I nodi al pettine

Covid-19 e il ruolo (cruciale) della PA: i falsi dualismi da superare per uscire dalla crisi

Statalismo o regionalismo? Privacy o salute? Commissari con superpoteri o più fiducia in donne e uomini della PA? La soluzione è nel comune denominatore che risolve le tre false antinomie: la crescita della fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella scienza

Pubblicato il 15 Apr 2020

empowerment

La pandemia è un pettine che fa uscir fuori tutti i nodi che abbiamo nascosto in questi anni, tra questi il ruolo della pubblica amministrazione. E che in queste drammatiche settimane la PA sia centrale nella vita del paese è una constatazione facile.

Dalla Sanità, sorretta nella massima parte dal Servizio Sanitario Nazionale, con interventi della sanità privata molto diversi da regione a regione ma mai decisivi, alla Scuola che si sta reinventando, al faticoso e a volte scoraggiante iter delle misure a salvataggio dei più deboli: la reazione del Paese all’epidemia cammina sulle gambe delle donne e degli uomini che lavorano nella PA e sulle norme che regolano in forma più o meno rigida il loro lavoro. Insomma, sulla burocrazia.

È al di là degli obiettivi di questo contributo un esame approfondito del termine burocrazia, divenuto oggi sinonimo di stupida e a volte colpevole complicazione, dovuta a norme bizantine e a deresponsabilizzazione degli impiegati, che preferiscono obbedire alle regole che al buon senso. Una piccola nota però va fatta, il “potere degli uffici” non si contrappone storicamente – rileggiamo a tal proposito gli scritti di Weber così tanto citati e così poco letti – ad un potere libero e senza regole del popolo, ma al potere della tirannia, delle figure solitarie e carismatiche, delle tradizioni mai discusse. La burocrazia nasce quindi per dare oggettività e regole certe al potere e quindi diritti ai cittadini. Che non sia andata a finire sempre così è sotto gli occhi di tutti, ma questo non ci esime dal mirare ad un’amministrazione pubblica semplice, veloce e vicina, garante dell’effettiva fruibilità dei diritti di tutti, soprattutto dei più deboli, e non invece alla generica deregulation che, dove c’è stata, ha lasciato solo macerie, per altro ora ben visibili in questi tempi drammatici.

Tre false antinomie

Ma torniamo alla pandemia e ai bivi che oggi ci pone di fronte, a volte così tanto semplificati da media e commentatori da essere irriconoscibili ed essere scambiati quindi per un’unica via obbligata.

Esamineremo tre importanti alternative e vedremo che alla fine sono tutte ingannevoli, ma anche che hanno tutt’e tre uno stesso denominatore. La prima è se serva più o meno centralizzazione statale nella gestione dell’emergenza; la seconda è se valgono più i diritti individuali o la salute collettiva; la terza è se lo stato di eccezionalità in cui ci troviamo richieda una circolazione extracorporea o dobbiamo affidarci alla catena di comando e alla gerarchia esistente, magari rafforzandola.

Statalismo vs regionalismo

Che ci sia bisogno di una risposta centrale dello Stato in situazioni di emergenza non lo dice solo il buon senso, ma anche la Costituzione: all’art.120. Vale la pena di rileggerlo: “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso (…) di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Lo stesso articolo dice anche che comunque questi poteri non possono prescindere dal principio di sussidiarietà e di leale collaborazione

Stabilito quindi che lo Stato Centrale può sostituirsi, se necessario, come unico centro di comando alle Regioni, ma non può trascurare la leale collaborazione, ci si chiede se dalla lezione appresa, vedendo decisioni a volte contradditorie tra Regioni e tra queste e lo Stato, dobbiamo dedurre, come continuamente capita di leggere, che la regionalizzazione della Sanità è stata uno sbaglio e che dobbiamo abbandonare velleità autonomiste e tornare ad una sanità statale, sul modello francese. Personalmente trovo la soluzione semplicisticamente proposta peggiore del male. Male che non è il regionalismo né una autonomia più o meno rafforzata, ma l’isolamento e la presunzione autarchica. Dovunque il potere amministrativo è posto più vicino ai cittadini sia in termini di controllo, sia in termini di esercizio delle scelte ci troviamo di fronte ad una crescita della democrazia, se…

Sì, perché il punto è proprio in quel “se”.

È crescita della democrazia se una comunità locale non si arrocca e accetta invece con realismo il fatto che nessuno ce la può fare da solo, né la Regione, né il Comune né tantomeno lo Stato centrale.

È crescita democratica se l’autonomia regionale non diventa nuovo centralismo, ma opera con rispetto delle comunità locali e governando con un modello a rete.

È crescita della democrazia se i dati e le informazioni che la Regione ha e produce nelle sue funzioni sono messi a disposizione della comunità con una governance dei dati che renda trasparente il passaggio dai dati alle informazioni, da queste alla conoscenza diffusa e quindi alle decisioni condivise.

È crescita del capitale sociale di una Regione se si punta soprattutto all’empowerment dei cittadini per una loro maggiore e consapevole partecipazione alla vita comune in un momento così delicato, che non può essere risolto dalla paura delle multe o dai confini, ma solo da una convinta adesione ad un comportamento che sia utile a sé e alla collettività in un dualismo tra egoismo ed altruismo che è, in questo caso, profondamente sano.

Privacy vs salute

Ed è proprio dall’empowerment delle persone che partiamo per mettere in evidenza un secondo bivio, una seconda scelta che spesso le discussioni politiche di questi giorni ci mettono di fronte con una falsa semplicità, che alla fine è solo banalizzazione di temi complessi. La scelta è tra privilegiare la protezione dei dati personali ed evitare quindi una pericolosa invasione dello Stato nella nostra vita privata o invece passare sopra a questo diritto e, almeno temporaneamente, agire per proteggere soprattutto la salute come bene primario. La mia risposta è chiara ed univoca: non sono disposto a rinunciare né ai miei diritti di protezione dei miei dati che, come dice magistralmente Luciano Floridi, costituiscono la mia identità, né alla tutela della mia salute. Dice bene Harari in un suo recente articolo “Chiedere alle persone di scegliere tra privacy e salute è, in effetti, la vera radice del problema. Perché questa è una scelta falsa. Possiamo e dobbiamo godere sia della privacy che della salute. Possiamo scegliere di proteggere la nostra salute e fermare l’epidemia di coronavirus non istituendo regimi di sorveglianza totalitaria, ma piuttosto dando potere ai cittadini. Il monitoraggio centralizzato e le dure punizioni non sono l’unico modo per far sì che le persone rispettino le linee guida benefiche. Quando le persone vengono informate dei fatti scientifici e quando le persone si fidano delle autorità pubbliche per dire loro questi fatti, i cittadini possono fare la cosa giusta anche senza un Grande Fratello che vegli sulle loro spalle. Una popolazione auto-motivata e ben informata è di solito molto più potente ed efficace di una popolazione ignorante e controllata”.

In questo testo vediamo già riaffiorare lo stesso concetto del precedente falso dilemma tra statalismo e regionalismo: la chiave è nella fiducia dei cittadini che si conquista con una costante opera di empowerment.

In questi giorni abbiamo letto alcune, non molte per la verità, esperienze di mediazione tra diritti e prevenzione, tra tutte la più interessante appare quella di Singapore che ci ha segnalato Francesca Bria. Ma in Italia?

Come è noto una task force sta lavorando ora su questo tema e la Ministra dell’Innovazione Paola Pisano ha lanciato una call per trovare l’applicazione migliore. La scelta non è stata ancora fatta, ma i principi che la guideranno sono stati espressi dalla stessa Paola Pisano in una sincera e approfondita audizione alla commissione competente della Camera. In sintesi, dice la Ministra che qualsiasi scelta dovrà rispettare 7 criteri che mi sembra vadano nella linea indicata di empowerment dei cittadini e della costruzione delle condizioni di fiducia. Essi sono: 1. La volontarietà dell’uso; 2. la trasparenza del servizio e del suo funzionamento; 3. la gestione pubblica; 4. la garanzia dell’anonimizzazione dei dati; 5. la cancellazione dei dati individuali dopo la fine dell’emergenza; 6. l’efficacia della soluzione; 7. la minimizzazione dei rischi di reidentificazione dei soggetti a cui i dati individuali fanno riferimento.

Commissari ad acta vs donne e uomini della PA

Il terzo bivio a cui la pandemia ci ha posto di fronte è quello tra impiegare il massimo dello sforzo per aiutare l’amministrazione pubblica ad essere più semplice, veloce, vicina o sovrapporsi ad essa con strutture o poteri commissariali che la superino e la mettano in un qualche modo da parte. Su questo mi sono già espresso in un recente editoriale sul sito di FORUM PA e quindi sarò molto tranchant. Per essere più vicini ai cittadini in questo frangente, per rispondere con velocità e semplicità ai loro bisogni, a mio parere di tutto abbiamo bisogno meno che di commissari ad acta che si sostituiscano alle amministrazioni che non riescano a stare al passo con le esigenze e i tempi necessari. Non ce n’è bisogno sia perché deprimere le amministrazioni non può che essere controproducente, sia perché neanche un supereroe riuscirebbe da Palazzo Chigi a smuovere decine di migliaia di unità operative.

Solo usando la grande forza che è presente nell’amministrazione, giocando la partita assieme alle donne e agli uomini che vi lavorano con impegno, dando loro fiducia, ma anche strumenti e sostegno, sarà possibile vincere il combattimento non contro l’amministrazione pubblica, che è un nostro asset democratico, non un avversario, ma contro la stupidità della burocrazia degli adempimenti, che copre spesso interessi conservatori tutt’altro che sciocchi, ma invece furbi e spregiudicati.

Ho avuto la fortuna di conoscere molte delle 17 persone scelte dalla Presidenza del Consiglio per il Comitato di esperti in materia economica e sociale che avrà il compito di elaborare e proporre misure necessarie a fronteggiare l’emergenza e per una ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive. Sono persone di cui ho la massima stima e sono convinto che faranno un ottimo lavoro appunto di elaborazione e proposta. Sarebbe però a mio parere un grave sbaglio, anche in questo caso, cercare di operare a lungo scegliendo la circolazione extracorporea dei commissariamenti o dei poteri speciali. Benissimo quindi avere esperti di questo calibro come advisor, meno bene se a loro affidassimo delle responsabilità di scelte politiche che devono rimanere alle istituzioni democraticamente elette, su tutte il Parlamento e, attraverso la fiducia di questo, il Governo. Né tantomeno se affidassimo ad un direttorio poteri amministrativi per cui, nella fiducia e nel costante lavoro di empowerment, dobbiamo far crescere, con una circolazione regolare e corporea, l’amministrazione pubblica.

Conclusioni

Alla fine di questa panoramica non posso che riconfermare la tesi che volevo dimostrare: è profondamente fuorviante esaminare queste tre dualità con il gioco della torre, imponendoci, o peggio accettando che ci impongano, la scelta su cosa buttar giù. Credo che sia giusto pretendere autonomia e decentramento e insieme diritti uguali per tutti i cittadini; moderni e intelligenti metodi di prevenzione e tutela della salute, ma anche garanzia della protezione dei dati individuali; semplicità e velocità nell’esecuzione delle politiche, ma anche rafforzamento dell’amministrazione e crescita della discrezionalità della sua dirigenza.

Come fare è forse indicato dal comune denominatore che risolve le tre false antinomie: la crescita della fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella scienza. Una crescita che certo non può avvenire per decreto, ma verso cui dobbiamo incamminarci sin da ora per gestire questa emergenza, ma anche per trovaci pronti alle prossime, che senza essere profeta di sventura, non posso che vedere in un futuro che non cambi radicalmente modello di sviluppo. E purtroppo di questa trasformazione, per cui non bastano canti sui balconi o pubblicità convertita al buonismo, non si vede ancora traccia.

Del ruolo della PA in questo frangente, delle azioni che vanno intraprese per renderla più adeguata all’emergenza parleremo approfonditamente nel prossimo FORUM PA 2020 online dal 6 all’11 di luglio. Un grande evento digitale, una settimana online per discutere insieme di quello che abbiamo fatto, ma soprattutto di quel che ancor dobbiamo fare.

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