Il piano

Il ruolo che avranno le Regioni nell’Agenda digitale

Finora le Pa locali hanno avuto troppa autonomia, in assenza di un indirizzo centrale. In mancanza della capacità dello Stato di seguire le indicazioni europee. Ora si cambia: la Pa deve agire nella logica del ritorno degli investimenti, rinunciare ad ambizioni indipendentiste, ridurre i tempi, copiare, riusare e federare in maniera intelligente e lungimirante, lavorare in beta, imparare dagli errori, ridurre il time to market dell’innovazione. Obiettivo, prepararsi al Programma Horizon 2020

Pubblicato il 24 Giu 2013

Roberto Moriondo

Direttore Generale Comune di Novara - Direttivo ANDIGEL

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A essere onesti di Agenda Digitale, nelle sue diverse accezioni, si parla, sia a livello europeo che nazionale, da almeno venti anni, quindi non possiamo sicuramente affermare di essere in presenza di una novità rilevante.

“Il passaggio a un’economia digitale basata sulla conoscenza dovrà rappresentare un importante fattore di crescita, di competitività e di creazione di posti di lavoro. Esso consentirà inoltre di migliorare la qualità di vita dei cittadini e l’ambiente”.

Questo è quanto ad esempio sosteneva la Commissione Europea quando, nel 1999, puntava a creare la “società dell’informazione per tutti“, con l’iniziativa eEurope[1].

Di informatizzazione della Pubblica Amministrazione e di Governo elettronico ne parlava anche il primo Ministro italiano per l’Innovazione e le Tecnologie, Lucio Stanca, nel 2001.

Sempre negli anni 2000, il decentramento delle funzioni amministrative, la riforma dello Stato in senso federalista e l’iniziativa dell’eGovernment hanno rafforzato il ruolo delle Regioni e degli Enti locali aprendo nuovi scenari.

Questo è quanto sosteneva il governatore della Regione Piemonte, Enzo Ghigo, all’epoca anche Presidente della Conferenza delle Regioni:

… È ormai opinione condivisa che la Pubblica Amministrazione ha avviato un radicale processo di trasformazione grazie anche alla disponibilità delle nuove tecnologie: è migliorato il ruolo di servizio pubblico delle amministrazioni, è migliorata la capacità di fornire risposte alla crescente domanda di governo e alla richiesta di avvicinarsi maggiormente ai cittadini e alle imprese, sono migliorati i servizi, ridotte le inefficienze, semplificate le procedure, eliminati gli sprechi”.

Le pubbliche amministrazioni, soprattutto a livello locale, hanno accolto la sfida, complice anche un non chiaro indirizzo a livello centrale, organizzandosi per prendere parte a quella che all’epoca sembrava una corsa all’oro.

Il miraggio erano le risorse derivanti dalla famosa asta delle licenze UMTS, nonché l’impegno del Governo ad investire fortemente nell’attuazione del governo elettronico.

Ieri.

Come abbiamo visto l’attenzione era inizialmente focalizzata prioritariamente sulla informatizzazione della Pubblica Amministrazione in relazione alla necessità – più che all’opportunità – di renderla moderna, efficiente, efficace.

I piani di eGovernment erano ben concepiti, ben strutturati ed esaustivi, purtroppo è, almeno parzialmente, fallita la loro attuazione.

Forti del ruolo riconosciuto, Regioni ed Enti locali hanno potuto godere di grande autonomia – probabilmente eccessiva – e si sono attivati a livello legislativo, programmatico e attuativo.

Gli investimenti in infrastrutture, la cooperazione fra i diversi – troppi – livelli della Pubblica Amministrazione centrale e locale, l’integrazione dei servizi, il sostegno e il sussidio agli enti minori hanno rappresentato uno sforzo e un insieme di iniziative privi di regia e di coordinamento – nonostante il lodevole e costante impegno del CISIS – che hanno prodotto risultati diversificati ed eterogenei sul territorio nazionale ed addirittura nelle stesse regioni, per fortuna con punte di eccellenza e di prospettiva ma purtroppo con opportunità non sempre colte di riuso delle best practices.

Oltre alla mancanza di chiari e non contraddittori indirizzi e obiettivi di carattere generale e strategico – ad essere onesti più dal livello nazionale che da quello comunitario – è venuta meno una indubbia definizione degli standard, delle piattaforme e dei grandi progetti di sistema (cittadinanza digitale, anagrafe, fascicolo sanitario elettronico, …) utili a perseguire un unico risultato condiviso.

A onore del vero negli ultimi anni la Commissione europea si è impegnata a lanciare iniziative pilota di sostegno alla politica in materia di Information and Communication Technology all’interno del Programma quadro per la competitività e l’innovazione (2007-2013). Sono stati avviati progetti che hanno trattato con i Governi europei i temi dell’interoperabilità e degli standard dei servizi pubblici digitali. Fra i progetti finanziati, Regioni e Governi hanno affrontato temi quale l’identità digitale dei cittadini a livello europeo, gli standard tecnologici comuni per garantire l’eProcurement a livello transfrontaliero, l’impegnativa medica elettronica europea.

Purtroppo la Pubblica Amministrazione italiana non sempre ha saputo cogliere l’importanza di queste sperimentazioni e spesso non è stata in grado di interloquire adeguatamente con i servizi della Commissione europea per portare gli interessi italiani in tema di Agenda Digitale.

Un ulteriore elemento di criticità è costituito dalla confusione fatta tra la digitalizzazione dello Stato e della Pubblica Amministrazione (anche di carattere infrastrutturale: interconnessione a internet e data center) e quella del Paese, del sistema economico e produttivo, degli aspetti legati alla crescita, dei fattori abilitanti lo sviluppo (eBusiness, eCommerce, …).

Semplificando, si è lavorato molto sul protocollo informatizzato, sulla dematerializzazione degli uffici pubblici, e poco – comunque molto meno – ad esempio sulle piattaforme a disposizione delle PMI.

Ovviamente stiamo parlando di valutazioni di grado e non di specie.

Oggi.

L’Italia purtroppo fatica, ci sono ancora tanti italiani e troppe imprese che non si sono ancora mai avvicinati a Internet.

Tante imprese che non vendono ancora online, poca banda larga: un problema, e al tempo stesso un’opportunità. Speriamo che l’Italia presto ricominci a rincorrere i paesi più virtuosi“, riassume così situazione e problemi dell’Italia Roberto Viola, vice direttore della DG Connect della Commissione Europea.

Spiegare all’Italia che l’Agenda Digitale è un tema di politica industriale è importantissimo. Mentre l’Europa sul digitale fa politica industriale sulle reti, noi siamo in ritardo” sostiene Agostino Ragosa, a capo dell’Agenzia per l’Italia Digitaleuno dei risultati raggiunti dal governo Monti – speriamo presto finalmente pienamente operativa.

Le infrastrutture tecnologiche non sono mai state viste come un asset strategico nel nostro paese “pur avendo investito 10 miliardi di euro nella realizzazione della rete, il tema delle infrastrutture è sempre stato sottovalutato e l’investimento in infrastrutture resta nel capitolo della spesa corrente”.

E ancora: “gli americani stanno lavorando sugli open data con un milione di addetti” – aggiunge Ragosa -, “noi in Italia abbiamo un gap, pur avendo diverse skill di eccellenza”.

Sul fronte dei servizi digitali della PA, “il problema è l’eccessiva frammentazione con 4mila punti da cui eroghiamo servizi. Manca un catalogo unico dei servizi erogati, manca una visione unica e centralizzata della Enterprise public structure”.

Della stessa idea anche Roberto Sambuco, capo dipartimento Comunicazioni del MISE – il cui pensiero spero di aver bene sintetizzato -. L’Italia è in ritardo nel processo di digitalizzazione. L’Agenda Digitale non deve essere un semplice punto dell’agenda di Governo, ma una materia trasversale.

Per fortuna non si riparte da zero ma dalle molte cose fatte – e dal prezioso patrimonio di conoscenza costituito dagli errori che chi innova inevitabilmente commette –, con il dovere di porre attenzione alla competitività del sistema nel suo complesso, ai nuovi stimoli che vengono dalla rete, a soluzioni condivise e aperte, alla definizione di regole – ahimè, a volte servono anche le regole, anche se non si fa innovazione con le leggi, che devono essere però poche, semplici, chiare e ben scritte -.

Parlare meno, fare di più con meno.

E non solo perché le minori risorse a disposizione ci impongono rigore ed efficacia.

La Pubblica Amministrazione deve agire nella logica del ritorno degli investimenti, rinunciare ad ambizioni indipendentiste, ridurre i tempi, copiare, riusare e federare in maniera intelligente e lungimirante, lavorare in beta, imparare dagli errori, ridurre il time to market dell’innovazione.

Per un po’ di tempo non dobbiamo avere l’ambizione e la presunzione di inventarci niente, ormai molti degli standard digitali sono perlopiù definiti a livello mondiale, e riconosciuti a Bruxelles e in Lussemburgo, e dobbiamo solo coordinare meglio e supportare bene le nostre regioni affinché sfruttino pienamente i benefici dei fondi comunitari.

Per questo motivo, per il prossimo periodo di programmazione comunitario non dobbiamo farci trovare impreparati. Dobbiamo aiutare le Regioni italiane a competere con successo sulle nuove call in materia di Information and Communication Technology del Programma Horizon 2020.

E dobbiamo valorizzare di più le esperienze di quelle Regioni che hanno saputo negli anni sfruttare al meglio le opportunità dell’Agenda Digitale europea, in modo da diffondere capillarmente a tutte le altre le sperimentazioni sui nuovi standard europei. Questo ci permetterebbe di programmare meglio e in modo più coordinato le nostre agende digitali a livello comunitario, nazionale e regionale.

In pochi tweet:

¼ Copiare, riusare, non è peccato.

¼ La PA deve imparare a comprare per obiettivi, comportarsi come intelligent purchaser, usare il procurement pubblico come leva d’innovazione.

¼ I vendors nazionali dell’ICT devono imparare ad aggregarsi e specializzarsi.

¼ Valorizzare le buone idee e creare un ambiente startup friendly.

¼ NGN, IoT, Open e Big data, PPI, Startup digitali, scuola, alfabetizzazione e cultura digitale non sono temi esoterici ma obiettivi del prossimo futuro.

Qualche passo avanti: una spinta dall’Europa e dall’Agenzia …

Le parole del Commissario per l’Agenda Digitale Nellie Kroes devono spronarci: “Il settore ICT potrebbe traghettare l’Europa fuori dal guado della crisi, in primo luogo spezzando la spirale incontrollata della disoccupazione giovanile (…) All’orizzonte si stagliano gli obiettivi dell’Agenda Digitale, e in chiave più generale le ambizioni della strategia Europa 2020”.

La rete, il punto di partenza.

A breve sarà emanata una corposa raccomandazione comunitaria per spingere gli investimenti in reti NGN, che prevede un allineamento dei prezzi di unbundling in tutta Europa, regole di non discriminazione più cristalline, ma soprattutto una ventata di flessibilità sulle condizioni di prezzo applicabili per l’accesso proprio alle reti di nuova generazione.

Ragosa ha annunciato che entro febbraio 2014 sarà presentato il piano di razionalizzazione delle infrastrutture pubbliche con l’obiettivo di individuare a livello di singole regioni i responsabili unici del processo di digitalizzazione, per evitare la moltiplicazione delle soluzioni e trovare finalmente un’armonizzazione unica.

I bandi per la nuova SPC verranno assegnati entro fine anno – chiude Ragosa – i primi obiettivi da raggiungere sono l’anagrafica unica nazionale (identità elettronica); la carta d’identità elettronica; la semplificazione dei pagamenti di servizi di eGovernment”.

In chiusura: #dalleparoleaifatti

[1] Comunicazione dell’8 dicembre 1999, relativa a un’iniziativa della Commissione in occasione del Consiglio europeo straordinario di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000: eEurope – Una società dell’informazione per tutti.

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