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Cultura digitale: come la Rete ha riscritto le regole della società



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Dall’avvento di ARPANET negli anni ’60 alla società interconnessa di oggi, la cultura digitale ha ridefinito il modo in cui comunichiamo, apprendiamo e interagiamo. Partecipazione attiva, digitalizzazione e condivisione delle informazioni caratterizzano questa nuova era, che offre infinite possibilità ma presenta anche sfide significative come il digital divide e la dipendenza tecnologica

Pubblicato il 25 ott 2024

Marino D'Amore

Docente di Sociologia generale presso Università degli Studi Niccolò Cusano



world wide web connessioni (1)

La cultura digitale è quella conoscenza dialettico-informativa, che si è sviluppata grazie alle nuove tecnologie internettiane, palesandosi come un processo in fieri, in costante e imprevedibile evoluzione. Essa cominciò a svilupparsi a partire dagli anni ’60 del secolo scorso quando negli Stati Uniti presero forma i primi progetti relativi alla Rete[1].

Alle origini della rete internet

Da questo progetto, in principio di tipo militare con la rete Arpanet, sono nate una serie di innovazioni tecnologiche che ci hanno condotto verso il clima culturale che connota tale scenario. Infatti, in quel periodo sono aumentate le pubblicazioni, le ricerche, i consumi e la manipolazione delle informazioni, in particolare quelle veicolate da quel medium che s’imporrà con decisione nella nostra quotidianità: il personal computer.

In origine la rete Internet veniva utilizzata per scambiare dati tra computer di una stessa istituzione attraverso le reti interne, le cosiddette LAN (local area network). Ma è soltanto agli inizi degli anni ‘90 che, grazie a Tim Berners Lee[2], è nato il World Wide Web: una rete di informazioni che circondava e connetteva tutto il mondo in tempo reale, elidendo confini geografici e velocizzando qualsiasi tipo di comunicazione.

Tali progressi hanno contribuito a sviluppare ulteriormente la società dell’informazione nata negli anni ’60, si sono sviluppati i primi browser (strumenti per navigare in Rete) che hanno permesso la creazione di siti web, in origine detti “siti vetrina”, che successivamente si sono trasformati sempre di più fino a diventare interattivi grazie al web 2.0.

Da quel momento la società è diventata una networked society, un corpus comunitario costantemente interconnesso.

I media tradizionali si sono dovuti adeguare alle nuove tecnologie per non esserne fagocitati e per ritagliarsi un nuovo ruolo giovandosi delle nuove potenzialità offerte come, ad esempio, le web radio e le web tv. Così non solo si è cominciato a digitalizzare documenti di testo ma anche la musica, i programmi televisivi, la burocrazia e così via.

Partecipazione, digitalizzazione, e riutilizzo dell’informazione: i tre principi fondamentali della cultura digitale

Grazie a tutto questo si è sviluppato il fenomeno della convergenza multimediale, che si caratterizza per il riunire in un unico supporto le funzionalità, gli usi e gli scopi di tutto il panorama mediatico.

Secondo Deuze Mark, professore associato del Dipartimento di Telecomunicazioni dell’Università dell’Indiana, la cultura digitale si basa su tre elementi fondamentali: partecipazione, digitalizzazione, e riutilizzo dell’informazione:

  • La partecipazione implica un ruolo attivo da parte degli utenti che non sono più solo fruitori passivi del processo informativo, ma diventano attori attivi e produttori di contenuti (prosumer: consumer e producer allo stesso tempo). In questo modo si trasforma anche il modello di comunicazione che da “uno-a-molti” diventa di tipo “molti-a-molti”.
  • Per digitalizzazione invece si intende la conversione digitale e l’accesso remoto in linea a qualunque tipo di contenuto e/o documento. Questo è possibile grazie alla omogeneità strutturale dei dati, poiché sullo stesso supporto possono essere archiviati e visualizzati segnali in origine differenti come testi, immagini, suoni. Ulteriore caratteristica della digitalizzazione è la maggiore archiviabilità dei dati che occupano in questo modo poco spazio, sono facilmente trasportabili e hanno dato luogo a enormi memorie personali e collettive. La digitalizzazione ha modificato il modo di apprendere, di fruire informazione tout court, infatti oggi si può parlare di e-learning, e-government, citizen journalism.
  • La terza caratteristica della cultura digitale messa in risalto da Deuze è il riutilizzo dell’informazione. Con ciò si intende la possibilità di accedere più facilmente e più tempestivamente all’informazione combinandola, riutilizzandola e condividendola: un’informazione ottimizzata a livello temporale e spaziale.

I nuovi prodotti generati dalla cultura digitale

Negli ultimi decenni la cultura digitale ha dato origine, come detto, a nuovi prodotti come:

  • i blog
  • i social network
  • le biblioteche on line
  • l’open culture

Questi nuovi ambienti comunicativi sono accomunati da alcuni elementi che fungono da comun denominatore:

  • intertestualità,
  • interattività,
  • multimedialità
  • digitalizzazione.

La cultura digitale presenta molti vantaggi ma a essa sono legate anche alcune problematiche di tipo meramente tecnico:

  • In primo luogo molte aree geografiche sono ancora sprovviste di infrastrutture che permettono un’adeguata connessione alla Rete, generando il cosiddetto digital divide infrastrutturale.
  • In secondo luogo molte persone non sono ancora in possesso dell’alfabetizzazione necessaria per utilizzare il web e le nuove tecnologie che ne conseguono in modo appropriato, elemento che caratterizza la dicotomia tra immigrati e nativi digitali[3].
  • Un’altra problematica legata alla cultura digitale consiste nell’enorme quantità di informazioni a cui si può avere accesso ma della cui qualità e legittimità non si può essere certi[4].

Infatti, sul web, chiunque può pubblicare un contenuto ed è sottoposto solo al controllo di altri utenti. Un tipico esempio di questo è il self-publishing che prevede che gli e-book vengano pubblicati direttamente dall’autore, il cosiddetto creator, senza la mediazione di un editore o di un controllore di bozze: il dazio che si paga a quel processo di democratizzazione, mediale, definizione che suggerisce semanticamente il suo stato di provvisorietà, che le nuove tecnologie portano con sé.

I concetti di capitalismo informazionale e intelligenza collettiva

Il sociologo Manuel Castells[5] introduce il concetto di capitalismo informazionale,che declina in termini comunicativi un concetto economico: poter comunicare con chiunque in qualsiasi parte del mondo crea un flusso di informazioni che possono essere trasformate in conoscenze, conoscenze che si arricchiscono di contributi e punti di vista, per diventare più esaustive, efficaci e competitive. Secondo Castells l’informazione è un valore, ossia un bene che apporta valore culturale[6].

Il filosofo francese Pierre Lévy, teorizza invece un altro concetto chiave per la cultura digitale: l’intelligenza collettiva. Essa consiste in un particolare modo di funzionamento intellettivo che supera tanto il pensiero di gruppo, e le relative tendenze a un pensiero conformista, quanto la cognizione meramente individuale, permettendo a una comunità di cooperare in modo efficace e sinergico, mantenendo prestazioni intellettuali affidabili e contribuendo alla formazione del consenso.

Un altro pioniere dell’intelligenza collettiva è stato George Pór[7]. Egli ha definito questo fenomeno come “la capacità di un corpus comunitario di evolvere verso una capacità superiore di problem solving, di pensiero e di integrazione attraverso la collaborazione, la sinergia e l’innovazione”.

La partecipazione attiva all’interno del Cyberspazio

A differenza dei media tradizionali gli strumenti digitali permettono una partecipazione attiva all’interno di un Cyberspazio che non è strutturato in modo gerarchico ma prevede che tutti gli utenti siano sullo stesso piano, neutralizzando differenze di ruolo e offrendo nuove possibilità di comunicare: questo è il terreno dell’intelligenza collettiva, un terreno fecondo fatto della sopracitata democratizzazione mediatico-comunicativa che si apre al futuro, ma che come ogni innovazione alla portata di tutti deve essere regolato e monitorato costantemente. Questo diventa un imprescindibile compito a cui bisogna dedicarsi per far sì che tali potenzialità non diventino aberrazioni comunicative e universi d’informazione in cui si cela l’esecrabilità umana, come spesso avviene.

La dimensione culturale del processo di digitalizzazione palesa evidentemente una situazione in cui si contrappongono due tipi di spinte:

  • Le prime, top/down, sorgono dall’industria mediatica e tendono ad inquadrare in dinamiche razionali ed economiche, finalizzate quindi ad un profitto in cui le nuove realtà mediali diffondono un flusso di contenuti sempre più pervasivo;
  • le seconde, bottom/ up, provengono dalle esigenze degli stessi individui animati da obiettivi e motivazioni soggettive ed imprevedibili, individui che ormai sono alfabetizzati all’utilizzo dei mezzi di comunicazione per soddisfare quelle stesse esigenze, direttamente e in maniera autonoma, sfuggendo al controllo degli apparati tradizionali di produzione[8].

Dipendenze e rischi della cultura digitale

Insomma siamo nel pieno di un cambiamento progressivo, quasi invisibile ma al tempo stesso continuo e inevitabile. Un cambiamento che coinvolge soprattutto per i nativi digitali che sovrappongono il web alla vita reale o, quantomeno, lo considerano come un suo prolungamento ideale, un’estensione delle facoltà umane parafrasando Marshall McLuhan[9]. Anzi a volte assistiamo a una vera e propria sostituzione in cui il virtuale diventa il contesto preponderante delle esistenze di molti utenti: si pensi allo I.A.D (internet addiction disorder), un bisogno continuo del web che comporta una dipendenza patologica o alle conseguenze del fenomeno Hikikomori: che declinato nel digitale sfocia nell’isolamento continuo e irreversibile dalla vita reale.

Una delle sue cause è da rintracciarsi nella particolarità del contesto familiare in Giappone, caratterizzato dalla mancanza di una figura paterna e da un’eccessiva presenza materna. Altro elemento da considerare è la grande pressione della società giapponese verso l’autorealizzazione e il successo personale, cui l’individuo viene sottoposto fin dall’adolescenza.

Tutto questo spiega la diffusione e il ruolo dei social network, proprio perché grazie alla protezione luminosa offerta dallo schermo del pc, che funge da filtro, offre a tutti, in modo democratico, la possibilità di sconfiggere barriere emozionali, vivere la vita che si desidera e intrecciare nuove relazioni.

Uno scenario che evidentemente palesa nuove immense possibilità comunicative, ma, al contempo, malcela pericolose esasperazioni che inducono ad attualizzare processi sostitutivi tra la realtà e la sua proiezione digitale, eliminando completamente i confini tra questi due universi. Due universi che non devono necessariamente escludersi a vicenda, ma che potrebbero e dovrebbero operare secondo modalità sinergiche e complementari[10].

Insomma siamo davanti a un processo democratizzante che, oltre a destrutturare e a livellare orizzontalmente le vetero-categorie di producers e consumers, costituisce una massa critica, d’individui guidati da istanze creative e fruitive personalizzanti in ambito mediatico e agisce in ambito relazionale, influenzando direttamente la socializzazione di ogni soggetto e declinandola in nuove modalità.

Bibliografia

Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari 2006.

Bisacca E., Cerulo M., Scarcelli M. S., Giovani e social network. Emozioni, costruzione dell’identità, media digitali, Carocci, Roma 2024.

Castells M., La nascita della società in rete, Università Bocconi, Milano 2024

Garbellini L., Cultura digitale. La tua nuova dimensione nel lavoro e nella vita privata; tecniche Nuove, Milano 2019.

McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 2015.

Pór G., The Quest for Collective Intelligence nell’antologia “Community Building: Renewing Spirit and Learning in Business”, New Leaders Press, Pleasanton 1995.

Prensky M., La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale, erickson, Roma 2013.

Rheingold H., Perché la rete ci rende intelligenti, Cortina Raffaello, Milano 2013.

Scaglioni M., Sfardini A., Multitv. L’esperienza televisiva nell’età della convergenza ed. Carocci. Roma 2008.


[1] Garbellini L., Cultura digitale. La tua nuova dimensione nel lavoro e nella vita privata; tecniche Nuove, Milano 2019.

[3] Prensky M., La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale, erickson, Roma 2013.

[4] Garbellini L., Cultura digitale. La tua nuova dimensione nel lavoro e nella vita privata; tecniche Nuove, Milano 2019

[5] Castells M. è un sociologo spagnolo naturalizzato statunitense. Dal 1979 al 2003 è stato professore di sociologia presso l’Università della California, Berkeley. Oggi è Professore in Comunicazione all’Annenberg Center, presso l’University of Southern California (USC).

[6] Castells M., La nascita della società in rete, Università Bocconi, Milano 2024.

[7] Pór G., The Quest for Collective Intelligence nell’antologia “Community Building: Renewing Spirit and Learning in Business”, New Leaders Press, Pleasanton 1995.

[8] Scaglioni M., Sfardini A., Multitv. L’esperienza televisiva nell’età della convergenza ed. Carocci. Roma 2008.

[9] McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 2015.

[10] Rheingold H., Perché la rete ci rende intelligenti, Cortina Raffaello, Milano 2013.

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