codice appalti

Se le regole di acquisto pubblico frenano l’innovazione digitale: come risolvere

Le tante opportunità del nuovo codice contratti pubblici questo momento rischiano di essere controbilanciate da una sostanziale paralisi dei processi di acquisto a seguito di tutti questi cambiamenti. L’introduzione del nuovo codice dei contatti pubblici sembra infatti aver provocato dei rallentamenti delle procedure di gara italiane. Ognuno ora deve fare la propria parte, per risolvere: ecco come

Pubblicato il 01 Dic 2016

Mariano Corso

Presidente P4I e membro del Board Scientifico Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

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Gli acquisti della PA italiana valgono 130 miliardi di euro, pari all’8,4% del PIL. Una cifra importante a fronte della quale è fondamentale intervenire per eliminare o quanto meno ridurre quei fenomeni di frammentazione e disottimizzazione che in passato hanno minato l’efficienza della PA ed hanno costituito un humus ideale per nascondere fenomeni più o meno espliciti di clientelismo o corruzione. Il digitale può fare tantissimo per trasformare i processi di procurement pubblico in ogni loro fase rendendoli più veloci, efficienti e trasparenti. Ma la relazione tra procurement e digitalizzazione è ben più complessa: oltre ad essere leva di trasformazione del procurement, il digitale è esso stesso oggetto di procurement pubblico. Gli acquisti di tecnologie digitali per la PA valgono oggi 5,6 miliardi di euro una cifra che di per se vale poco più del 4% totale degli acquisti, ma la cui efficacia è essenziale per abilitare quella modernizzazione di cui la nostra PA ha profondamente bisogno per garantire la sua qualità e sostenibilità.

Per questi motivi tutti gli addetti ai lavori hanno seguito con molto interesse l’iter che ha portato all’approvazione del nuovo codice dei contratti pubblici lo scorso 18 aprile per comprenderne novità e implicazioni sui processi di acquisto del Digitale. Il codice rappresenta in realtà un tassello di una più ampia strategia che mira a riqualificare la spesa in tecnologie digitali della PA italiana, introducendo quattro importanti novità:

1. Istituzione dei soggetti aggregatori: viene adottato un modello di centralizzazione obbligatoria di alcune tipologie di acquisti per conciliare lotta alla corruzione, efficienza e innovazione; tale modello è basato su 33 soggetti che aggregano e gestiscono le esigenze di acquisto;

2. Finanziaria 2016: stabilisce il passaggio obbligato dai soggetti aggregatori di tutti gli acquisti pubblici di tecnologie digitali, con l’obiettivo di risparmiare entro il 2018 il 50% delle spese correnti in tecnologie digitali da investire in innovazione digitale; 


3. Nuovo codice dei contratti pubblici: introduce nuove procedure per l’acquisto di innovazione, spinge verso una migliore qualificazione di domanda e offerta, rafforza il modello di centralizzazione della domanda, pone l’obbligo di digitalizzare i processi di acquisto pubblico e cerca di stimolare una maggiore collaborazione tra PA e imprese; 


4. Piano triennale per l’informatica nella PA: di prossima introduzione e a regime dal 2017, definirà una roadmap di investimenti da realizzare, obiettivi di spesa da raggiungere e indicazioni per riqualificare, in investimenti a valore aggiunto, il taglio delle spese correnti in tecnologie digitali. 


Tante opportunità che però in questo momento rischiano di essere controbilanciate da una sostanziale paralisi dei processi di acquisto a seguito di tutti questi cambiamenti. L’introduzione del nuovo codice dei contatti pubblici sembra infatti aver provocato dei rallentamenti delle procedure di gara italiane.

Considerando uno stesso periodo temporale – dal 18 aprile (data di recepimento del codice) al 18 ottobre (6 mesi dopo) – per gli ultimi tre anni, si rileva che: nel 2014 sono stati emessi 4.837 bandi di gara, nel 2015 5.084 e nel 2016 3.682. Andamento analogo di riscontra sui bandi relativi a servizi digitali che hanno subito un calo del 30% rispetto al 2015.

Per evitare che tale situazione perduri nel tempo, facendoci perdere per l’ennesima volta il treno della digitalizzazione, è necessario che ogni attore giochi bene la sua parte.

Le istituzioni centrali devono eliminare le ambiguità normative e definire regole che incorporino “by design” i controlli. I controlli ex post devono poi essere mantenuti veloci e comunque non bloccanti in modo da trasferire una cultura della fiducia e della responsabilizzazione. Più in particolare:

· l’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) deve certamente vigilare che non ci siano fenomeni corruttivi, ma deve farlo in una logica di proattività e collaborazione supportando imprese e PA con linee guida, pareri e attività di vigilanza collaborativa.

· Consip deve realizzare un programma di razionalizzazione degli acquisti pubblici di beni/servizi e agire come centrale di committenza per alcune PA centrali o per alcuni ambiti specifici.

· AgID deve definire le definire un piano triennale che orienti le scelte di innovazione ed eviti comportamenti scelte incoerenti da parte delle PA.

Le PA, dal canto loro, in quanto stazioni appaltanti devono sviluppare nuove competenze, imparando a utilizzare in modo efficace i nuovi strumenti che le direttive europee raccomandano e che lo stesso nuovo codice dei contratti mette a disposizione. In particolare devono garantire:

· maggiore qualificazione: il codice prevede l’introduzione di un sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti che verifichi la loro capacità di svolgere le diverse tipologie di procedura di affidamento, lo svolgimento di percorsi di formazione, l’esistenza di strutture dedicate ai processi di approvvigionamento e la qualità delle risorse impegnate;

· maggiore capacità di gestione e governo dei processi: la PA deve essere in grado di padroneggiare l’intero ciclo di approvvigionamento; in questo contesto assume un ruolo particolarmente rilevante il responsabile unico del procedimento che deve essere un vero e proprio project manager in grado di coordinare tutte le attività del processo (programmazione, progettazione, affidamento, esecuzione e collaudo dei lavori);

· capacità di esercizio corretto della discrezionalità: il nuovo quadro normativo valorizza l’elemento della discrezionalità amministrativa, ovvero la capacità delle stazioni appaltanti di comprendere gli obiettivi e i bisogni dell’amministrazione e identificare gli elementi che permettano di assolverli.

Oltre a tutto ciò, è necessario che sia favorita la collaborazione tra PA simili per scambiarsi competenze e best practices, definire architetture e standard comuni e interoperabili, realizzare gare condivise e shared services.

Le imprese private, infine, devono investire in iniziative precompetitive di qualificazione della domanda e definizione di architetture condivise in modo da poter progressivamente industrializzare soluzioni riutilizzabili. Questo comporta forti cambiamenti: se finora le imprese sono state abituate a rispondere a richieste pubbliche mal definite e ad adeguarsi al criterio del massimo ribasso, prescindendo dall’innovazione e dalla qualità della proposta, oggi ad esse sono richieste:

· maggiore capacità innovativa: che rappresenterà uno dei principali driver su cui si baseranno le aggiudicazioni delle gare una volta che il nuovo codice sarà completamente operativo;


· maggiore competizione su qualità e rispondenza agli standard: il passaggio a un sistema in cui l’aggiudicazione è basata sul miglior rapporto qualità/prezzo, la maggior qualificazione delle stazioni appaltanti e la definizione di standard più completi ed efficaci, richiederanno alle imprese di proporre offerte che rispondano con maggior qualità alle esigenze della PA, con la sicurezza che tali investimenti risulteranno poi utili, ed anzi essenziali, non solo all’aggiudicazione della singola gara, ma anche per rimanere competitivi in un mercato della PA sempre più qualificato ed esigente;

· maggiore attenzione alla fase esecutiva nel rispetto delle “promesse”: il nuovo codice prevede il rafforzamento dei controlli in fase esecutiva e la valorizzazione, attraverso il rating di impresa, dell’affidabilità dell’operatore economico; le imprese dovranno quindi porre maggiore attenzione alla qualità e rispondenza degli output rispetto a quanto specificato nel documento di gara per non incorrere in penali, risoluzione dei contratti o esclusione da gare successive.

Senza questo sforzo da parte di tutti gli attori del sistema il nuovo Codice dei Contratti Pubblici rischia di essere non soltanto l’ennesima occasione sprecata per promuovere la digitalizzazione del nostro Paese, ma persino un ulteriore pericolosissimo fattore di ritardo e complessità. E’ un rischio che il nostro Paese non può permettersi

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