Il quadro

Over the Netflix. Il futuro dei contenuti tv

In Italia tv vecchia e on demand convivranno. Non a caso le offerte lanciate (o prossime al lancio) di Infinity e River sono ad opera dei due operatori di pay tv che non sembrerebbero temere di cannibalizzare i rispettivi abbonati. Il rischio è per chi non si adegua in fretta

Pubblicato il 11 Feb 2014

Bruno Zambardino

direttore Osservatorio Media, I-COM

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Cambia la forma, si fa sempre più definito, si arricchisce con nuove funzionalità, va in rete, è in compagnia di altri device mobili: il nostro apparecchio televisivo non conosce crisi. Al contrario, sta attraversando una nuova fase di rinnovamento, ennesimo atto di una rivoluzione che dura da anni e che tiene il passo dell’evoluzione tecnologica. Una rivoluzione che non pregiudica l’uso dell’apparecchio televisivo ma le modalità con cui questo viene guardato.

D’altra parte che la si guardi in maniera tradizionale, che se ne utilizzino le tante funzionalità di fruizione a richiesta o in differita, o che la si scelga per guardare video su Internet, è indubbio che guardare la tv continui ad essere il nostro intrattenimento domestico preferito. Se da un lato infatti, il consumo televisivo continua ad aumentare – 4 ore e 34 minuti in Italia nel primo semestre 2013 secondo Médiamétrie, 4 minuti in più rispetto all’anno precedente, superiore alla media europea di 3 ore e 55 minuti – dall’altro il televisore “connesso” sempre più frequentemente viene utilizzato per guardare video su Internet. Lo conferma una ricerca di Accenture del febbraio 2013, che mostra che la tv è al primo posto per visualizzazione su Internet di programmi completi (70%) e contenuti live (65%) nelle abitazioni americane e britanniche.

Finita l’era delle masse di spettatori che si adattano alla tv di palinsesto, oggi sono dunque i contenuti e i device da cui sono trasmessi a modellarsi sulla base delle esigenze degli utenti.

Ne risulta un consumo personalizzato, frantumato e social-oriented.

Chi guarda la tv oggi non si accontenta più dei vecchi programmi rivolti a tutti della televisione generalista di una volta, richiede una fruizione personalizzata, mentre sta svolgendo varie attività in multitasking. Ha probabilmente un tablet o uno smartphone con cui sta cercando informazioni sul programma che sta guardando, oppure sta controllando le mail o chattando con gli amici su una delle tante piattaforme di social network. Probabilmente starà commentando su Twitter in tempo reale quello che sta guardando in tv o starà condividendo qualche contenuto speciale correlato alla sua serie televisiva preferita.

Accenture evidenzia che il 62% dei partecipanti alla propria survey (utenti statunitensi che utilizzano Internet), nel primo trimestre 2012 utilizza il pc o il portatile mentre guarda la tv, il 41% svolge qualche attività sul proprio smartphone, mentre l’11% lo fa con il tablet. Tutti questi dispositivi rendono dunque la visione televisiva più interattiva, più di consumo e più condivisibile.

Le trasformazioni radicali che stanno cambiando il panorama mondiale dell’offerta e dei servizi sono dovute in particolare all’ingresso sul mercato degli OTT (Netflix, Hulu, Amazon…) che, attivi in tutte le fasi della filiera audiovisiva, dalla produzione alla distribuzione, stanno spingendo ad un riposizionamento degli operatori tradizionali, in particolare telco e broadcaster, i quali, vedendosi minare le posizioni acquisite in anni di dominio del mercato, sono costrette a rimodellare i proprio modelli di business – in particolare lato pay – in un ottica multimediale e flessibile.

Oggi è Netflix a fare scuola. Il gigante americano dei servizi video on demand, nato nel 1997 comeservizio online di noleggio dvd e videogames, ha oggi 41 milioni di abbonati in tutto il mondo e un catalogo di 50 mila titoli. In Europa è presente in Gran Bretagna, Olanda e Paesi Scandinavi.Difficile replicare il successo della multinazionale americana, che recentemente ha superato il colosso HBO per numero di abbonati negli Stati Uniti (33 milioni contro 28,7 milioni).

La sua espansione in Europa sta impensierendo non pochi broadcaster, che, anticipandone le mosse, stanno correndo ai ripari. Nascono quindi offerte del tipo Now Tv di BSkyBnel Regno Unito (annunciato anche in Italia con il nomeSky River), o il servizio OTT Infinity di Mediaset. Si tratta di offerte che hanno il loro punto di forza nell’estrema flessibilità, bassi costi e nessun vincolo contrattuale.

Come si può constatare il mercato dei servizi audiovisivi continua ad essere dinamico più che mai grazie ai nuovi device, all’evoluzione tecnologica e all’ingresso di nuovi attori lungo tutta la filiera. All’interno di questo variegato mondo è possibile individuare alcuni driver di sviluppo che forniscono segnali chiari del processo in atto.

Innanzitutto il subscription video on demand sta erodendo l’audience televisiva tradizionale, in particolare i modelli pay. Negli Stati Uniti vari network televisivi, tra cui HBO e Showtime hanno ridotto il bacino abbonati di sei punti percentuali in due anni. Parallelamente i servizi SVOD sul modello di quello di Netflix hanno aumentato gli iscritti del 4% (fonte NPD Group). Di conseguenza la penetrazione tra le abitazioni dotate di connessione a Internet si è ridotta dal 38% al 32% a favore delle compagnie che offrono servizi SVOD che hanno oggi una penetrazione nel mercato del 27% delle famiglie statunitensi connesse.

Netflix è leader sul mercato di questi servizi, ma della crescita appena descritta sembrerebbero essersi avvantaggiati soprattutto i competitor Hulu Plus e Amazon Prime, che lo scorso anno hanno rosicchiato al colosso di Reed Hastings rispettivamente il 2% e l’1% del mercato dei film visti online, poca roba considerato che il 90% della torta è saldamente nelle sue mani.

Tuttavia non tutti gli studi giungono alle stesse conclusioni. Una ricerca diffusa quasi contemporaneamente da The Diffusion Group ha messo in evidenza che quasi 90% degli utenti di banda larga possiedono un abbonamento ad almeno una pay tv, tale percentuale sale nella fascia di età sopra i 35 anni. Lo studio dimostrerebbe in sostanza che le due offerte, al momento, possono continuare a convivere senza grossi problemi da entrambi i lati.

In effetti, a ben vedere, quest’ultima tesi troverebbe conferma in Italia, dove le offerte lanciate (o prossime al lancio) di Infinity e River sono ad opera dei due operatori di pay tv che non sembrerebbero temere di cannibalizzare i rispettivi abbonati. I due servizi, la risposta dei due massimi operatori italiani all’annuncio dell’arrivo di Netflix in Italia, hanno ridisegnato il panorama nazionale delle offerte on demand, presidiato da Cubovision e Chili Tv e da alcuni operatori internazionali come Apple I-Tunes. Un panorama che si prevede ancora più ricco se altre multinazionali come Amazon, Yahoo e soprattutto Google/YouTube che di recente ha lanciato all’estero i suoi primi canali a pagamento, decideranno di penetrare il nostro mercato.

Una sfida non senza rischi, per i broadcaster, che dovranno competere in un mercato che supera i confini nazionali, allo scopo di conquistare una nuova fetta di mercato digitale, senza, allo stesso tempo, perdere terreno sul mercato dei rispetti abbonati ai pacchetti pay, che potrebbero essere attratti da offerte più economiche e meno impegnative del ramo online.

Resta il nodo delle licenze territoriali per la circolazione dei contenuti, altro driver di sviluppo del settore. Su questo tema è recentemente intervenuta la Commissione europea che ha avviato un’inchiesta per indagare su presunti impedimenti alla visione transfrontaliera causati da accordi di licensing tra emittenti europee e studios americani. Accordi che, impedendo l’acquisizione di clienti all’estero, porrebbero ostacoli alla concorrenza all’interno del mercato comunitario. L’indagine, che coinvolgerebbe anche Sky Italia, è volta a verificare se i criteri di esclusività su base territoriale con cui i contenuti audiovisivi sono ceduti in licenza agli operatori di pay tv, ovvero un unico broadcaster in ciascun Paese, violino la concorrenza all’interno del mercato comunitario. D’altra parte non è intenzione della Commissione chiedere alle major di contrattare una licenza unica per tutti gli Stati, dato che, cadendo le protezioni territoriali si metterebbero in crisi i meccanismi di valorizzazione e remunerazione dei diritti.

Gli esiti di questa inchiesta formale non sono da sottovalutare, poiché potrebbero modificare le attuali regole del gioco, che favoriscono i detentori dei diritti e le reti televisive, ma non certo gli utenti. Si tratta dunque di un segnale importante a tutela dei consumatori e del loro diritto di accedere a contenuti pay in qualunque parte d’Europa, a maggior ragione in un periodo in cui il mercato dell’audiovisivo volge sempre di più verso convergenza tra piattaforme e consumo personalizzato.

Niente di strano comunque che le grandi battaglie tra operatori mirino all’ottenimento dei diritti. Nell’ultimo anno Netflix aveva perso molti dei fornitori di contenuti che avevano contribuito all’aumento del numero di iscritti (in particolare le pay-tv Starz ed Epix), ma questo non ha scoraggiato i vertici dell’azienda, che lo scorso dicembre hanno messo a segno l’ennesimo colpo annunciando un accordo esclusivo che metterà a disposizione del portale alcuni dei classicidella Disney e, a partire dal 2016, anche le nuove uscite, nella finestra di rilascio applicata di solito alle pay tv. In altre parole nei 6-9 mesi successivi all’uscita in sala, gli abbonati al servizio avranno a disposizione i film di Walt Disney Animation Studios, della Pixar, della Marvel, di Disneynature (e presumibilmente anche della Lucas Film) in contemporanea con i grandi network e in esclusiva tra le piattaforme on demand.

Ma Netflix non mira solo a acquisire contenuti: la sua politica del doppio pedale mira anche a produrre contenuti originali, essenziale per restare in piedi un mercato sempre più affollato e competitivo. D’altra parte il CEO Reed Hastings non ha fatto mistero di voler competere con i grandi network statunitensi e costruire una propria identità di rete.

Un anno fa dunque,ha sottratto a HBO e AMC per 96 milioni di dollari i diritti della serie tv di successo House of Cards, di David Fincher, stravolgendo la logica dei palinsesti mettendo a disposizione del pubblico le 13 puntate contemporaneamente a cui vanno aggiunte Arrested Development (andata in onda su Fox per tre stagioni dal 2003 al 2006) la serie Hemlock Grovedal filmmaker horror Eli Roth e Orange Is the New Black, di Jenji Kohan.

Accorciando le finestre di rilascio competendo direttamente con la pay tv, sia nell’acquisizione che nella produzione di contenuti originali, il colosso statunitense darebbe un grosso impulso al cord cutting. Fenomeno che anche nell’evoluto mercato televisivo americano incontra resistenze dovute ai tentativi di lasciare invariati i tradizionali modelli di business, ostacolando, allo stesso tempo, la creazione di un’offerta legale di contenuti in rete.

Da citare, a titolo esemplificativo, la resistenza verso i nuovi modelli di business di HBO, emittente via cavo che, pur avendo un proprio business online, il portale HBO GO, ha mantenuto legati gli abbonati alla pay tv e quelli del servizio streaming.

Resistenze che sembrerebbero legate non solo alla volontà di non intaccare gli introiti derivanti dalle attività tradizionali, ma anche alla reticenza di altri anelli della filiera come le telco. Basti pensare al contenzioso tra Netflix e Verizon sulla net neutralità risoltosi a favore dell’operatore telco che potrebbe determinare che i fornitori di rete intaschino una parte dei profitti dei fornitori di contenuti. Una resistenza che si traduce, tra le altre cose, in un impulso alla pirateria. Un esempio? “Game of Thrones”, serie esclusiva di HBO, che non è interessata a venderne i diritti online, con quasi 6 milioni di dowload è la serie più piratata del 2013.

Non è facile prevedere cosa succederà in futuro. Quel che è certo è che broadcaster, telco, OTT, costruttori di device si stanno muovendo in un’ottica convergente. Ne è la dimostrazione la discesa in campo di Verizon, che, acquisendo gli asset di Intel Media, si assicurerebbe un sistema di prodotti e servizi cloud-based e, provvedendo all’ottenimento delle necessarie licenze di proprietà intellettuale,potrebbe utilizzare la piattaforma OnCue di Intel. Nel Regno Unito Vodafone e BSkyB stanno pensando a far convergere i propri servizi per offrire ai propri clienti pacchetti comprensivi di tv, Internet e telefonia mobile e fissa. L’operazione, controffensiva di Vodafone nei confronti della crescita di BT sul fronte contenuti, potrebbe portare sulla banda larga ultraveloce dell’operatore telco i canali di sport e cinema di BSkyB.

In conclusione: è in atto una corsa da parte di tutti i soggetti in campo verso il controllo dei contenuti il cui reale valore è di difficile quantificazione: non si tratta infatti di valutarne semplicemente il budget o il costo di produzione ma di capire quando rende illoro sfruttamento prolungato nel tempo e sulle varie piattaforme.

VOD e SVOD stanno accorciando progressivamente le finestre di rilascio. Basti pensare che a poche settimane dal debutto la piattaforma Mediaset Infinity ha voluto festeggiare il riconoscimento internazionale del cinema italiano offrendo in mobilità, a 99 centesimi, il film di Paolo Sorrentino “La Grande Bellezza”migliore pellicola straniera ai Golden Globe e candidata all’Oscar, per tre giorni, nel weekend 17-19 gennaio.

Una tendenza già riscontrabile, ma che sarà ancora più valida nei prossimi anni, e che nel mercato dei contenuti disponibili in rete cresce la concorrenza e c’è spazio per tutti. L’arrivo di Netflix nel Regno Unito non ha infatti spazzato via Sky, iPlayer e Lovefilm.

Il rischio è che le reti tv che non si attrezzeranno in tempo possano perdere la propria rendita di posizione: bene hanno dunque fatto Mediaset e a breve Sky a lanciare i loro servizi Infinity e River, poiché, e questo è chiaro sin da ora, a vincere la sfida saranno gli operatori che si dimostreranno crossmediali e multidevice, investendo allo stesso tempo su contenuti e accordi di licenza. Investire sui contenuti non significa solo pensare alla loro distribuzione. Netflix insegna quando sia importante, in questo frangente, scommetteresui nuovi contenuti e sul sostegno a produzioni indipendenti.

I benefici di tanto dinamismo sono e saranno visibili a tutti: ma a guadagnarci sono soprattutto gli utenti, anello finale della catena, che avranno a disposizione un numero crescente di contenuti di qualità a prezzi sempre più competitivi.

(ha collaborato Monica Sardelli)

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