gli studi

Scuola e occupazione: colmare il “divario digitale cognitivo” per il rilancio del Paese

Per assicurare la riqualificazione della forza lavoro, favorendo l’inclusione generalizzata degli occupati, occorre incrementare il livello di competenze digitali di base con politiche pubbliche in grado di realizzare una profonda revisione dei programmi formativi delle scuole e delle università. Ecco perché è una priorità

Pubblicato il 03 Nov 2020

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

Photo by Surface on Unsplash

Il divario digitale cognitivo costituisce un grave problema sociale che richiede un prioritario intervento politico del settore pubblico per favorire lo sviluppo di abilità professionali richieste nel mercato del lavoro mediante l’acquisizione di competenze specialistiche senza le quali si provocherà una dilagante esclusione di larghe fasce della popolazione come nuovo fattore di povertà legato al ritardo tecnologico di matrice culturale.

Vari studi sono usciti nelle ultime settimane a supportare queste tesi e qui li passiamo in rassegna.

Incrementare il livello delle competenze digitali è pertanto una priorità di intervento non più rinviabile per invertire il trend negativo della perdurante crisi economica, aggravata dall’emergenza innescata dal Covid-19.

La necessaria riforma del sistema educativo: studio dell’Osservatorio Competenze Digitali

In questo preciso momento storico, in attesa dei tempi lungi necessari per il progressivo ritorno a condizioni di normalità – che in ogni caso non saranno più quelle corrispondenti al recente passato “pre-Covid” – non solo da un punto di vista sanitario, ma anche sotto il profilo socio-economico diventa indispensabile pianificare una complessiva riforma del sistema educativo delle scuole e delle università, con l’obiettivo di realizzare con lungimiranza un programma organico di riqualificazione della forza lavoro, consentendo alle persone di acquisire skill moderne in grado di sfruttare i vantaggi offerti dallo sviluppo tecnologico, cogliendo le nuove opportunità professionali che si manifestano nel mercato del lavoro.

La costante evoluzione di quest’ultimo, è descritta dalle rilevazioni formalizzate nello studio sulla domanda di lavoro e di skills delle professioni ICT a cura dell’Osservatorio delle Competenze digitali, secondo cui “in controtendenza rispetto alle criticità riscontrate da molti settori economici” la domanda di esperti specialistici ICT richiesta dalle imprese – sia pure nel contesto di “un elevato gap tra nord, centro e sud del paese” (il nord ovest raggiunge la quota pari a circa il 43% delle offerte di lavoro, il nord est il 29%, il centro si attesta al 19% mentre il sud e le isole registrano solo l’8% circa) – supera addirittura “l’offerta che il sistema formativo, in particolare universitario, riesce a produrre”.

Il risultato è che l’eccesso di domanda misurata in circa 28,5 mila unità di surplus non sfruttato, come differenza negativa tra la richiesta del fabbisogno di personale e l’effettiva disponibilità di professionisti in possesso delle competenze ricercate, non solo preclude a un elevato numero di persone la possibilità di lavorare alimentando il crescente tasso di disoccupazione involontaria che causa l’inefficiente condizione dell’attuale fallimento del mercato, ma altresì impedisce alle imprese la possibilità di soddisfare le proprie esigenze organizzative legate alla pianificazione di nuovi progetti nei settori dei big data, dell’intelligenza artificiale, dell’IoT, della robotica e del cloud computing, con gravi ricadute negative sulla complessiva crescita del Paese in termini di innovazione, sviluppo sostenibile e produttività.

Ricostruire un mercato del lavoro migliore e resiliente: lo studio Ocse

In un contesto di preoccupante recessione economica che si è determinata a livello mondiale, a causa di una lunga crisi globale ormai risalente al 2008, la pandemia Covid-19 ha messo ancor più gravemente in pericolo il trend occupazionale già precario negli ultimi anni, come sottolinea il Report “Employment Outlook 2020” realizzato dall’OCSE che, prevedendo un livello di disoccupazione pari a quasi il 10% nei paesi OCSE entro la fine del 2020 e che raggiungerà il 12% in caso di seconda ondata pandemica ormai in atto, in aggiunta ad una connessa diminuzione del PIL di quasi il 15% entro il secondo trimestre del 2020, a fronte del concreto rischio di pesanti ricadute socio-economiche nell’imminente futuro addirittura paragonabili ai tempi della “Grande Depressione”, considera la “ricostruzione di un mercato del lavoro migliore e più resiliente un investimento essenziale per le generazioni future”.

Secondo lo studio citato, ad esempio, l’Italia “è stata uno dei paesi OCSE più colpiti dalle ricadute economiche del Covid-19”, con un incremento significativo del numero di persone non occupate provocato dal mancato rinnovo di molti contratti a tempo determinato e dal blocco delle assunzioni.

In tale prospettiva, poiché la disoccupazione raggiungerà un livello record entro la fine del 2020, divenendo ancora peggiore a causa della seconda ondata, così da vanificare il pregresso periodo di lenti miglioramenti ottenuti nel passato “pre-Covid”, il tasso di disoccupazione in Italia dovrebbe raggiungere l’11,5% alla fine del 2021, con il rischio di gravi diseguaglianze sociali.

In un epoca di profondo cambiamento epocale su cui ha inciso ulteriormente lo stato di emergenza provocato dalla pandemia, l’accelerazione del processo di digitalizzazione della maggior parte delle attività economiche, lavorative e dei servizi pubblici, ci pone di fronte a un bivio per decidere se farci trovare pronti a sfruttare l’ondata di innovazione come opportunità di crescita effettiva o se restare ancora inerti subendo l’inesorabile collasso del sistema economico che, senza adattamento alla rapidità evolutiva dello sviluppo tecnologico, provocherà la progressiva scomparsa della maggior parte dei lavori tradizionali presto sostituiti da sistemi di automazione che ridurranno drasticamente l’intervento umano nei processi produttivi delle imprese e che in ogni caso richiederanno nuove competenze.

La direzione da prendere per nuove prospettive occupazionali: il Report del WEF

L’ultima edizione del Report “Future of Jobs 2020” del World Economic Forum traccia con chiarezza la direzione da intraprendere verso nuove prospettive occupazionali basate sulla reciproca interrelazione tra tecnologica, lavoro e competenze innovative, anche tenuto conto degli effetti provocati dalla pandemia sulle condizioni di incertezza del mercato del lavoro, per evitare che il progressivo processo di automazione, in combinato disposto con la recessione “Covid-19”, crei uno scenario di “doppia interruzione” per i lavoratori causata dai blocchi indotti dalla pandemia e dalla contrazione economica, con il risultato di determinare un’inevitabile distruzione di posti di lavoro non altrimenti declinabili in modo innovativo, mediante una necessaria riconversione produttiva, per soddisfare le esigenze delle imprese, considerato che “entro il 2025 circa 85 milioni di posti di lavoro potrebbero essere sostituiti da un cambiamento produttivo nella divisione del lavoro tra uomini e macchine”.

Nonostante tale shock economico generale, a fronte della creazione di 97 milioni di nuovi posti di lavoro nell’economia digitale, poiché quasi il 50% avrà bisogno di una riqualificazione formativa, il divario di competenze continua a essere elevato, incrementando le disuguaglianze esistenti nel mercato del lavoro a discapito delle categorie sociali di lavoratori più svantaggiati e poco qualificati.

Conclusioni

Per assicurare la riqualificazione della forza lavoro, favorendo l’inclusione generalizzata degli occupati, occorre incrementare il livello di competenze digitali di base con politiche pubbliche in grado di realizzare una profonda revisione dei programmi formativi delle scuole e delle università, come auspica in tal senso il rapporto “Digital Skill Insight” pubblicato dall’Unione internazionale delle telecomunicazioni, secondo cui l’attuale momento storico richiede il necessario possesso di una cultura digitale di base come requisito imprescindibile non solo per saper cogliere le imminenti opportunità lavorative collegate ai settori ICT, ma per svolgere la stragrande maggioranza delle attività quotidiane ormai realizzate esclusivamente in ambiente digitale.

Piuttosto che continuare a restringere le prospettive occupazionali della popolazione italiana entro i tradizionali confini del cosiddetto “posto fisso” “messo in palio” all’esito di sempre più inadeguate procedure concorsuali in cui un esercito di candidati partecipa sistematicamente allo svolgimento di prove basate sull’apprendimento nozionistico di stampo teorico alla ricerca della propria stabilità economica legata alla “conquista” di un lavoro “sicuro” a tempo indeterminato, sarebbe opportuno realizzare innovativi programmi di formazione per soddisfare la crescente domanda di esperti/specialistici ICT, così da offrire alle imprese preziose risorse umane da utilizzare nella propria struttura organizzativa e consentire alle Pubbliche Amministrazioni di definire le proprie dotazioni organiche di personale mediante il reclutamento organico di esperti in possesso di competenze specialistiche in grado di realizzare concreti progetti di trasformazione digitale del settore pubblico.

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