AGENDA DIGITALE EUROPEA

Digital Venice, opportunità per cambiare in Europa. Ma se cambia anche l’Italia

Troppo grandi i divari tra i Paesi Europei, è necessario un cambiamento delle strategie e dell’approccio da parte della Commissione. Ma per essere protagonista del nuovo percorso l’Italia deve presentarsi con le carte in regola

Pubblicato il 29 Mag 2014

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Dopo la tornata elettorale europea, l’attenzione può finalmente puntare sul come realmente la nuova legislatura e soprattutto il semestre a presidenza italiana possono essere utili opportunità per un cambiamento profondo nelle strategie digitali europee.

In particolare, come risulta ben evidente dagli indicatori della Digital Agenda Scoreboard e dall’analisi degli stati di avanzamento delle azioni dell’Agenda Digitale Europea (soprattutto di quelle a carico dei Paesi Membri), le politiche europee fin qui seguite sono state certamente connotate da una prospettiva molto visionaria e da elaborazioni molto innovative (basti pensare a Futurium e alla sua “Policy making 3.0”), ma è anche vero che la situazione attuale vede un divario sempre maggiore tra i Paesi, tra il gruppo degli innovatori e il gruppo dei “conservatori”, con differenze percentuali anche del 30% e del 40% su alcuni indicatori. Molte le cause, tra cui certamente la scelta della Commissione Europea di non sfruttare tutte le leve a disposizione per “costringere” i Paesi ad adottare certe politiche e attuarle concretamente, come accade per le aree economiche e finanziarie (era questo il senso del “digital compact” invocato in Italia da Confindustria digitale). Ma anche un monitoraggio “leggero” sulle azioni dell’Agenda Digitale Europea a carico dei Paesi Membri (basta analizzare la corrispondenza tra valutazione e risultati effettivi per rendersi conto del sostanziale criterio adottato di “autocertificazione”), forse dovuto alla debolezza dell’impianto dell’Agenda Digitale Europea (troppe azioni, poco organiche e allo stesso tempo limitate come area di intervento) e anche all’organizzazione prevista a livello di Commissione Europea (con poche risorse e quindi non nella possibilità di scendere nel dettaglio anche per fornire supporto oltre che per “notificare” lo stato di avanzamento).

L’occasione di Digital Venice: cosa cambiare in Europa sul digitale

Per queste ragioni è necessario un cambiamento profondo, radicale, nell’approccio europeo al digitale, anche nella convinzione che, soprattutto in quest’area, l’evoluzione dei singoli Paesi è ricchezza comune. Principio che non riguarda solo le infrastrutture e la sicurezza, ma anche i fronti delle competenze dei cittadini e delle organizzazioni, della riorganizzazione delle imprese, dell’innovazione del settore pubblico. Non ultimo quello delle normative sul lavoro, per spingere sempre più verso la possibilità di aprire al lavoro in mobilità e alla mobilità del lavoro.

Ed ecco che la “carta di Venezia” di cui si inizia a parlare, la dichiarazione programmatica delle nuove politiche europee sul digitale, dovrebbe partire da alcune assunzioni fondamentali per poi identificare un percorso di cambiamento. Tra le assunzioni sarebbe da considerare ad esempio che

  • sempre più bisogna focalizzare l’attenzione sul tema ampio dell’innovazione tecnologica (quindi non solo digitale, software), anche per un rilancio della produzione manifatturiera europea, non solo italiana;
  • bisogna puntare sulla costruzione di ecosistemi innovativi (costituito in modo organico da competenze, normative, infrastrutture capaci di favorire e generare innovazione);
  • la crescita si basa sul circolo virtuoso innescato tra cittadini sempre più competenti e coprogettisti dei servizi, un settore pubblico sempre più consapevole della propria missione di traino di una richiesta di servizi di qualità e un settore privato sempre più affamato di innovatori e di competenze tecnologiche qualificate, per poter soddisfare e anticipare le richieste di cittadini e amministrazioni;
  • l’evoluzione tecnologica non è neutra. Il circolo virtuoso della crescita europea deve basarsi anche su un’idea di tecnologia sostenibile, indirizzata al miglioramento della qualità della vita della popolazione (non a caso si inizia a parlare di “slow tech”);
  • la missione dell’Unione Europea è di supportare lo sviluppo e l’attuazione delle politiche di innovazione tecnologica dei Paesi Membri, andando oltre le iniziative di indirizzo e il monitoraggio.

Quest’ultimo punto credo sia anche uno dei punti centrali del cambiamento, con la UE che nei confronti dei Paesi Membri intraprende delle iniziative di sostegno attivo, soprattutto nell’area delle competenze digitali, dove più difficile è la riduzione rapida del divario attuale tra i Paesi. Iniziative come

  • l’istituzione di una task force per il supporto ai Paesi nella definizione di programmi nazionali per le competenze digitali, massimizzando lo scambio di buone pratiche e il confronto periodico;
  • l’istituzione di una piattaforma di knowledge management sui programmi nazionali e sulle buone pratiche correlate;
  • il monitoraggio dell’attuazione dei programmi nazionali e del raggiungimento degli obiettivi fissati (in termini quantitativi, sugli indicatori legati alla DAE Scoreboard), anche con sistemi simili ad un “digital compact”, possibile grazie alla contemporanea presenza degli interventi di supporto.

Tre precondizioni per l’Italia per avere le carte in regola

Ecco che allora l’occasione dell’evento “Digital Venice” diventa importante non solo per delineare un cambio di rotta in questa direzione, ma anche per uscire dalla logica dell’evento e del confronto e concepirlo come tappa di un percorso più ampio che intende proporre un cambiamento e un arricchimento delle politiche europee. Un percorso che non ha esito scontato, e che ha bisogno di una progettazione specifica e attenta.

Se, però, l’Italia vuole farsi promotrice di questa nuova strategia europea, deve presentarsi con le sue carte in regola, innanzitutto su tre fronti, primari perché propedeutici per qualsiasi azione sulle politiche del digitale:

a) della strategia, con la realizzazione di un quadro organico dei diversi assi strategici dell’Agenda Digitale, a partire da quanto realizzato nel contesto della preparazione dell’Accordo di Partenariato per la programmazione dei Fondi strutturali 2014-2020, un primo passo da cui è necessario rapidamente evolvere, corredando questo documento di una visione di Paese e integrandolo nella direzione di una strategia organica, ampia e di lungo respiro (l’Italia è ancora uno dei pochi Paesi che non ha un documento organico di Strategia Digitale prodotto a livello governativo);

b) della governance, con una chiara attribuzione delle deleghe su tutte le aree dell’Agenda Digitale (forse anche risuscitando la Cabina di Regia), e che consenta di declinare il piano strategico dell’Agenda Digitale in termini di responsabilità sugli obiettivi da raggiungere, sia a livello centrale che territoriale;

c) della gestione, favorendo il raggiungimento della piena operatività dell’AgID, definendo un piano di recupero per le decine di adempimenti ancora inevasi dei decreti sull’Agenda Digitale e realizzando rapidamente uno stato di avanzamento dell’Agenda Digitale che dia confidenza che la situazione è sotto controllo.

Giugno è, così, un mese fondamentale. Necessario sfruttarlo per potersi presentare al semestre di presidenza europea sapendo di aver ingranato la marcia giusta. Per poterla fare ingranare anche all’Unione Europea.

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