La riflessione

Esiste un’intelligenza digitale e può essere dimostrato

Una nuova specie in via di apparizione sta popolando le nostre case e le nostre scuole, si tratta dei “nativi digitali”, i bambini nati dopo la rivoluzione Internet. Numerosi studi confermano che la loro intelligenza è diversa

Pubblicato il 11 Feb 2013

Paolo Ferri

Professore Ordinario di Tecnologie della formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca

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La rivoluzione digitale sembra aver prodotto una trasformazione più radicale di quella tecnologica, una vera e propria “trasformazione antropologica” e sembra configurare l’emergere di una nuova forma di intelligenza umana, l’intelligenza digitale, appunto. L’”intelligenza digitale” è nata, infatti, dagli effetti combinati dell’affermarsi della rivoluzione digitale cui abbiamo assistito negli ultimo trent’anni e dell’adattamento proattivo a questi cambiamenti della capacità cognitiva della specie umana: i protagonisti di questa “mutazione antropologica” sono i “nativi digitali”, i bimbi e i pre-adolescenti nati a partire dalla fine degli anni Novanta. L’intelligenza digitale è all’opera, ad esempio, quando clicchiamo su un link ipertestuale all’interno di una pagina Internet o facciamo seguire a Super Mario un percorso piuttosto che altro nel suo mondo virtuale attraverso i controller della Wii.

Sono le neuroscienze, in primo luogo, a portare le prove dell’esistenza di questa nuova intelligenza. Nel 2012, gli scienziati del University College di Londra guidati da Geraint Rees, ad esempio, hanno recentemente studiato l’effetto di Facebook sul cervello di 125 ragazzi “forti” utenti del social network di Zuckerberg. Esaminando il loro cervello attraverso le tecniche del neuro-imaging 3D, si è scoperto un aumento della materia grigia nell’amigdala (zona cerebrale coinvolta nella memoria emozionale) dei giovani che avevano il maggior numero di amici su Facebook è cioè un potenziamento dell’intelligenza emotiva (http://www.ucl.ac.uk/news/news-articles/1110/11101801-facebook-friends-linked-to-size-of-brain). Sempre nel 2012 gli scienziati della Jao Tong Medical School di Shanghai (Fung et alii, 2012), hanno studiato con tecniche analoghe il cervello dei forti utenti di Internet e scoperto che presenta un anomala quantità di materia bianca (i fasci di fibra nevosa ricoperti di mielina che collegano encefalo e midollo spinale) nelle zone dove hanno sede il controllo neuromotorio, l’attenzione, e le funzioni esecutive; l’interpretazione di questo dato è controversa; più connessioni neurali e quindi più creatività e idee oppure meno attenzione e riflessione? Quello che è certo è che il nostro cervello sta cambiando molto velocemente.

La causa della sua trasformazione, anche a livello biologico, non solo culturale è molto probabilmente nell’interazione con i nuovi media. Si tratta perciò di un fenomeno correlato alla estrema plasticità neurale del nostro sistema nervoso, in particolare nelle prime fasi della vita, ma che perdura nell’arco di durata di tutta la vita (una scoperta degli ultimi 15 anni). Il cervello umano è infatti molto più plastico (Fisher, 2007) di quanto si ritenesse in precedenza ed evolve e si modifica permanentemente e in modo individuale e molto personale (Koizumi, 2000), sviluppando e intersecando intelligenze differenti e reti neurali sempre più ramificate e complesse in risposta agli stimoli di un ambiente sempre più digitalizzato ed interconnesso.

Afferma a questo proposito la psicologa statunitense Patricia Greenfield su Science, in un articolo dove ha analizzato più di 50 studi relativi agli effetti dei nuovi media sulle dinamiche neurali “ogni medium sviluppa nuove capacità cognitive a spese di altre: stare molte ore al computer, anche per un video gioco, ad esempio, migliora la nostra intelligenza spazio-visuale e ci abitua a seguire più segnali simultaneamente” (Greenfield, 2009, pp. 67-79).

La co-evoluzione tra tecnologie digitali e il loro uso sociale ed individuale ha, perciò, dato vita ad un nuovo modo di pensare, di vedere e costruire il mondo.

Ma quali caratteristiche ha l’”intelligenza digitale”? Le ricerche nel campo della neurofisiologia e delle neuroscienze, testimoniano il fatto che l’attività cerebrale venga profondamente modificata dall’utilizzo dei media digitali, o meglio vengono radicalmente modificale le immagini delle aree di attivazione neurale che vengono rilevate dalle PET e dalle RMN durante l’utilizzo di schermi interattivi rispetto ai loro corrispettivi analogici e gutemberghiani: intelligenza spaziale, multitasking, conoscenza per esplorazione e scoperta sono i principali tratti di questa nuova modalità di interagire con il mondo. Inoltre alcune aree cerebrali sembrano svilupparsi maggiormente in presenza di un uso quotidiano dei media digitali e di Internet riprogrammando le nostre menti come sostengono molti neuroscienziati ad esempio il giapponese Koizumi (Koizumi, 2005), uno dei più grandi esperti mondiale delle studio funzionale delle dinamiche cerebrali (PET, RNM). Non è affatto detto che questa trasformazione debba essere considerata così catastrofica come la considerano alcuni studiosi ad esempio Nicholas Carr nel suo controverso Internet ci rende stupidi (2010).

Il genere homo sta trasformandosi da homo sapiens sapiens a homo sapiens digitalis. Lo stesso Howard Gardner, grande studioso dell’intelligenza e teorico delle intelligenze multiple, in un paper del 2003 ipotizza l’esistenza di questo tipo di “intelligenza tecnologica” (Gardner, 2003). Ma è Antonio Battro (Battro 2007), neuro-scienziato dell’MIT e di Harvard, e Chief educational Officier del progetto OLPC1, ha sistematizzato per la prima volta il concetto di intelligenza digitale. Anche le scienze dell’educazione confermano questa tesi, come emerge anche da recenti ricerche (OCDE 2010, BECTA 2008, Maddalen, Pew internt Reserch Project 2010), esse ci indicano come l’”intelligenza digitale” sembra essere una facoltà particolarmente sviluppata nei “nativi digitali” tra gli zero e i dieci anni, i bimbi più “connessi” dimostrano infatti migliori risultati nei test sull’apprendimento. Proviamo a indagare questo nuovo dominio delle facoltà cognitive dei nostri figli che è stato recentemente individuato. Seguiamo Battro nel suo ragionamento. “Pensiamo che l’intelligenza digitale si fondi su un’operazione cognitiva che permette al soggetto la selezione di un alternativa semplice: si/no. Possiamo chiamarla opzione click ed è l’unità fondamentale dell’intelligenza digitale (ad esempio ciò che permette la scelta tra un link, o un tasto piuttosto che un altro). Si tratta di un abilità di carattere eminentemente pratico e pragmatico non teorico. Dobbiamo constatare che la crescita di questa “abilità digitale” è stata rapidissima ed esplosiva negli ultimi due decenni con la diffusione senza precedenti dei personal computer, degli smart phone e dei tablet” (Battro, 2007, p.22).

In effetti mentre le operazioni logico-simboliche, caratteristiche dell’intelligenza matematica o logico-linguistica, richiedono, fasi avanzate dello sviluppo e si manifestano verso il 7/8 anni, lo schiacciare tasti e il fare click sui link di un pagina web è un’attività molto elementare. L’intelligenza digitale non è la capacità di elaborare simboli astratti ma si tratta di un altro tipo di facoltà mentale e cerebrale di tipo pratico. I nativi digitali i sono così bravi con i device multimediali e ipermediali perché sono nati in mondo di schermi interattivi, per questo il loro cervello è più adattato del nostro al nuovo mondo degli schermi touch. Internet e dei media digitali ha attivato uno sviluppo eccezionale di questa facoltà di base – l’opzione Click– , che era rimasta meno sviluppata nelle epoche pre-digtali (Battro, 2007, pp. 29-30). Lo scarto evolutivo che caratterizza i “nativi digitali” è proprio quello che li sta portando a sviluppare in maniera rapidissima, una serie di nuove abilità cognitive legate alla pratica continua dell’opzione Click che permettono loro di gestire con molta maggior facilità le dinamiche di interazione con i device elettronici e quindi di costruire nuovi e più efficaci pattern di adattamento cognitivo al mondo che li circonda.

Riteniamo- come dovrebbe essere risultato chiaro dalle nostre affermazioni precedenti- che la diffusione dei media digitali nel campo della comunicazione e della trasmissione della conoscenza abbia rappresentato un punto di discontinuità radicale e per così dire senza ritorno nella storia evolutiva dell’umanità. Il digitale come tecnologia caratterizzante dell’intrattenimento, della socialità e della cultura partecipativa dei “nativi” identifica perciò un punto di cesura radicale rispetto al passato che a nostro avviso rende inutili e forse un po’ oziose le polemiche tra fautori e detrattori della “transizione al digitale”. Il digitale è qui per restare e con lui dobbiamo convivere. Ogni salto di paradigma implica un certa incommensurabilità con il paradigma precedente, in questo caso con la Galassia Guntemberg e oggi non ci sembra piu’ necessario discutere ragionare e ricercare credendo di essere ancora nel paradigma precedente e “condannando” o “elogiando” il nuovo. Oggi siamo nel nuovo e dobbiamo capirne ed analizzarne le caratteristiche positive o negative che siano e questo perché abbiamo il dovere di consegnare alla generazione dei “nativi digitali” il patrimonio di 6.000 anni di cultura analogica.

Bibliografia

Battro, A., Denham P. J. (2007) Hacia un inteligentia digital, Buenos Aires : Academia Nacional de Educación, 2007.

Becta, 2008a, Harnessing Technology: Schools Survey 2008 (eds) Paula Smith, Peter Rudd and Misia Coghlan, disponibile al sito

http://partners.becta.org.uk/uploaddir/downloads/page_documents/research/ht_schools_survey08_executive_report.pdf

Carr, N., (2010) The Shallows: What the Internet is Doing to Our Brains, W. W. Norton, New York

CERI-OECD (2010), Are new millennium learner Making the grade. Technology use and educational performance in PISA, CERI-OECD, Paris

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Ferri P., Mantovani, S. (2006), Bambini e computer. Alla scoperta delle nuove tecnologie a scuola e in famiglia, RCS Etas, Milano.

Fischer, K. W., Bernstein, J. H., & Immordino-Yang, M. H. (Eds.). (2007) Mind, brain, and education in reading disorders. Cambridge U.K.: Cambridge University Press.

Fuchun Lin, Yan Zhou et alii (2012), PLoS ONE 10 January 2012 | Volume 7 | Issue 1 | e30253, Abnormal White Matter Integrity in Adolescents with Internet Addiction Disorder: A Tract-Based Spatial Statistics Study, www.plosone.org

Gardner, H. (1983), Frames of Mind: the Theory of Multiple Intelligences, Basic Books, New York; tr. it. Formae mentis. Saggio sulla pluralità delle intelligenze, Feltrinelli, Milano 1987a.

Greenfield, P., Technology and Informal Education: What Is Taught, What Is Learned, Science, 2 January 2009, pp. 69-79, DOI: 10.1126/science.1167190

Koizumi, H. (2005). «Brain-Science & Education» programs at the Japan Science and Technology Agency (JST). En Brain, science and education. Saitama: Japan Science and Technology Agency.

Maddalen, M., (2010), Comments from the Pew Research Center’s Internet & American Life Project in the Matter of: Empowering Parents and Protecting Children in an Evolving Media Landscape, FCC 09‐94, MB Docket No. 09‐194 http://www.pewinternet.org/Commentary/2010/February/FCC-Comment-Empowering-Parents-and-Protecting-Children.aspx

1 Per il progetto OLPC si vede la sua descrizione nel capitolo 2 del presente volume e al sito http://www-static.laptop.org/it/index.shtml, un biografia di Antonio Battro italiana di Antonio Battro può essere reperita al seguente indirizzo Web http://www-static.laptop.org/it/vision/people/index.shtml

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