Regolamento Consob

Crowdfunding, pro e contro

Ancora non ci sono iscritti al registro per il crowdfunding, ma le prime attività sono attese a inizi 2014. Il regolamento protegge da truffe, ma non obbliga a informare tempestivamente sulla vita della società. A differenza di quanto avviene all’estero. Poca chiarezza anche sulle tempistiche. Il giudizio di fondo però è positivo, secondo Umberto Piattelli, autore del recente Il Crowdfunding in Italia

Pubblicato il 01 Nov 2013

Federico Guerrini

giornalista

crowdfunding

Nei mesi scorsi si è parlato molto di crowdfunding, nel nostro Paese. Giornalisti e operatori del settore hanno festeggiato, comprensibilmente l’approvazione, a luglio, del regolamento Consob in materia, il primo in Europa e uno dei primi al mondo. Ma cosa è successo dopo? Il regolamento è diventato operativo? C’è già qualche raccolta fondi in atto? E quali sono i limiti e le avvertenze da seguire per chi voglia avventurarsi in questo settore?

“Per quanto riguarda l’operatività – risponde l’avvocato Umberto Piattelli, socio dello studio legale Osborne Clarke, e autore de “Il crowdfunding in Italia” – il regolamento è entrato in vigore all’inizio di luglio, quindi già da qualche mese, anche se fino a pochi giorni fa nell’apposito registro dei soggetti autorizzati ad operare nella raccolta fondi, non c’era ancora alcun iscritto. Cosa curiosa visto che noi stessi, come studio, abbiamo incontrato parecchi soggetti interessati ad avviare le procedure necessarie”. Proprio pochi giorni fa, subito dopo il nostro colloquio con l’avvocato, con delibera del 18 ottobre, è stata autorizzata l’iscrizione del primo gestore di un portale per la raccolta di capitali per start up innovative, la Stars Up Srl, di Livorno.

I soggetti abilitati ad operare, secondo la Consob, ricadono in due categorie: nella prima figurano i gestori cosiddetti di diritto: società di investimento o banche che offrono servizi di investimento; nella seconda invece troviamo i gestori di portali professionali creati apposta per offrire servizi di equity crowdfunding. “C’è una differenza sostanziale fra le due tipologie – spiega Piattelli – i primi sono autorizzati a seguire intero processo di raccolta, comprese le fasi di sottoscrizione degli ordini, e di pagamento; i secondi invece possono fare attività di promozione, ma devono appoggiarsi invece ai primi per quanto riguarda la sottoscrizione e la raccolta fondi”. Si tratta di un problema più che altro tecnico: nel primo caso l’architettura del sito Internet consente sia di fare pubblicità a un progetto che di curare in prima persona la raccolta fondi e la gestione degli ordini; nel secondo caso occorre far uscire dal proprio portale l’utente e mandarlo su un’altra pagina Web dove potrà effettuare queste operazioni. La somma massima che è possibile raccogliere con questo sistema, è stata fissata dalla Consob in 5 milioni di euro nei dodici mesi; “sopra tale cifra – dice il legale – si applicano le norme sui prospetti del Testo Unico della Finanza e questo cambia tutto, è un altro mondo, le procedure sono molto più complicate. Sotto tale cifra invece, i limiti dipendono solo dalla bravura di chi gestice la piattaforma di raccolta fondi e dalla bellezza del progetto”.

Per veder concretizzarsi davvero le prime esperienze di equity crowdfunding italiane, bisognerà però attendere ancora qualche mese: “dato che i primi soggetti sono stati ammessi solo di recente ad operare – conferma l’avvocato – ormai non penso che possa esserne varata una entro il 2013; ci vuole tempo per pubblicizzare i progetti, metterle sul sito dare tempo agli investitori di contribuire alla raccolta, si parla perlomeno dell’inizio del prossimo anno“. Sarà allora che si vedrà se tutte le preoccupazioni e le cautele che hanno preceduto e seguito l’approvazione del regolamento Consob – una normativa innovativa non solo a livello italiano ma europeo – avevano ragione di essere.In particolare, quelle relative alla possibilità di incappare in delle truffe. Soprattutto guardando alla questione dal punto di vista dell’investitore, specie il piccolo risparmariatore che potrebbe ritrovarsi, magari, a finanziare un progetto che poi non viene mai realizzato o che viene realizzato in maniera molto diversa da quanto annunciato.“La logica del regolamento – sottolinea ancora Piattelli – è stata proprio quella di proteggere in maniera rilevante il consumatore, addossando ai gestori dei portali notevoli obblighi, soprattuto di natura informativa; c’è l’obbligo ad esempio di redigere un piccolo prospettino in cui vengono spiegati tutti gli aspetti relativi all’investimento. Il che non significa che non possano sorgere problemi in seguito”. “Ritengo però – prosegue il legale – che il tema delle truffe sia un po’ esagerato. Il problema è piuttosto garantire che chi ha raccolto i soldi li usi come ha promesso. Gli investitori dovrebbero essere sempre tempestivamente aggiornati sull’andamento del business della società, sui fatti di rilievo della gestione, sulle deliberazioni di natura societaria che possono riguardarli o avere un rilevante impatto sulla vita associativa o sull’attività dell’azienda, e sulle le transazioni che hanno ad oggetto il capitale sociale“. In questo il regolamento non è particolarmente utile, non ponendo specifici obblighi nei confronti di emittenti o portali. Si potevano forse dare delle direttive, o indicare delle best practices. I più importanti portali di crowdfunding che operano all’estero quest’obbligo relativo all’attività informativa e di comunicazione, se lo sono dati da soli.


Un’altra questione non contemplata espressamente dal regolamento, è quella delle tempistiche. Non è stato fissato, infatti, un tempo massimo per raccogliere le sottoscrizioni, una volta attivata la raccolta fondi. Per Piattelli, questo dipende soprattutto dalla mancanza di esperienze simili a cui fare riferimento. “Considerato che, dall’entrata in vigore del Regolamento Consob, non ci sono piattaforme che abbiano già attivato il processo di raccolta con modalità equity crowdfunding, non esiste un modello precostituito, C’è poi da considerare che a determinare le tempistiche per le sottoscrizioni possono concorrere tre variabili: il tipo di piattaforma, il tipo di società e il tipo di sottoscrizione. Questo fa sì che sia impossibile stabilire un orizzonte temporale univoco”. Un aspetto anch’esso oggetto di discussione, fra gli esperti che si dedicano a interpretare il regolamento, è quello del cosiddetto “mercato delle quote“. Vale a dire: se io, come finanziatore, ho cambiato idea e voglio recedere dall’investimento, posso vedere la mia partecipazione azionaria. In teoria, sarebbe possibile, ma nella pratica ostacoli di natura tecnica e burocratica fanno ritenere il contrario. “Il regolamento secondo me, e qui parlo da avvocato – afferma Piattelli – non lo vieta, ma due funzionari Consob presenti a un recente convegno hanno dichiarato che secondo loro non si può fare, si può vendere solo al momento della realizzazione dell’investimento o della cessione della società a terzi; in ogni caso chi lo volesse fare si troverebbe di fronte a un grosso problema tecnico: le quote si possono trasferire solo tramite apposito atto redatto di fronte a un notaio o con l’aiuto di un commercialista. Questo renderebbe molto difficile creare un “mercato” delle sottoscrizioni”.

A parte questi lati oscuri, e la lentezza nell’implementazione e iscrizione delle socieà che aspirano ad svolgere attività di raccolta fondi nell’apposito registro, il giudizio complessivo sul regolamento Consob è tutto sommato positivo. “È abbastanza in linea – commenta l’avvocato -con le attese e con quanto previsto in altri Paesi della comunità europea”. Forse si potevano prevedere oneri regolamentari un po’ più leggeri nei confronti dei gestori portali non professionali, dato che non possono svolgere né raccolta fondi né ordini. “Poi – aggiunge Piattelli – c’è un’anomalia tutta italiana: la limitazione del crowdfunding alle sole startup innovative, cosa che non esiste da nessun altra parte. Che me è stato delle altre piccole e medie Imprese? Va detto che questo nelle intenzioni della Consob questo è probabilmente solo un primo passo, per saggiare le potenzialità dello strumento e poi estenderlo eventualmente ad altre tipologie societarie”.

Da ultimo c’è la norma che prevede la presenza obbligatoria di investitori “professionali” (come banche, fondazioni bancarie e incubatori di startup) per almeno il 5% del capitale. Senza, non si può completare la raccolta, il che complica parecchio le cose per chi vuole finanziarsi, oltre a mettere i cosiddetti investitori istituzionali in una situazione paradossale: “non si comprende infatti – chiosa l’avvocato – perché investitori professionali e fondazioni bancarie dovrebbero essere interessati ad investire in siffatte entità che, per le dimensioni delle relative offerte, sono, nella migliore delle ipotesi, oggetto dell’attenzione di fondi di Venture Capital o di Business Angels”.

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