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Nuovo piano Triennale ICT nella PA, luci e ombre: un quadro

Negli ultimi anni la trasformazione digitale della PA ha fatto importanti progressi anche grazie alla realizzazione di piattaforme nazionali, strumenti, supporti. Il Piano è un importante passo in avanti su questo percorso ed è necessario che sia sostenuto con risorse, persone, e disegnando un’adeguata governance

Pubblicato il 21 Mar 2019

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione

crisi telco

Il Piano Triennale 2019-2021 si è fatto attendere (meno comunque del precedente) ma il risultato è senz’altro positivo.

Innanzitutto credo che la dedica ad Antonella Giulia Pizzaleo, amica e grande “innovatrice paziente e geniale della Pubblica Amministrazione” sia importante anche perché segnale forte della consapevolezza che l’innovazione si realizza solo se si disegna e si muove dalle persone. Dalla loro passione e dalla loro capacità, dalla loro visione.

È questo, credo, il tratto distintivo del nuovo Piano, che pone in evidenza le condizioni del percorso di cambiamento, la necessità della collaborazione e del coinvolgimento attivo di chi è chiamato a co-guidarlo. La forma allora diventa anche sostanza: si rileva l’attenzione alla leggibilità e fruibilità del documento, oltre che alla pragmaticità di approccio. Testi essenziali e finalizzati tutti a indicare impegni, date, scadenze. Inoltre, è sempre più evidente la maturità di un piano che si basa su una conoscenza molto approfondita dei contesti in cui si agisce e quindi dei problemi che sono da affrontare, della complessità che è da gestire.

Un Piano ambizioso e pragmatico

Diversi programmi nazionali sono oltre la fase iniziale di impostazione, sono pienamente in corso e quindi adesso l’attenzione è sul come superare le criticità emerse senza promesse che non possono essere mantenute.

Da questo punto di vista il Piano sembra sacrificare la prospettiva di medio-lungo termine sull’altare della concretezza. La percezione è di una chiarezza di azione nel breve termine, ma rispetto a un percorso che è ancora da connotare compiutamente, a causa anche di una governance che rimane con diversi limiti e criticità e quindi impedisce di “vedere lontano”, di passare da uno stato, definito chiaramente, in cui si creano le condizioni del cambiamento a quello in cui le migliaia di pubbliche amministrazioni compiono concretamente la loro trasformazione (digitale).

D’altro canto, l’insieme molto ricco di iniziative a carico di AgID e del Team per la Trasformazione Digitale già nel 2019 ha bisogno di un’attenzione molto elevata da parte del governo, in termini di persone e risorse economiche che devono essere assicurate in modo adeguato in tempi, quantità e qualità. Il successo della scelta della nuova società in-house che avrà in carico PagoPA, l’app IO e la Piattaforma digitale nazionale dei dati (PDND) è legata a queste stesse condizioni. Un’attenzione elevata che deve consentire di identificare le iniziative di questo Piano tra quelle di maggiore priorità nazionale.

Senza la pretesa di esaurire l’analisi di un Piano molto ricco di iniziative, cerco di sintetizzare alcuni elementi di valutazione.

Le novità, le scelte del nuovo piano

Mi sembra che emerga un quadro d’insieme della trasformazione digitale della PA di cui finalmente si ha una contezza esauriente per definire l’approccio da seguire e le piattaforme abilitanti che sono da realizzare.

Provo a elencare brevemente alcune delle altre novità e delle altre scelte che mi sembrano significative:

  • l’approccio organico agli indicatori, che lascia prefigurare un cruscotto per il monitoraggio delle iniziative e, in generale, dello stato di maturità digitale della PA, facendo sì che la disponibilità dei dati e la loro analisi sia da base alla programmazione. Si passa decisamente da una logica di osservazione e presa d’atto dei dati (inclusi quelli annuali del DESI-Digital Economy and Society Index) a una di gestione basata sui dati. In questo senso è auspicabile una esplicita integrazione con il percorso di realizzazione della PDND;

  • l’enfasi sulla semplificazione e la riorganizzazione dei processi, come base essenziale per progettare e realizzare la trasformazione digitale;

  • l’accento sul Project Management, che non diventa soltanto auspicio e indicazione (ovvia) di un metodo per la realizzazione delle iniziative, ma si fa sostanza con impegni specifici di AgID nel sostenere la diffusione della cultura di gestione dei progetti, con interventi formativi, di supporto e la costituzione di PMO regionali;

  • il metodo del lavoro di gruppo, della valorizzazione delle comunità, delle reti di competenze, che diventa metodo di sistema, dagli sviluppi in collaborazione su Developers.it alla condivisione dei documenti e dei progetti su Docs.it, alle modalità semplificate di riuso, alla rete dei responsabili della trasformazione digitale. La collaborazione e la condivisione come elementi di base necessari per la realizzazione della trasformazione in una realtà complessa e multiforme. In questo quadro, sarebbe auspicabile definire un percorso privilegiato per la coprogettazione tra le amministrazioni, in termini di meccanismi, incentivazioni, fondi e risorse;

  • l’indirizzo sul Cloud della PA e sulla razionalizzazione dei data center, con un’accelerazione per la scelta chiara verso l’abilitazione al cloud e quindi verso l’evoluzione delle architetture ICT delle amministrazioni. Il percorso indicato per i data center, che ancora non scioglie il nodo principale in attesa degli atti previsti nei prossimi mesi (e quindi se la strategia prevede pochissimi PSN o c’è spazio per un numero più ampio di PSN a livello territoriale primariamente regionale), si configura in un rapporto essenzialmente tra AgID e le singole amministrazioni con un processo di cambiamento ancora da definire in maggior dettaglio. Sarebbe auspicabile a questo proposito una più chiara connessione tra i processi di razionalizzazione ed evoluzione qui definiti e il ruolo dei soggetti aggregatori, verso cui dovrebbero essere veicolate le principali attenzioni per il Cloud della PA, lasciando alle amministrazioni più piccole, e “aggregate” per dimensione, solo l’onere di garantire una transizione soft per i cittadini, assicurando continuità dei servizi e gestione accurata dei dati. Allo stesso modo, sarebbe auspicabile una più chiara correlazione tra le iniziative di quest’area (Cloud e data center) e l’attuazione del piano BUL, anche attraverso una disamina dello stato attuale dell’infrastrutturazione in banda ultralarga. Chiaramente, il programma di sviluppo e diffusione dei servizi digitali, non può prescindere dallo stato di avanzamento sulla connettività ed è necessario un meccanismo forte di coordinamento;

  • la definizione degli ecosistemi, grandi assenti del precedente Piano, di notevole rilevanza perché avvia un processo di trasformazione anche sul fronte dei servizi “verticali”. Certamente molto è ancora da fare, molti ecosistemi risultano ancora in fase di rilevazione e analisi, e non è scontato che AgID possa svolgere il ruolo di coordinamento e supporto su tutti (anche perché gli “owner” sono amministrazioni centrali non sempre abituate alla collaborazione) a meno che non si metta mano alla governance in modo più compiuto. Anche per queste criticità, sarebbe auspicabile che il percorso fosse del tutto realizzato con una metodologia agile, puntando a valorizzare quanto già fatto e a concretizzare dei primi risultati nel breve (le schede del Piano da questo punto di vista sembrano ancora troppo teoriche);

  • la spinta all’utilizzo di processi di procurement adeguati ai progetti innovativi, come il procurement pre-commerciale, anche attraverso un supporto specifico alle amministrazioni. Anche qui, si vuole favorire un approccio che tenga conto dei tempi e delle caratteristiche dei progetti di innovazione digitale, ed è per questo che sarebbe da prendere in considerazione un dato, purtroppo non considerato nell’analisi della spesa ICT riportata nel Piano, che vede poche aziende monopolizzare la gran parte delle risorse ICT pubbliche che passano attraverso Consip, in pieno contrasto con la logica innovatrice. Un meccanismo, quello degli accordi quadro Consip, che riduce i tempi di avvio di un progetto ma che contribuisce a disegnare un mercato con pochi player di peso;

  • la ripresa del tema dello sviluppo delle smart city, inquadrato nella logica degli smart landscape, in un percorso di definizione di “piattaforma” di interazione e di modelli predittivi che probabilmente dovrà avere una declinazione sul più ampio quadro dei “piani regolatori” per le tecnologie della smart city. E da qui, aprendo uno spazio di riflessione e sperimentazione anche sui temi della governance e delle comunità intelligenti, per non correre il rischio di ricadere in un modello di sviluppo esclusivamente tecnologico e chiaramente non sufficiente.

Alcune aree da approfondire

Le aree che credo siano maggiormente da approfondire riguardano in qualche modo la governance complessiva e quindi una delle conseguenze attese: il passaggio dalla realizzazione delle condizioni della trasformazione digitale (in termini di piattaforme abilitanti, strumenti e strutture di supporto, metodi, ..) al suo effettivo dispiegamento su tutte le amministrazioni, tenendo conto della loro articolata diversità.

Questa necessità di approfondimento si evidenzia, ad esempio, nel piano di dispiegamento non ancora definito su ANPR, nel problema non affrontato in profondità della carente diffusione di SPID (sotto i 4 milioni le identità erogate, 1 milione e 400mila negli ultimi 12 mesi, e quindi un tasso di crescita insufficiente per l’obiettivo dell’accesso SPID-only).

D’altra parte, mentre l’obiettivo del dispiegamento è chiaro e condiviso, ed è tra gli obiettivi del Piano “definire il modello di dispiegamento che tenga conto dei differenti livelli istituzionali coinvolti (amministrazioni centrali, locali e altre PA) in modo da garantire la più ampia partecipazione e condivisione possibile per l’intero processo (Multilevel Governance Deployment Model)”, è altrettanto evidente che sono necessari interventi profondi, anche a livello normativo. Non a caso nel Piano si precisa che “Sul tema della governance e del cambiamento culturale da attuare, non si può che intervenire a normativa e risorse vigenti, progettando in parallelo l’organizzazione che serve e agendo su tutte le leve”. Ed è questo, infatti, il punto sul quale il Piano non può dare una risposta esauriente, potendo soltanto valorizzare e massimizzare l’efficacia dell’organizzazione già definita.

Rimane, così, poco chiaro il coordinamento tra i Ministeri sulle iniziative di innovazione e tra questi, la Presidenza del Consiglio, AgID, il Team per la Trasformazione Digitale, la nuova società in-house e le società in-house esistenti a livello nazionale, e appare da approfondire il tema complessivo di governo dell’innovazione tra amministrazioni nel territorio.

Allo stesso modo, sarebbe auspicabile un approfondimento specifico rispetto all’ambito dei comuni dove, ad esempio, nella sezione “Gli attori” non si distingue tra capoluoghi di città metropolitane e piccoli comuni, lasciando a decisioni successive il ruolo dei primi come “soggetti aggregatori” e l’indirizzo sul ruolo reciproco tra capoluoghi di città metropolitane ed enti “città metropolitane”, oppure sul ruolo dei capoluoghi di “area vasta”. In generale, è auspicabile e utile andare oltre il livello delle Regioni e delle Province autonome, per definire un modello coerente e organico che includa efficacemente, ad esempio, anche iniziative molto interessanti come quella dei laboratori digitali dei piccoli comuni.

Infine, una sottolineatura credo sia importante per il tema delle competenze digitali di base dei cittadini, che viene accennato ma non affrontato, lasciando alle amministrazioni l’onere di occuparsene. Se è vero che il tema della carenza di competenze (anche in generale) rappresenta uno dei principali per l’esercizio pieno dei diritti di cittadinanza “ai tempi di Internet”, nell’accezione suggerita da Alfonso Fuggetta, allora è auspicabile che un Piano così ambizioso e ricco se ne occupi. Un segnale positivo è la presenza dell’azione sulle competenze digitali, anche di base, nel quarto Piano Nazionale per l’Open Government appena pubblicato in consultazione. Per quella che certamente è una emergenza, non sembra sufficiente.

In conclusione

Negli ultimi anni le iniziative di innovazione digitale nella PA hanno permesso passi in avanti rilevanti, soprattutto grazie all’approccio alla realizzazione di piattaforme, strumenti di sviluppo e condivisione, e attività di affiancamento. Andando oltre la definizione di regole comuni e proponendo percorsi concreti di integrazione, facilitazione, evoluzione. Il Piano è un importante passo in avanti su questo percorso. Ma perché i risultati siano pienamente efficaci e utili per la crescita digitale della PA e del Paese occorre che l’innovazione digitale sia chiaramente una delle priorità nazionali, con uno sforzo adeguato in termini di risorse e di meccanismi di governo. E bisogna fare in fretta.

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