanol-el-sector-de-la-moda-italiano-se-suma-al-edi/) e che è stato fatto uno standard apposta per l’Italia, denominato “Euritmo”; che si basa sull’utilizzo degli standard FPO (Fast Perfect Order) per i processi e sullo standard internazionale GS1 EANCOM per il contenuto dei messaggi”. Ho pensato :”In quanto a generare confusione, noi siamo prìncipi”. E’ attiva però, anche in Italia, la società Edicom, che dichiara di collegare molti clienti sia in Europa, che nelle Americhe (http://www.edicomgroup.com/it_IT/customers/customers.html). Mi pare che la maggior parte sia del settore GDO, ma ve ne sono anche nel farmaceutico ed in altri settori.

La UE, volendo aggiungere un pochino di confusione, ha creato un nuovo standard per la gestione delle transazioni tra le aziende europee e le Pubbliche amministrazioni; e lo ha denominato OpenPEPPOL (http://www.peppol.eu/about_peppol/about-openpeppol-1). E inoltre, a mio parere, fa una grande confusione tra EDI e fatturazione elettronica.

Volendo tirare le somme su questa mia carrellata ( ripeto: sicuramente non esaustiva) sullo stato dell’EDI, dovrei dire che la sua diffusione appare limitata, e concentrata soprattutto nel settore della GDO, con qualche applicazione nell’autoveicolistica. Sicuramente altri segmenti di mercato lo usano; ma non credo molto. C’è da notare che spicca comunque la Germania, come nazione dove l’EDI ha progredito discretamente.

Quindi, una metodologia che, per definizione doveva connettere tutte le aziende, di tutti i settori, a livello globale, decollata almeno 30 anni fa, ad oggi vede la sua applicazione solo in alcuni segmenti di mercato e in alcune nazioni.

Ci sono state barriere per il successo dell’EDI ? La risposta è si; prima fra tutte la definizione ed utilizzo di standard per l’interconnessione e per la documentazione.

Tratto velocemente la parte “interconnessione” perché oggigiorno, in presenza di Internet, parrebbe essere fuori discussione (con qualche lato di preoccupazione circa qualità e resilienza).

L’idea prevalente, negli anni ’90 fu quella di usare i protocolli X.400, di messaggistica, convogliati su rete a commutazione di pacchetto; però Internet era alle porte (circa un milione di utilizzatori nel ’93 !) ed era considerato interessante perché il trasferimento di documenti con protocolli (ad es. TCP/IP) poteva essere molto più veloce. Non approfondisco qui la storia; ma il risultato fu che, poiché Internet si riteneva a quel tempo quasi solo una rete per accademici o “smanettoni”, la maggior parte degli utilizzatori venne indirizzata ad usare X.400, su reti X.25. Qualcuno però cominciò ad usare TCP/IP con File Transfger Protocol; ovviamente i due gruppi di utenti non furono messi in grado di parlarsi.

Ma veniamo agli standard di documentazione. L’EDI è una metodologia altamente normalizzata; ma è talmente “normalizzata” che, alla fine, quasi ogni settore industriale si è fatto il suo standard; senza parlare degli standard che venivano emessi dagli enti di normalizzazione e da quelli “preferiti” da alcune aree geografiche. Ad esempio gli USA avevano il proprio. Vediamone una carrellata, sicuramente non omnicomprensiva:

  • ANSI ASC X12 (X12), predominante negli Stati Uniti ed in Canada.
  • UN/EDIFACT (United Nations Electronic Data Interchange for Administration, Commerce and Transport), standard internazionale predominante nell’area esterna al Nord America, come l’Europa.
  • TRADACOMS, standard sviluppato da ANA (Article Numbering Association) predominante nel mondo della distribuzione inglese.
  • ODETTE, standard impiegato a livello Europeo per l’industria automobilistica; tranne in Germania, dove usano preferibilmente lo standard VDA. (cfr. http://link.springer.com/chapter/10.1007%2F978-1-4471-3257-8_28) e anche https://www.odette.org/

Come andiamo con la stardadizzazione di Industry 4.0 ?

Guarda caso: alla creazione di standard ha lavorato alacremente l’ente tedesco di normalizzazione DIN (http://www.din.de/en/innovation-and-research/industry-4-0/industry-4-0-what-does-din-do–71712); spinto dal programma “Industry 4.0” lanciato dal governo tedesco. Allo scopo DIN ha stabilito intese di lavoro con IIC , il consorzio “Internet Industriale Internazionale” degli USA, con il DKE (Commissione Tedesca per le tecnologie di informazione) e con il TMB (Technical Management Board) di ISO. Apparentemente questi lavori hanno già portato alla creazione dello standard OPC UA, da utilizzare a livello globale. Interessante è che IIC sia stato fondato nel marzo 2016 da AT&T, Cisco, General Electric, IBM e Intel; ma che non abbia come priorità la “creazione di standard” bensì un approccio pragmatico (the American way…) http://www.process-worldwide.com/usa-industry-40-the-american-way-a-536602/) volto ad individuare nuovi modelli di business. Quindi, probabilmente: o lascerà la leadership sugli standard alla Germania oppure procederà in maniera informale; non è chiaro . Molto probabilmente, poi, anche la Cina (che considera la Germania un suo grande concorrente nel manufacturing) si allineerà con la Germania.

Tutto a posto ? Mica tanto: non è detto che non inizi una guerra degli standard con la Francia; dove, nel maggio 2015, il Ministero dell’Economia ha lanciato l’ “Alleanza per l’Industria del Futuro” che ha proprio come scopo primario, quello di definire gli standard e di spingerli a livello internazionale. (cfr. http://www.usine-digitale.fr/article/industrie-du-futur-la-guerre-des-standards-a-commence.N334563); quindi accettare uno standard tedesco, per i francesi, potrebbe essere una questione difficilmente digeribile. Tutti si accorgono che questa non è solo una questione di principio: spingere un proprio standard può far trarre molti vantaggi alle industrie che lo hanno inventato (non c’è bisogno di ricordarsi della diatriba BETAMAX, VHS, per capire l’importanza del tema).

E l’Italia ? In Italia UNINFO (ente di standardizzazione associato ad UNI), si è attivato, ma mi pare che vi sia una grande confusione; riporto una sua affermazione dello scorso novembre:

Dall’analisi della situazione attuale sono evidenti tre caratteristiche:

1. La frammentazione dell’attività in corso, distribuita tra una pletora di Organi Tecnici, ognuno dei quali opera indipendentemente dagli altri, senza disporre di un quadro generale di riferimento. E ciò non per deficienze di qualche attore, ma perché gli Organi Tecnici e le regole che li governano sono stati concepiti in una epoca in cui i vincoli e interdipendenze tecnologiche erano diversi.

2. La diversa maturità delle iniziative proposte o in corso. Esse variano da iniziative promosse da organizzazioni ben radicate con l’appoggio di stakeholders internazionali.

3. L’Italia è sostanzialmente assente da numerose attività di normazione internazionali e anche localmente l’attività di coordinamento è insufficiente.

Incuriosito da questa affermazione, come minimo sorprendente, mi sono andato a contare le commissioni che ci stanno lavorando in Italia, e ne ho contate 21 (cfr. http://www.internet4things.it/industry-4-0/standard-per-lindustry-4-0-e-per-liot-nel-piano-di-lavoro-delluninfo/). Il numero, che può apparire elevato, non è sproporzionato, considerando che a livello internazionale gli organismi coinvolti sono comunque 23. E quindi tantissimi. L’eventuale domanda do porsi, magari, è come abbiano fatto i tedeschi a venir fuori già con uno standard, mettendo al tavolo dell’Ente DIN: lo IIC, la DKE e ISO.

Un’altra cosa che mi ha sorpreso è che non mi pare di aver individuato, tra le 21 commissioni italiane, una che si occupi degli standard di comunicazione. Forse è compresa in qualche altra commissione, ma non appare chiaramente. Forse si pensa di usare Internet tout-court, ma può non essere così semplice, considerando l’implicazione di reti wireless 4G e 5G; della resilienza e dei ritardi di trasmissione. ITU ed IEEE ci stanno comunque lavorando.

Gli errori di EDI sono stati anche altri, oltre alla standardizzazione (costi, sicurezza, implicazioni psicologiche e di natura amministrativa); ma ritengo sia da guardare con grande attenzione l’aspetto della normalizzazione. Non sarebbe bello che Industry 4.0 fallisse. E comunque: attenti alla Germania !

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