Superare la legge 241/1990 per liberare la crescita digitale del Paese

Per ripensare davvero la Repubblica con il digitale, e rendere possibile l’attuazione dell’Agenda digitale, è necessario cambiare le fondamenta del funzionamento della macchina pubblica ed attuare un vero “portafoglio progettuale”

Pubblicato il 17 Nov 2014

Giovanni Gentili*

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Pur essendo nata per innovare profondamente le PA, oggi la legge n.241/1990 (e la mentalità connessa) è diventata, paradossalmente, il più grande problema dell’Amministrazione pubblica ed ostacolo per l’esecuzione dell’Agenda digitale.

La legge 241, quando nasce negli anni ’90, fu profondamente innovativa e rispondeva ad una esigenza forte di cambiamento. La legge fu il frutto dei lavori del prof. Giannini negli anni ’70 (“rapporto sui principali problemi dell’amministrazione“) e della Commissione Nigro istituita dal Governo nel 1984. L’indirizzo governativo era teso alla “messa a fuoco di definiti diritti del cittadino nei rapporti con l’amministrazione per porre fine alle imperscrutabilità, alle immotivate lentezze, ai superati autoritarismi dei comportamenti amministrativi”. Agenda digitale, open data, open gov… potrebbero riassumersi ancora nello stesso slogan per quanto riguarda il quadrante delle PA.

Fondamentalmente sono due le materie trattate dalla legge 241, ed entrambe sono da superare (in massima parte) per motivi diversi:

  • norme sul diritto di accesso, che ad oggi richiede che il cittadino abbia un interesse diretto, concreto ed attuale per vedere un documento pubblico e non permette una vera trasparenza come nei paesi in cui vige un “Freedom of Information Act” (FOIA);
  • norme sul procedimento amministrativo, che oggi ostacola la trasformazione digitale impedendo di avere Amministrazioni che passino dal documento al dato” e lavorino secondo il paradigma servizi non procedimenti.

I passaggi che ci troviamo davanti si possono riepilogare come segue:

dalla legge 241/1990 all'era digitale


Sul diritto di accesso esiste una proposta di articolato di legge molto completa ed interessante, elaborata in rete in modalità collaborativa: vedere #foia4italy.

Esaminiamo invece, nel seguito, il tema dei procedimenti e degli atti amministrativi nell’era digitale, per i quali serve un nuovo “salto in avanti” come quello fatto dal legislatore nel 1990.

DAL DOCUMENTO AL DATO… DAVVERO

Perché liquidare una fattura in una PA deve richiedere la redazione di atti complessi e non semplicemente il riempire alcune caselle in un sistema contabile ERP? Naturalmente con tutta la tracciatura necessaria a garantire autorizzazioni, responsabilità e sicurezza IT.

La motivazione di un atto è solo un dato (uno dei tanti) di un sistema informativo e, quindi, l’atto stesso non serve più a nulla, non garantisce (se non in casi limite, tramite avvocati e TAR) ed in ogni caso non risponde ai bisogni del cittadino di oggi. Se nel 1990 il fatto che la motivazione di un atto fosse scritta in un documento appariva una garanzia, oggi quell’atto è il freno che ci impedisce di mettere le informazioni che ci riguardano in una banca dati e, quindi, poter avere servizi via web ed in tempo reale degni di questa epoca.

Una “Conferenza di servizi” (il “Sacro Graal” del coordinamento tra enti pubblici) si può oggi tenere a distanza ed in modo asincrono… oppure ci rifiutiamo di affrontare i problemi organizzativi che la bloccano?

Altro esempio: Siamo sicuri che ogni amministrazione deve avere un proprio sito indipendente? L’esperienza gov.uk dimostra il contrario, ma ha richiesto un lavoro notevole a partire da una vision chiara, fatto in modo progressivo, in co-design e monitorato pubblicamente.

Speriamo che il nuovo portale “ItaliaLogin” vada in questa direzione e non sulla strada degli “eventi della vita” (Stanca docet) o del portale “italia.it” (caro ed estinto).

LA PA EROGA SERVIZI, NON PROCEDIMENTI

Non basta “dematerializzare” un atto per cambiare davvero i servizi della PA. Non basta elencare procedimenti ed individuare responsabili (teorici) dei procedimenti per avere veri servizi efficienti (pensate che la legge non dà nemmeno una definizione di “procedimento amministrativo”…).

Occorre superare il concetto stesso di procedimento a favore di una logica basata sui servizi. Occorre individuare e riorganizzare i servizi erogati dalle PA per andare verso un ecosistema di servizi digitali sviluppati in collaborazione tra pubblico e privato. Occorre individuare i “servizi erogati” perchè oggi non sono affatto noti i servizi che un ente eroga, e questo dà luogo a molte sovrapposizioni tra enti diversi nonchè allo smarrimento del cittadino.

Non è importante quali procedimenti sono sottesi e quanti enti vi intervengono… per il cittadino è importante il servizio che riceve, quello che per lui è comprensibile ed ha un valore. Individuati i servizi si potranno definire sistemi digitali, API ed interoperabilità. Nella situazione attuale pensare a servizi integrati e multicanale è fantascienza.

Quindi l’Amministrazione pubblica deve descriversi in termini di servizi che eroga non in termini di procedimenti o unità organizzative. Basta rifarsi all’esperienza sul service design del governo inglese.

E’ importante porre l’accento sul fatto che la “trasformazione digitale” non è una cosa da mettere “lateralmente” o “sopra” qualcosa di esistente. La PEC è un esempio perfetto di qualcosa che replica logiche vecchie e si aggiunge all’esistente. Inutilmente… anzi, dannosamente.

Non possono esserci norme per il digitale che si assommano a quelle pre-esistenti che rimangono per il mondo “normale”. Normale perché chi vive nel divario digitale culturale ritiene il digitale sempre una cosa “strana”.

Il mondo è già stato cambiato dal digitale. La maggior parte delle norme e delle organizzazioni italiane sono, purtroppo, rimaste al prima.

NON GHETTIZZARE IL DIGITALE

Occorre, quindi, sicuramente abolire il CAD (d.Lgs. n.82/2005) e riportarne, i soli principi essenziali, direttamente nelle norme generali della PA come il d.P.R. n.445/2000 ed il d.Lgs. n.165/2001. Il CAD è, infatti, un “ghetto”, una norma ridondante, superata, poco conosciuta e pochissimo applicata. Talmente superata che continua a ruotare intorno al concetto di “documento” impedendo, nei fatti, di passare ad una PA che lavora sui dati. E spero che non si tenti di aggiungere al CAD ulteriori dettagli, perché sono quasi 10 anni che questo viene fatto in modo sistematico senza alcun effetto concreto.

La prima legge che eliminava i certificati è del 1969 (cioè nello stesso anno in cui noi ideavamo la “autocerficazione” nei laboratori DARPA accendevano ARPANET cioè il progenitore di internet). Vogliamo riprovarci? Sembra uno di quei film in cui il protagonista rivive sempre la stessa giornata…
Titolo: “Re-Italia: la Repubblica bloccata”.

Visto che l’Italia vive una grave condizione di divario digitale culturale, occorre portare il cambio di paradigma imposto dal digitale direttamente nei “luoghi” in cui il digitale solitamente non entra. Nelle norme primarie. Nel top management. Nei convegni che NON hanno per argomento informatica, innovazione e makers.

Ma va sottolineato che anche i cosiddetti “informatici” a volte si trovano in pieno divario digitale culturale. Il cambio di paradigma imposto, ad esempio, dal cloud computing è talmente profondo che per comprenderlo non basta possedere competenze digitali specialistiche (come sapere cos’è la virtualizzazione). Non a caso, le ricerche ci dicono che la trasformazione digitale oggi è portata avanti nella maggior parte dei casi da uffici diversi dai classici “sistemi informativi” (nel 54% dei casi dai CMO, nel 42% dal CEO, nel 29% dai CIO/CTO).

Servono competenze manageriali di e-leadership, e questo per tutto il management non solo per quello “informatico”. Altrimenti nelle PA si continuerà a parlare di riuso, cioè di un’esperienza fallimentare, nemica del FLOSS e superata dal concetto stesso di cloud. Altrimenti nel privato il processo di scoperta imprenditoriale (entrepreneurial discovery) resterà una chimera.

Speriamo che i “digital champions” diffusi, ideati da Riccardo Luna, possano sensibilizzare il Paese rispetto all’emergenza italiana del divario digitale culturale.

CAMBIARE VERSO… NON “APPARENZA DIGITALE”

Ci troviamo oggi in un momento decisivo: il Governo avvia la nuova Strategia nazionale per la Crescita digitale e porta avanti il Disegno di legge delega sulla riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, le regioni si trovano ad Agire le agende digitali per la crescita, nella programmazione 2014-2020.

Questo è, quindi, il momento giusto per ripensare profondamente la Repubblica con il digitale. Altrimenti ogni tentativo di attuazione dell’agenda digitale rimarrà impantanato.

Non mettiamo una toppa nuova (di “apparenza digitale”) su un vestito vecchio: occorre incidere sulle fondamenta del funzionamento della macchina pubblica e questo sarà un importante driver di cambiamento anche nel settore privato.

ATTUARE LA STRATEGIA ATTRAVERSO UN “PORTAFOGLIO PROGETTUALE”

Se con la riforma della PA si metteranno le giuste fondamenta normative, occorrerà poi costituire un vero ciclo di pianificazione&controllo dell’ICT ed arrivare a definire un “portafoglio progettuale” complessivo e condiviso, in cui i singoli programmi & progetti sono poi portati avanti sia dai Ministeri che dalle Regioni, con responsabiltà chiare e co-progettazione aperta e continua.

Si tratta di prendere tutti gli elementi di strategia ormai definiti e, attraverso una sorta di “imbuto”, arrivare a definire dei “piani digitali triennali” sia a livello centrale che regionale. Per fare questo, il Comitato di indirizzo dell’Agenzia per l’italia digitale ha un compito importantissimo, definito dall’art.3 del DPCM 8 gennaio 2014 e cioè definire il “Modello strategico di evoluzione del Sistema Informativo della Pubblica Amministrazione” un documento che dovrebbe regolare il ciclo di pianificazione&controllo permettendo di passare dalle strategie alla definizione esatta di programmi&progetti da portare avanti.

Nella figura seguente viene riepilogato il quadro attuale, come delinato dal legislatore, a livello di strategie e di governance. Viene raffigurata anche una ipotesi del livello della pianificazione&controllo e del livello attuativo.

imbuto dell'agenda digitale parte 1

imbuto dell'agenda digitale parte 2

Il punto critico è oggi arrivare a definire le strutture di attuazione, ovvero definire un tassello rilevante che nella figura è definito “Portfolio, program & project management office (P3O)” che sia conviso tra più enti secondo una logica “hub&spoke“.

Si giocherà al livello dell’attuazione la partita più difficile per portare a casa tutti gli obiettivi definiti dalle “riforme” e nelle varie “agende”.

@giovannigentili

*L’autore è responsabile del progetto Agenda digitale dell’Umbria ma scrive a titolo personale

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