Le ripercussioni dei sistemi di intelligenza artificiale sull’occupazione sono state ampiamente dibattute e dividono gli osservatori in ottimisti e pessimisti.
Quello di cui finora poco si è parlato sono le conseguenze che questa rischia di creare in quei paesi sui quali l’occidente ha fin qui riversato lavori noiosi e time consuming e che ai Paesi “sviluppati” forniscono mano d’opera poco qualificata di “supporto” a una popolazione sempre più vecchia.
Sovranisti vs globalisti, i migranti e la “questione” lavoro
Ci sono numerosi teorici di destra (oggi diremmo sovranisti) che suggeriscono di aiutare i migranti economici a casa loro (con progetti di sviluppo economico). Egualmente vi sono numerosi pensatori di sinistra (oggi diremo globalisti) che invece suggeriscono che i migranti economici sono una risorsa importante per le nazioni sviluppate. La tesi in questo senso è che l’influsso di forza lavoro giovane possa essere di supporto ad una realtà che sta invecchiando. Con l’invecchiamento della forza lavoro occidentale arriva il problema delle pensioni e di chi “farà il lavoro al posto mio”. In attesa che Soylent green risolva il problema dell’invecchiamento, ci pensa l’Intelligenza artificiale a risolvere l’annoso problema dei posti di lavoro “vacanti” in occidente.
Doverosa premessa: allo stato attuale della mia conoscenza una vera Intelligenza Artificiale (capace ciò di passare il test di Touring) non esiste. Le IA al momento esistono solo nelle brillanti teste di Pr corporativi che, in un modo o l’altro, devono vendere al pubblico la certezza su chi gestisce i soldi/processi/soluzioni delle aziende “moderne” per cui lavorano.
Quello che esiste è un ecosistema di algoritmi più o meno sofisticati, ideati da umani, che interagiscono a vari livelli della società.
Dalla fabbrica ai call center, tutti i lavori “unskilled” destinati a sparire
Torniamo a noi. Globalisti e sovranisti semplicemente si sbagliano. Ovviamente sotto elezioni non è bello a dirsi. L’ultima voce che si è unita al coro delle IA è Ian Goldin, professore di globalizzazione e sviluppo alla Oxford University. Il concetto alla base della sua riflessione è piuttosto semplice: chi lo dice che servano lavoratori non specializzati o scarsamente specializzati nell’economia manifatturiera futura?
Gli ottimisti spesso sostengono che il dispiegamento di soluzioni di “intelligenza artificiale (leggi algoritmi)” in nazioni come l’Africa, saranno di grande aiuto alla crescita di questa nazione. A dirla tutta in Africa ci sono già i cinesi che stanno dando una grande mano a far crescere questo continente. In verità, come suggerisce anche Goldin, i lavori scarsamente pagati in Africa (lui parla di Africa, ma io tranquillamente metto dentro anche Latino America, China, India e staterelli vari del centro asia o far east) saranno oggetto di sostituzione robotica.
Facciamo un paio di osservazioni giusto per accertarci che questo scenario catastrofico (se si è poveri o classe media) possa accadere. Già in molte nazioni sviluppate lavori ripetitivi ma che richiedono precisione sono stati ampiamente sostituiti dai robot. Niente di entusiasmante come R2D2. Si parla semplici bracci meccanici con effettori per fondere, bloccare o inserire pezzi di auto nei rispettivi alloggiamenti. Questo passaggio generazionale è accaduto in pochi decenni. E l’effetto sta accelerando se stesso.
Uno dei grandi boom indiani sono stati i call center. Servizi che le grandi compagnie telefoniche di nazioni anglofone hanno volentieri scaricato in India e nazioni che parlano inglese come prima lingua. Il vantaggio di ricchezza per l’India è stato evidente. Sarà questione di pochi anni prima che sistemi di calcolo algoritmici possano prevedere e rispondere al servizio telefonico. Se vogliamo un esempio pensiamo ai chatbot. Già oggi molte aziende italiane mettono un bel chatbot a rispondere alle prime domande, diciamo le più frequenti, sulle piattaforme social oppure i siti stessi delle aziende.
Il tempo di creare sistemi più stabili per il riconoscimento vocale e una voce suadente e avremo un intero settore del terzo mondo, i call center, spazzato via.
Ma non fermiamoci ai telefonisti. Una serie di ruoli noiosi e time consuming sono stati scaricati nei paesi del terzo mondo. Pensiamo ai ruoli amministrativi in settori come quello bancario, assicurativo, sanitario etc. sono finiti in India certo, ma anche in Vietnam, Sud Africa e Marocco. Banalmente la scelta della nazione era definita sulla base della necessità linguistica (francese o inglese) e la affinità culturale.
La ricerca di Goldin sostiene che circa il 40% dei lavori in Europa sono a rischio grazie alle IA (o gli algoritmi se vogliamo dirla in modo semplice). Ma se andiamo ad osservare questa percentuale nei paesi in via di sviluppo essa cresce con il crescere di posizioni lavorative unskilled (senza formazione, pensiamo ai muratori, tanto per dirne una).
AI e nuovi modelli di produzione
La teoria globalista classica dice che le posizioni di lavoro assorbite dalle IA saranno tuttavia sostituite (nella bilancia economica) da ruoli più soddisfacenti. Di recente, tanto per fare un esempio classico, Walmart ha detto che il lavoro stressante e noioso degli scaffalisti dei supermercati sarà sostituito da robot. La posizione del Ceo di Walmart è adorabilmente naif: i dipendenti di Walmart potranno così svolgere lavori più edificanti a contatto con il pubblico. In aggiunta a questo scenario abbiamo anche la nascita di nuovi modelli di produzione, come la stampa additiva (nota come 3d).
Una soluzione ottima per ridurre i costi: invece che fare pezzi su misura, impiegando qualche bravo operaio semi formato, ci sarà un ottimo robot guidato dalla AI di turno. Questo approccio semplicemente appiattirà la domanda di “servizi di outsourcing” che hanno fatto la ricchezza di molte economie del terzo mondo (a partire dalla Cina).
Sovranismo e back shoring
Le politiche sovraniste (o protezioniste) aiuteranno questo processo di back shoring. Dimenticando tuttavia che se un azienda ha lasciato (poniamo) il triveneto (lasciando un buco di 1000 operai tessili) quando tornerà avrà bisogno di 100 operai. Nulla di terribile. Cento posti di lavoro van sempre bene. Se vogliamo vedere uno scenario di concentrazione della ricchezza grazie alle ultime tecnologie possiamo dare un occhiata agli Usa. Dove a fronte di una Silicon Valley (e relativa area urbana come San Francisco) il costo della vita è agli stessi livelli di Londra centro, esistono un serie di regioni americane prossime alla California dove si fa la fame (magari la fame no, ma non c’è da stare allegri). Nazioni dove prima si produceva e dove oggi, se va bene, ci sono impianti di Server Farm.
Tassare le web corp, una battaglia persa?
A questa variabile occorre aggiungere la crescente difficoltà, per i governi, di applicare una tassazione al mondo digitale (gli scontri tra corporation e governi sono all’ordine del giorno). Se tale difficoltà già si riscontra nei paesi del primo mondo, figuratevi in quelli del terzo mondo, dove i politici e i burocrati potrebbero essere più “persuadibili”. Se escludiamo casi di eccellenza come Bangalore, il resto dell’India non ha gioco facile ad attrarre talenti altamente formati.
Tutto perso? Non del tutto. Concediamoci un po’ di sano ottimismo. Ci sono gruppi che, pur in nazioni sfidanti come il continente africano, fanno formazione, danno benefit ai propri dipendenti. E grazie alle nuove tecnologie possono sfruttare i benefici di una connessione digitale a vantaggio della popolazione meno abbiente.
Il caso di M-Pesa o M-Tiba, entrambe Kenyote, offrono servizi legati al settore sanitario a oltre 4 milioni di persone. Gli ottimisti globalisti suggeriscono, supportati da molte ricerche, che AI ed economia digitale potranno portare educazione, opportunità di lavoro e benefici economici alle popolazioni povere, anche nelle zone rurali. Solo il tempo potrà dire chi ha ragione.