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Trasparenza della PA, tutto ciò che c’è da sapere sui nostri diritti

Dalla legge 241/1990 al d.lgs. 97/2016: come è cambiato il diritto a conoscere. Ecco il quadro completo fino al Foia, per orientarci in una normativa complessa

Pubblicato il 11 Lug 2016

Fernanda Faini

Responsabile assistenza giuridica amministrazione digitale Regione Toscana

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Il diritto a conoscere nei confronti delle amministrazioni pubbliche ha conosciuto un’evoluzione significativa nel corso degli ultimi anni in Italia.

Come si è sviluppato il right to know nel nostro Paese? Cosa è cambiato nei diritti dei cittadini con il recente d.lgs. 97/2016?

Il principio di trasparenza ha incontrato un crescente interesse nei suoi confronti da parte della normativa, particolarmente accentuato negli ultimi anni in corrispondenza con l’evoluzione del modello di amministrazione pubblica verso l’open government. Il principio di trasparenza si pone infatti come chiave per garantire l’apertura del patrimonio informativo pubblico, che permette un controllo costante dell’attività da parte dei cittadini, promuovendo al tempo stesso la responsabilità degli amministratori pubblici.

La trasparenza, quale strumento atto a garantire il buon andamento e l’imparzialità delle istituzioni, caratterizza la pubblica amministrazione già nella legge 241/1990, come modificata nel 2005, in cui si pone come principio dell’attività amministrativa, accanto ai criteri di economicità, efficacia, imparzialità e pubblicità (art. 1, comma 1). Il principio di trasparenza si configura come garanzia di accesso per coloro che ne hanno diritto (artt. 22 ss.), ma nell’evoluzione normativa si pone altresì quale accessibilità, che prescinde dalla sfera giuridica di determinati soggetti ed è idonea ad assicurare una conoscenza diffusa e generale delle informazioni.

Il principio di trasparenza trova un forte alleato nel web, capace di rendere l’informazione disponibile a un numero indefinito di soggetti, che possono fruirne in ogni momento da luoghi fisici diversi. Di conseguenza la trasparenza pervade fortemente il codice dell’amministrazione digitale, d.lgs. 82/2005, ponendosi come finalità principale e caratterizzandone le disposizioni: è stata poi accentuata dai successivi interventi normativi, che hanno incrementato l’insieme delle informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria sui siti istituzionali. Fra questi interventi la legge 69/2009 non si è limitata ad aumentare le informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria, ma ha previsto, altresì, che gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti web da parte delle amministrazioni.

Nello sviluppo del principio di trasparenza la c.d. Riforma Brunetta (legge delega 15/2009 e relativo d.lgs. 150/2009) costituisce un passaggio particolarmente rilevante, dal momento che, con riferimento all’organizzazione e alla gestione del personale pubblico, ha previsto il concetto di total disclosure, ossia l’accessibilità totale delle informazioni coniugata alla finalità di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità (art. 4, comma 7, legge 15/2009 e art. 11, comma 1, d.lgs. 150/2009 – l’art. 11 del d.lgs. 150/2009 è stato abrogato dal d.lgs. 33/2013).

Successivamente il principio di trasparenza è stato ulteriormente disciplinato da regole, direttive e linee guida emanate nel corso degli anni e finalizzate a rendere le amministrazioni vere e proprie case di vetro, definendo caratteristiche e contenuti del sito web quale porta di accesso al patrimonio informativo delle amministrazioni pubbliche (è il caso della direttiva n. 8 del 26 novembre 2009 e delle relative Linee guida per i siti web della PA del 26 luglio 2010, poi aggiornate, delle delibere CiVIT – ora ANAC – e di una serie di Vademecum di approfondimento).

La stessa profonda modifica del d.lgs. 82/2005 recata dal d.lgs. 235/2010, che ha fatto parlare di nuovo codice dell’amministrazione digitale, ha inciso sugli strumenti con cui si garantisce la trasparenza, ampliandoli e cercando di conferire loro maggiore effettività.

Le meritevoli enunciazioni di principio che caratterizzano l’evoluzione normativa, quale lo stesso concetto di accessibilità totale, sono state prive troppo spesso di forti meccanismi di enforcement e ciò ha portato a una situazione di frammentarietà e ridondanza delle norme in materia e a un alto tasso di inosservanza, problematiche cui il d.lgs. 33/2013 ha tentato di ovviare.

Il d.lgs. 33/2013, in attuazione della cosiddetta legge Anticorruzione, legge 190/2012, ha effettuato un corposo riordino degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni, dividendoli in macro-ambiti (organizzazione e attività, uso delle risorse pubbliche, prestazioni e servizi…) e ha fornito il principio di trasparenza di un solido fondamento quale canone interpretativo e di orientamento, in posizione servente verso una serie di principi della Costituzione (art. 1).

Il decreto Trasparenza ha disposto il “diritto alla conoscibilità” di documenti, informazioni e dati oggetto di pubblicazione obbligatoria: a fini di omogeneità, ha previsto una specifica sezione del sito web istituzionale, denominata “Amministrazione Trasparente”, in cui tali contenuti devono confluire, dettagliandone organizzazione e struttura, e ha dedicato particolare attenzione alla qualità delle informazioni. Per garantire effettività, sono previsti meccanismi di enforcement, quali la vigilanza sull’attuazione delle disposizioni e la presenza di sanzioni. In particolare, al fine di permettere un controllo dei cittadini, agli obblighi di pubblicazione veniva collegato un istituto, l’accesso civico (art. 5), che consisteva, prima della riforma del d.lgs. 97/2016, nel diritto di chiunque di richiedere documenti, informazioni e dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, nei casi in cui fosse stata omessa la loro pubblicazione, senza nessuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva, senza necessità di motivazione e gratuitamente; alla richiesta l’amministrazione era tenuta a provvedere entro 30 giorni.

Pertanto il d.lgs. 33/2013 rafforzava il principio di trasparenza con l’accesso civico, ma non poneva un diritto generale all’informazione, prevedendo come oggetto qualsiasi dato: si prevedeva la pubblicità necessaria di specifici documenti, dati e informazioni, garantiti dalla possibilità di azionare il diritto di accesso civico, che aveva come presupposto l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione.

Pertanto, prima della riforma del d.lgs. 97/2016, al di fuori dei casi di pubblicazione obbligatoria, la trasparenza è facoltativa, a seguito della scelta discrezionale dell’amministrazione, e la disciplina di riferimento resta quella della legge 241/1990, che per l’esercizio del diritto di accesso prevede alcuni requisiti necessari:

Ø la legittimazione soggettiva: il diritto di accesso spetta a tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (art. 22);

Ø la motivazione: la richiesta di accesso deve essere motivata (art. 25).

La distanza dalla freedom of information è anche nel limite al controllo generalizzato («non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni» – art. 24 legge 241/1990).

Il diritto di accesso, ai sensi della legge 241/1990, si esercita con la visione e l’estrazione di copia dei documenti amministrativi (e non qualsiasi dato o informazione): l’amministrazione ha un termine di 30 giorni per rispondere, altrimenti la richiesta si intende respinta. E’ prevista una serie ampia di esclusioni e limitazioni (art. 24), relative alla difesa di interessi pubblici e privati, quali il segreto di Stato, il segreto statistico, il segreto industriale e la protezione dei dati personali. A presidio della normativa, sono previste specifiche figure quali il difensore civico e la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, con la funzione di vigilare sul rispetto delle disposizioni e valutare i ricorsi avverso il diniego di accesso.

Pertanto, prima della riforma, la normativa italiana fa emergere un diritto a conoscere condizionato, dal momento che il cittadino deve dimostrare la propria legittimazione e fornire una motivazione: il right to know non è tutelato in se stesso, ma nella misura in cui coincide con gli obblighi di pubblicazione che fanno scattare l’accesso civico ai sensi del d.lgs. 33/2013.

Anche a seguito delle sollecitazioni della società civile, come l’iniziativa Foia4italy, oggi è stato approvato il decreto legislativo 97/2016 che, in virtù della delega di cui all’art. 7 della legge 124/2015 (c.d. legge Madia), ha modificato il d.lgs. 33/2013, al fine di garantire un vero e proprio “diritto a conoscere” nei confronti delle istituzioni.

Cosa cambia nel nostro ordinamento?

A seguito della riforma, nell’ordinamento giuridico italiano convivono due strumenti di accesso, dei quali i cittadini possono avvalersi:

1. l’accesso ai sensi della legge 241/1990, che necessita di legittimazione soggettiva e di motivazione, come sopra specificato. Questa forma di accesso non viene superata dal d.lgs. 97/2016, che esplicitamente afferma che restano ferme le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo V della legge 241/1990;

2. l’accesso civico “generalizzato” ai sensi del d.lgs. 33/2013, come modificato dal d.lgs. 97/2016, che viene profondamente reinterpretato: chiunque senza motivazione ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalla P.A., non solo quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria. L’accesso civico non ha più come presupposto l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione, come nel d.lgs. 33/2013, ma è agibile da chiunque senza motivazione anche sui dati e sui documenti detenuti dalla P.A. ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione. Il Consiglio di Stato ha opportunamente parlato al riguardo di trasparenza di tipo “reattivo”, cioè in risposta alle istanze di conoscenza avanzate dagli interessati, che si aggiunge a una trasparenza di tipo “proattivo” realizzata grazie alla pubblicazione sui siti istituzionali dei documenti, informazioni e dati indicati dalla legge (d.lgs. 33/2013).

A seguito di istanza, il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di 30 giorni e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso devono essere motivati con riferimento ai casi e ai limiti stabiliti. Accanto al ricorso al giudice amministrativo e alla possibilità di richiesta di riesame al responsabile della prevenzione e della trasparenza dell’amministrazione (che decide con provvedimento motivato entro 20 giorni), è prevista la possibilità del rimedio stragiudiziale, in particolare nel caso di atti delle regioni o degli enti locali, costituito dal ricorso al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che si pronuncia entro 30 giorni: laddove non istituito la competenza è attribuita al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore.

Le amministrazioni pubbliche e gli altri soggetti previsti devono adeguarsi alle modifiche introdotte e assicurare l’effettivo esercizio del nuovo diritto di accesso civico, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto. Il d.lgs. 97/2016 prevede, infatti, l’approvazione di linee guida recanti indicazioni operative, adottate dall’ANAC, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza Unificata, ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti dell’accesso civico. La normativa dispone, infatti, il diniego dell’istanza di accesso civico in caso di “pregiudizio concreto” alla tutela degli interessi pubblici e privati tutelati e previsti: al riguardo sono disposte eccezioni particolarmente ampie e talvolta persino generiche, come gli interessi pubblici inerenti «la politica e la stabilità economica e finanziaria dello Stato».

Alla luce dell’evoluzione intensa della trasparenza e dei cambiamenti intercorsi, l’ordinamento italiano prevede oggi un nuovo diritto di libertà, il diritto a conoscere; devono essere approvate le linee guida e il diritto deve diventare effettivo: ancora c’è una importante strada da percorrere nella definizione operativa dello stesso.

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