la proposta

Cinque leggi per salvare internet (e il mondo) dai monopoli tecnologici

Aumento delle concentrazioni, aumento delle disuguaglianze, conflitti tra interessi dei big digitali e dei privati, crisi degli Stati nazionali. Qualcosa con internet è andato senza dubbio storto. Qui proponiamo alcune leggi che potrebbero servire da indicazione per normative sovranazionali

Pubblicato il 15 Gen 2020

Giuseppe Attardi

professore di Informatica all'Università di Pisa

mondo-digitale

I pionieri della rivoluzione informatica e della rete immaginavano che l’avvento di Internet e del digitale avrebbe portato maggiore libertà, da filtri e censure, maggiore uguaglianza, stesse opportunità per tutti, eliminazione di intermediazioni e parassitismi, allargamento della democrazia, partecipazione più vasta e maggiore trasparenza, arricchimento delle persone con libero accesso al sapere e a servizi pubblici per utilizzarlo.

Questo in larga misura è effettivamente accaduto, ma negli ultimi dieci anni le cose hanno preso una deriva inaspettata, se oggi gli intermediari sono diventati potenti, concentrati in poche mani e a volte in grado di condizionare gli individui e la società più che in passato.

I meccanismi base del digitale

Le accelerazioni che sono avvenute tramite la tecnologia digitale possono essere spiegate per effetto delle seguenti leggi esponenziali:

  • Legge di Moore
  • Legge di Zipf

La legge di Moore è la più nota e riguarda la tecnologia: descrive la velocità di crescita della potenza di elaborazione dei computer. Essa spiega cosa ha consentito di rendere possibile realizzare dispositivi portatili sofisticati a costi abbordabili e di espandere la connettività in Internet a 4 miliardi di persone.

Figura 1. La legge di Moore.

La legge di Zipf, o curva della popolarità, è una legge di potenza con esponente negativo, ossia ha una forma discendente anziché crescente. Essa deriva dai limiti della mente umana, che può ricordare solo poche cose alla volta e spiega come l’attenzione umana finisca per concentrarsi su pochi elementi. Si applica a qualunque personaggio pubblico (cantanti, attori, politici, influencer), prodotto (canzone, libro, smartphone) o servizio che utilizziamo (motori di ricerca, social network, negozi online, servizi video, servizi di prenotazione di alberghi, prenotazione di aerei. L’effetto finale è che in ciascun settore solo pochissimi emergono rispetto a tutti gli altri e la differenza tra i primi e i successivi è esorbitante. La figura riporta l’esempio dei video più visti su YouTube.

L’attenzione si concentra sui pochi in cima alla lista, che la catturano quasi interamente, lasciando pochissimo spazio agi altri.

Figura 2. La legge di Zipf.

È un fenomeno che è sempre esistito, ma che nel modo digitale globale viene portato agli estremi, perché la velocità con cui si forma la concentrazione e la sua dimensione globale sono inaudite. È un fenomeno anche profondamente ingiusto e crudele: coloro che scalano le vette delle classifiche a volte hanno dei meriti giustificati, altre volte beneficiano solo dalla fortuna di essersi trovati a cavalcare un’ondata improvvisa al momento giusto. Non esiste infatti una ricetta per diventare ad esempio degli influencer di successo: il più delle volte il risultato è dovuto al caso, una particolare circostanza che ha posto l’attenzione di molte persone su un fenomeno e questo stesso fatto ha portato l’attenzione ad altre persone attraverso i media che hanno amplificato il fenomeno.

Le distorsioni del digitale

Le due leggi si combinano dando luogo agli effetti in qualche modo perversi che osserviamo oggi. Gli effetti positivi della legge di Moore producono ad esempio effetti distorsivi sul sistema economico-sociale a causa delle concentrazioni che nascono a causa della legge di Zipf. Purtroppo non abbiamo a disposizione nessun antidoto per contrastare gli effetti di queste concentrazioni per vari motivi: le norme di contrasto alle concentrazioni e ai monopoli sono state concepite nel periodo ottocentesco, quando questi fenomeni avvenivano circoscritti all’interno di nazioni e del loro potere giurisdizionale; la velocità con cui il fenomeno è accaduto supera i tempi di reazione dei legislatori; il potere economico delle concentrazioni è di gran lunga superiore a quello delle concentrazioni del passato; i nuovi tycoon del digitale sono abili nel presentarsi come innovatori e nell’apparire di operare a vantaggio degli utenti (secondo il vecchio motto di Google: “Don’t be evil”) e persino di offrire servizi gratuiti.

Ma ci sono altre conseguenze da tenere in considerazione. La grande concentrazione fa crescere esponenzialmente anche i guadagni, e questo consente un accumulo di capitale che consente alle aziende di espandersi in altri settori, senza preoccuparsi di un ritorno dell’investimento. Ad esempio, Google era in origine un motore di ricerca, da cui ricava tuttora la quasi totalità dei propri guadagni, ma si è espansa nel mondo dei video (YouTube), degli smartphone (Android e Pixel), della posta elettronica (Gmail), del GIS (Google maps), degli assistenti vocali (Google Home), del cloud computing oltre che in imprese meno di successo come la realtà aumentata (Google Glass), social media (Google+), o le flying cars (Kitty Hawk). Amazon era in origine un servizio di vendita di libri online, ma poi si è espanso ad altri settori, prima coi vestiti e gli oggetti per la casa e poi qualunque merce e poi il cibo (Whole Foods), cloud, video (Amazon Prime Video), produzione cinematografica (Amazon Studios), giornali (Washington Post) e ultimamente anche la formazione.

L’espansione in nuovi settori è stata possibile utilizzando spesso sussidi incrociati per le nuove attività, ossia operando in perdita sui nuovi servizi, finanziandoli con le entrate da altri. Inoltre, l’immenso accumulo di capitali consente di effettuare acquisizioni di potenziali concorrenti, o usarle per espandersi in nuovi settori (Android da parte di Google per gli smartphone, Instagram da parte di Facebook, ecc.). Queste operazioni pongono ostacoli ai nuovi entranti con uno squilibrio immenso. In una mia recente conversazione coi dirigenti di Dropbox, l’azienda che ha inventato il Sync&Share di file su cloud, questi mi hanno espresso la preoccupazione di venire annullati da prassi discriminatorie nei loro confronti. In particolare, Dropbox, per sopravvivere dopo che i prezzi del puro servizio di condivisione di file sono scesi sottocosto, in quanto Google e Microsoft forniscono a prezzi stracciati spazio disco a coloro che acquistano i servizi Office 365 o Google G Suite, ha introdotto un proprio servizio di trattamento di documenti online. Ma Microsoft non consente al software di Dropbox di accedere ai file su OneDrive, costringendo gli utenti a usare i propri servizi. Matt Stroller arriva a scrivere sul New York Times che “Tech Companies Are Destroying Democracy and the Free Press”.

Il caso Amazon

Amazon è un caso estremo che ha raggiunto dimensioni impressionanti e una diffusione tentacolare in svariati campi: Amazon Marketplace è il numero 1 nel commercio online, di cui detiene il 48% negli USA, AWS è il n. 1 nel cloud computing, con il 49% del mercato (3 volte il secondo, in base alla legge di Zipf) e inoltre e ancor più preoccupante, il 44% del Web gira su AWS, Alexa è il n. 1 tra i voice assistant, con 20 milioni dispositivi (5 volte Google Home, sempre Zipf), Amazon Prime Video è il n. 2 tra i servizi di video streaming, n. 6 tra i servizi di music streaming. Amazon ha acquisito Kiva Systems, l’azienda che forniva i servizi robotizzati di logistica, togliendola dal mercato e mettendo in difficoltà i suoi competitori che si servivano anch’essi di Kiva.

Figura 3. Le acquisizioni di Amazon.

Di recente Amazon si è allargata anche alla distribuzione farmaceutica e al settore delle assicurazioni sanitarie. Charles Duhigg sul New Yorker si chiede se Amazon sia divenuta ormai non più arrestabile.

Capitalismo Immateriale

Stefano Quintarelli analizza le caratteristiche e l’impatto dirompente della tecnologia digitale nel libro “Capitalismo Immateriale” (Bollati Boringhieri). Quintarelli concorda che i grandi attori, custodi delle nostre identità, conservano tutti i nostri dati e tendono a espandersi su tutti i terreni dell’informazione, controllando e influenzando ampie sfere delle relazioni sociali ed economiche. La globalizzazione si intreccia intimamente con lo sviluppo della tecnologia, che tende a concentrare il mondo in un punto. Esiste quindi una tensione tra cittadini e multinazionali e un effetto rete e di lock-in: la risorsa scarsa è l’attenzione dell’utente.

Quintarelli ritiene tuttavia che sia possibile riequilibrare il mercato tramite regolamentazioni. Nelle conclusioni afferma: “Nella attuale forma che ha assunto il capitalismo immateriale, la riduzione di gettito fiscale, il condizionamento dell’opinione politica, le pressioni su lavoratori e operatori tradizionali, il senso di irrilevanza e disagio percepito da larga parte della popolazione e l’esacerbazione del discorso pubblico sono solo epifenomeni derivanti da una causa comune: la prevalenza dell’informazione monopolistica/monopsonistica su capitale e lavoro, figlia di un complesso di regole inadeguate per orientare lo sviluppo della dimensione immateriale verso obiettivi socialmente desiderabili.” Quintarelli conclude dicendo che è necessaria una presa di coscienza di questo nuovo conflitto di intermediazione tra l’informazione e la produzione che è insorto a causa di un complesso di regole inadeguate per orientare lo sviluppo della dimensione immateriale verso obiettivi socialmente desiderabili. Affinché questa presa di coscienza si traduca in azione politica, è necessario che gli intermediati la esigano, rispondendo all’appello: “Intermediati di tutto il mondo, unitevi!”.

Surveillance Capitalism

Nel libro intitolato “The Age of Surveillance Capitalism”, l’economista Shoshana Zuboff, dell’università di Harvard, racconta la storia della rivoluzione digitale e di come le prime prospettive utopiche della rete si oscurarono in “una mutazione canaglia del capitalismo segnata da concentrazioni di ricchezza, conoscenza e potere senza precedenti nella storia umana”.

Figura 4. Il panopticon digitale.

Il capitalismo di sorveglianza è un processo di mercato in cui il prodotto in vendita sono i dati personali e la cattura e produzione di questi dati avviene attraverso la sorveglianza in massa in internet. Questa attività viene svolta spesso da aziende che forniscono servizi online gratuiti, come i motori di ricerca (Google) o le piattaforme di social media (Facebook). Ciò avviene spesso all’insaputa o senza piena consapevolezza degli utenti. I dati sono usati per influenzare le nostre scelte (prodotti o partiti). Il fenomeno crescita strabiliante: i GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft) sono tra le prime 6 ditte al mondo.

La diffusione di sensori renderà il capitalismo di sorveglianza ancora più pervasivo e inglobato nelle nostre vite. Google ha ammesso di aver analizzato la corrispondenza privata trasmessa via Gmail. Il modello di business di Facebook è basato anche sulla cattura e l’accesso alle informazioni personali. La metafora che Zuboff usa è quella della conquista del West: le esperienze umane private rappresentano un territorio vergine di conquista da parte del primo capace di accaparrarsele. I prodotti in questo mercato siamo noi stessi utenti che veniamo venduti a terzi. È un procedimento fondato su algoritmi predittivi, calcoli matematici del comportamento umano. I capitalisti di sorveglianza “vendono certezza ai clienti commerciali che vorrebbero sapere con certezza cosa facciamo. Non solo pubblicità mirate, perché le aziende vogliono anche sapere se venderci un mutuo, un’assicurazione, cosa farci pagare, se guidiamo in sicurezza. Vogliono sapere il massimo che possono ottenere da noi in una transazione. Vogliono sapere come ci comporteremo per sapere come meglio influenzare il nostro comportamento”. Il modo migliore per rendere le previsioni efficaci per i loro clienti è assicurarsi che si realizzino: “Assimilarci, convogliarci, modellarci e spingerci nella direzione che crea la massima probabilità di successo commerciale. Non c’è altro modo di descrivere questo se non come una modifica dei comportamenti”. Nel 2012 e 2013, Facebook ha condotto “esperimenti di contagio su vasta scala” per vedere se potessero “influenzare emozioni e comportamenti nella realtà, aggirando la consapevolezza dell’utente”. “L’epoca del capitalismo di sorveglianza è una lotta titanica tra il capitale e ciascuno di noi. È un intervento diretto sul libero arbitrio.” I nostri intimi dettagli personali vengono catturati, senza averne il diritto.

Tali violazioni minacciano la nostra libertà. “I filosofi considerano il libero arbitrio come un collegamento tra presente e futuro. Ci ripromettiamo di fare qualcosa in futuro – andare a una riunione, fare una telefonata. Se veniamo trattati come una massa di ‘utenti’, per essere raggruppati in branco e persuasi, questo impegno perde ogni valore. Dovrebbe essere una mia libera scelta decidere se la mia faccia diventa un dato, se la mia casa, la mia macchina, la mia voce diventano un dato.”

Meritocrazia dai dati

I dati raccolti, oltre che diventare merce di scambio, possono diventare la fonte di una meritocrazia basata sui dati. Ad esempio, le assicurazioni sanitarie usano i dati per prevedere i rischi di malattie e calcolare di conseguenza le tariffe, le banche usano dati per concedere crediti. Ma uno dei più inquietanti esempi è il sistema di credito sociale adottato in Cina. A ciascun cittadino viene assegnato un punteggio che rappresenta la sua condizione economica e sociale. L’episodio Nosedive della serie Black Mirror, mostra gli effetti devastanti sulla vita di una persona che l’uso di tali meccanismi comporta.

Disuguaglianza Crescente

L’economista francese Thomas Piketty ha studiato le dinamiche di lungo periodo della disparità di reddito. Nel XX secolo, ci sono voluti grandi shock (guerre, depressioni, rivoluzioni) perché le élite accettassero riforme sociali e fiscali che alla fine hanno portato alla riduzione della disuguaglianza. Egli osserva i seguenti fatti:

  • Crescente disuguaglianza nei paesi emergenti e nel mondo post-coloniale. Si tratta di un fenomeno non coerente con il modello standardizzato di globalizzazione a due abilità. Essa produce regimi di disuguaglianza estrema: Medio Oriente, Brasile, Sudafrica. È quindi necessario andare oltre la prospettiva occidentale sulla disuguaglianza.
  • Il ritorno di una società patrimoniale (o basata sulla ricchezza), la caduta della ricchezza pubblica. La disuguaglianza di ricchezza potrebbe aumentare di nuovo. Serve una tassazione progressiva della ricchezza netta.
  • L’aumento delle disuguaglianze si collega la struttura mutevole del conflitto politico e spiega perché vediamo più populismo xenofobo e politica basata sull’identità piuttosto che più politica di classe e crescente domanda di ridistribuzione.

Il Trionfo dell’Ingiustizia

Un allievo di Piketty, Gabriel Zucman, è consigliere economico della senatrice Elizabeth Warren, candidata alla presidenza degli USA. Zucman e Warren propongono iniziative di legge per riequilibrare la grande ingiustizia della distribuzione del reddito e del contributo alle spese pubbliche.

La Warren sostiene che l’ascesa di alcuni grandi giganti della tecnologia ha ostacolato l’innovazione e danneggiato le piccole imprese. La mancanza di concorrenza ha portato a minori tutele della privacy e ha danneggiato l’economia generale. Quanto alle concentrazioni nelle aziende high tech, la Warren propone quindi:

Figura 5. Collasso del reddito della metà inferiore della popolazione.

  • dividere le aziende Big Tech, annullando precedenti acquisizioni, come Instagram e WhatsApp da parte di Facebook
  • chi gestisce un mercato online non può offrire servizi in competizione con gli utilizzatori delle piattaforme.

La posizione europea

Margrethe Vestager, commissario europeo per la Concorrenza, afferma: “Con la legislazione europea si possono dividere le grandi aziende tecnologiche, ma non saprei nemmeno esattamente come fare, e poi cosa otterrei se le dividessi? Mi sembra che sia più interessante definire gli obblighi che devono essere rispettati da un’azienda che detiene una posizione dominante. Abbiamo pensato che Internet avrebbe consentito una società più libera e aperta in cui le persone si sarebbero liberamente connesse tra loro e ciò che abbiamo, in realtà, è un gigantesco centro commerciale di informazioni”.

Riferendosi agli OTT e al predominio sulla concorrenza aggiunge: “Una delle cose che mi sono apparse più ovvie fino ad ora e che in questa nuova economia non competi solo per il 20 o il 30 % del mercato, in realtà si compete per tutto il mercato, per dominarlo. A causa di ciò puoi diventare il creatore delle regole, un regolamentatore privato, non un’autorità con un sostegno a base democratico”.  Secondo la Vestager “tutto ciò non sarebbe negativo, se queste regole, permettessero la libera concorrenza. Tuttavia, quello che abbiamo visto in tre casi contro Google è che questo non è quello che succede, che le regole che impongono sono Google First e perciò dobbiamo fare qualcosa, ma allo stesso sappiamo che non lo possiamo fare senza imporre nuove regole. “Entro 6 mesi” – aggiunge il commissario – entrerà in vigore la nuova regolamentazione “Platform to business” che darà a ciascun operatore certi diritti, il diritto di sapere perché e come sono classificati e cosa fare se non si trova”.

Le cinque leggi dell’economia robotizzata

Occorre introdurre delle leggi dell’economia robotizzata, da aggiungere alle leggi della robotica di Asimov, che evidentemente non immaginava gli esiti devastanti della robotica applicata su scala globale.
Le leggi dell’economia robotica si applicano non ai robot, ma alle aziende che usano la robotica e in generale la tecnologia accumulando profitti e concentrazione su scala globale inusitata. L’idea che servano leggi universali anche per i robot-operator è discussa nel saggio di Jack Balkin, The Three Laws of Robotics in the Age of Big Data:

  • Non potrai acquisire più del 25% in società che operano in settori non strategici al tuo business principale
  • Potrai dedurre dalle tasse tutti gli utili donati ad agenzie di ricerca e innovazione pubbliche, in proporzione agli utili prodotti in ciascuna nazione
  • Se non destini almeno il 30% di ciò che investi in innovazione secondo la legge 2, I risultati delle tue attività di ricerca saranno di pubblico dominio
  • Non potrai rivendere come servizi a terzi quelli che si basano sulla stessa infrastruttura usata per la tua attività principale
  •  I dati raccolti sulla base di interazioni con individui, devono essere messi a disposizione di chiunque li richieda ad un costo equo, nel rispetto delle stesse condizioni di privacy con cui sono stati raccolti.

La legge 1 serve per garantire la concorrenza e lo spazio per la nascita di nuove aziende. La legge 2 serve ad assicurate pari opportunità ai ricercatori ovunque operino, evitando che siano le aziende private a decidere su quali iniziative investire ed evitate che ricerche che richiedono massicci investimenti possano essere svolte solo da e presso le aziende colossi.
Un tempo la ricerca di base, che richiedeva fondi cospicui, veniva affidata alle agenzie pubbliche che potevano disporre di fondi adeguati che nessuna impresa privata aveva o poteva permettersi singolarmente di destinare alla ricerca: vedi Mariana Mazzucato, Lo Stato Innovatore. Oggi, con le restrizioni di bilancio da una parte e le concentrazioni oligopoliste dall’altra, la situazione si è ribaltata e gli stati non hanno la possibilità di sostenere adeguatamente i propri ricercatori.
La legge cerca anche di garantire pari opportunità ai diversi paesi, evitando che l’innovazione si concentri solo in alcuni più fortunati.

La legge 3 lascia la possibilità di fare ricerche in proprio, ma se non si contribuisce significativamente alla ricerca pubblica, i risultati debbono tornare alla comunità. La Legge 4 serve a evitare una forma di cross subsidy mascherato, sfruttato ad esempio nei servizi cloud. Le economie di scala ottenute nella realizzazione dei propri servizi vengono sfruttate per offrire altri servizi a costi inferiori rispetto a quelli di mercato. La legge 5 intende salvaguardare la proprietà dei dati. Non è praticabile remunerate singolarmente ogni utente per i dati che contribuisce (volontariamente o inconsapevolmente) anche perché il dato di un singolo utente ha un valore infinitesimo. Il valore è attribuibile all’insieme dei dati raccolti ed è pertanto da considerare un bene comune, un bene collettivo, non individuale. Deve essere pertanto accessibile e fruibile dalla comunità che lo ha prodotto. Questa è la legge potenzialmente più dirompente perché rischia di minare quella parte di economia di sorveglianza basata sulla vendita dei dati raccolti.
L’intento sarebbe quello di smantellare il commercio dei dati e dei servizi pagati con la pubblicità. Le aziende che vogliono fare pubblicità mirata o fare analisi di mercato se le potranno fare da sole o incaricando aziende specializzate, senza che questo frutti guadagni a chi fa altri mestieri. Fornire servizi apparentemente gratuiti perché pagati con la pubblicità ha effetti distorsivi sull’economia, perché aumenta significativamente il prezzo dei prodotti ed è causa delle concentrazioni degli aggregatori. In un’era in cui l’informazione completa e perfetta è possibile mediante la rete, la pubblicità ha solo obiettivi distorsivi. Le informazioni sui prodotti e le loro caratteristiche sono presenti abbondantemente sul web e altrettanto le revisioni e i confronti critici che possono orientare le scelte coscienti dei consumatori.

Conclusioni

Qualcosa è effettivamente andato storto nell’evoluzione dell’economia digitale. Oltre agli indubbi benefici si sono prodotti effetti indesiderati:

  • Aumento delle concentrazioni
  • Aumento delle disuguaglianze
  • Conflitti che covano tra i colossi, i piccoli e gli interessi dei cittadini
  • Riequilibrare la situazione è difficile e non alla portata di autorità nazionali.

Abbiamo proposto delle leggi che potrebbero servire da indicazione per delle normative sovranazionali. Qualora Facebook o Amazon emettessero la loro cripto-valuta, assumerebbero uno dei poteri caratteristici di una nazione, e la situazione uscirebbe completamente al di fuori del controllo degli stati nazionali.

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La trasformazione digitale degli ospedali
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PA digitale, è la volta buona? Così misure e risorse del PNRR possono fare la differenza
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Comuni e digitale, come usare il PNRR senza sbagliare
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Pnrr e digitale accoppiata vincente per il 70% delle pmi italiane
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Fascicolo Sanitario Elettronico alla prova del PNRR: limiti, rischi e opportunità
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PNRR: come diventeranno i siti dei comuni italiani grazie alle nuove risorse
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Avio, 340 milioni dal Pnrr per i nuovi propulsori a metano
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Operativo il nuovo portale del MISE con tutti i finanziamenti per le imprese
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Il PNRR occasione unica per i Comuni digitali: strumenti e risorse per enti e cittadini
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Competenze digitali, partono le Reti di facilitazione
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