DIRITTO del consumo

Class action, la nuova legge è una vittoria a metà per i consumatori: ecco perché

Riformata la disciplina per intraprendere un’azione legale collettiva (class action) in caso di danno subito collegialmente. Ma se da un lato il nuovo dispositivo presenta aspetti innovativi, dall’altro rischia di peggiorare il quadro attuale. Ecco vantaggi e lacune

Pubblicato il 12 Apr 2019

Marco Pierani

Direttore Public Affairs & Media Relations - Euroconsumers

consumatori

Cittadinanza digitale, nuove norme con cui fare i conti. Si tratta della riforma della class action che sposta la disciplina per le azioni legali collettive dal Codice del consumo al Codice di procedura civile. Operazione positiva che solleva però una serie di criticità. Ma la vacatio legis prevista potrebbe offrire la possibilità di miglioramenti in corner.

Per chi, come il sottoscritto, cerca da tempo di promuovere, attraverso un’interpretazione dinamica degli strumenti tipici per la tutela dei consumatori, un vero e proprio private enforcement collettivo dei diritti fondamentali dei cittadini, di cui è un chiaro esempio l’azione promossa nei confronti di Facebook per l’utilizzo abusivo dei dati degli utenti (vedi di più qui per maggiori info) l’obiettivo perseguito dal Legislatore con la nuova legge sulle class action di allargare l’ambito di applicazione delle vigenti disposizioni spostandole dall’art. 140 bis del Codice del Consumo all’interno del Codice di Procedura Civile, appare senz’altro apprezzabile e condivisibile.

I vantaggi della nuova legge sulla class action

In tal modo si dovrebbe infatti potenzialmente consentire l’utilizzo di questo strumento processuale anche ad organizzazioni costituite per la tutela di interessi e diritti individuali ulteriori rispetto a quelli stricto sensu dei consumatori e per coprire un novero di fattispecie contestabili ben più ampio di quello attuale,

L’altra modifica encomiabile della nuova legge sulle class action è quella che consentirà l’adesione dei soggetti danneggiati anche in una fase successiva alla sentenza che abbia accertato l’illecito e il diritto al risarcimento e/o alle restituzioni (an debeatur), meccanismo questo diretto a rendere maggiormente efficace l’azione, a garantire una più effettiva e ampia tutela dei danneggiati e quindi a potenziare l’azione di classe quale strumento di deterrenza rispetto alla commissione di illeciti di massa, di prevenzione del contenzioso individuale seriale e di regolazione del mercato.

Occorre tuttavia fermarsi qui, nostro malgrado, nell’enumerare gli aspetti positivi della nuova disciplina. Pur con tutta l’umana simpatia per i toni trionfalistici con i quali il giovane ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha salutato l’approvazione della legge ricordando in un video postato a botta calda su Facebook, senza in alcun modo celare la propria personale emozione, che si trattava di uno dei primi suoi disegni di legge presentati nella precedente legislatura, non pare infatti possibile esimerci dal sottolineare come non corrisponda al vero la dichiarazione secondo la quale “Finalmente i cittadini italiani hanno uno strumento per unirsi e far valere insieme i loro diritti”.

Le tappe della transizione alla riforma

La disciplina vigente dell’azione di classe, di cui all’art 140 bis del Codice del Consumo è stata infatti, nonostante tutti i suoi limiti, uno strumento di tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori assolutamente percorribile. Certo, per altro verso, le peculiarità con le quali tale istituto è stato introdotto nel nostro Ordinamento ne hanno sensibilmente limitato l’efficacia.

E non è un caso allora se, proprio alla luce dell’esperienza maturata con Altroconsumo dal 2010 in poi, sulla base di 14 azioni di classe promosse in svariati settori di mercato e, in particolare, il risarcimento di oltre 300 mila euro per oltre 3 mila pendolari nel caso Trenord, le oltre 76 mila adesioni depositate presso il Tribunale di Venezia dopo l’ammissibilità nella battaglia contro Volkswagen per il dieselgate tuttora pendente e, più recentemente, le oltre 70.000 preadesioni nella sopra citata class action contro Facebook, avevamo evidenziato alcune rilevanti criticità contenute nel disegno di legge approvato alla Camera.

Gli aspetti critici della riforma della class action

Tuttavia queste storture non sono state corrette nel passaggio al Senato e, pertanto, gli obiettivi condivisibili sopra richiamati rischiano di essere vanificati e, sotto taluni profili, la nuova disciplina rischia persino di peggiorare quella attuale. Vediamo allora meglio di seguito gli aspetti critici più salienti:

a) la natura puramente dichiarativa della sentenza è inappropriata e peggiorativa – il rinvio obbligatorio della condanna a favore degli aderenti a una fase successiva alla sentenza è eccessivamente e inutilmente complessa, lunga e costosa

La nuova legge elimina la possibilità, attualmente prevista, che la sentenza, ove accolga la domanda, disponga anche la condanna al pagamento agli aderenti delle somme dovute. L’attuale art. 140 bis prevede, opportunamente, che tale liquidazione avvenga secondo equità ex art.1226 c.c., che il giudice liquidi ove possibile le somme definitive dovute agli aderenti o, in ogni caso, stabilisca i criteri omogenei per la quantificazione del dovuto. Tale impostazione (che ha trovato efficace applicazione ad esempio nel caso Altroconsumo vs Trenord, la cui sentenza ha disposto l’immediato pagamento del quantum stabilito a favore degli aderenti) meritava di essere conservata.

Al contempo, avrebbero dovuto essere semplificati i passaggi della fase post-sentenza e delle relative adesioni, per le quali la nuova disciplina prevede meccanismi eccessivamente complessi (sostanzialmente mutuati dal processo fallimentare), destinati a divenire ostacoli insuperabili per l’adesione degli interessati, oltre che richiedere tempi lunghi e incerti di definizione. Ci riferiamo, in particolare: alla nomina di un rappresentante comune degli aderenti solo tra soggetti aventi i requisiti del “curatore fallimentare”; all’imposizione agli aderenti di versamento di “fondi spese” per la validità dell’adesione; alla necessità di indicazione da parte degli aderenti di un indirizzo di “posta elettronica certificata”; alla redazione di un “progetto dei diritti individuali degli aderenti” con domande individuali per ciascuno di essi; alla nomina da parte del tribunale di “esperti tecnici” per la valutazione dei fatti dedotti dagli aderenti; alla possibilità di aderenti e resistente di formulare osservazioni sul “progetto dei diritti individuali” con successiva eventuale modifica di quest’ultimo.

La Pec esclusa dalle procedure

La nuova norma elimina inoltre la possibilità – attualmente prevista dall’art. 140 bis – di deposito dell’adesione anche a mezzo fax e anche tramite il ricorrente, e sostituisce il deposito in cancelleria con l’inserimento della domanda in una “area del portale” del ministero della Giustizia, introducendo un meccanismo del tutto inedito e inutilmente burocratico. Al fine di migliorare la disciplina attuale dell’art. 140 bis sarebbe invece stato opportuno prevedere che il deposito potesse avvenire anche tramite posta elettronica certificata del ricorrente.

b) I termini per la proponibilità di una pluralità di azioni di classe e successiva riunione sono eccessivamente restrittivi.

La nuova legge disciplina il caso di pluralità di azioni di classe in senso eccessivamente restrittivo rispetto all’art. 140 bis, prevedendo l’improponibilità delle azioni introdotte decorsi 60 giorni dal deposito del primo ricorso. Tale disciplina induce la presentazione affrettata e immediata di azioni di classe, con un perverso effetto di “prenotazione” dell’azione da parte di chi “arriva prima” di altri, costringendo altri potenziali ricorrenti a un deposito della loro azione in tempi brevissimi.

Parrebbe invece opportuno e più equilibrato che altre azioni di classe possano essere introdotte quantomeno sino al momento in cui la prima viene dichiarata ammissibile, in modo da consentirne la successiva riunione in sede di ammissibilità e la conseguente raccolta delle adesioni da parte dei ricorrenti, nell’interesse degli aderenti stessi.

c) Mancato ampliamento dell’obbligo di “disclosure” a carico del resistente al fine di consentire l’individuazione degli aderenti e pubblicità su appositi spazi messi a disposizione dalla tv di servizio pubblico

Nel nuovo testo si prevede la possibilità che il giudice ordini al resistente la produzione di “prove” in suo possesso utili alla decisione. Va segnalato che una delle difficoltà più rilevanti riscontrate in sede di applicazione dell’art.140 bis ha riguardato l’individuazione dei potenziali aderenti (correntisti bancari, abbonati a utenze o servizi, acquirenti di beni mobili registrati, etc.), quand’anche i loro dati e nominativi sono nel pieno possesso del resistente.

Sarebbe stato più che mai opportuno quindi che, per migliorare sotto questo aspetto la disciplina vigente nell’interesse degli aderenti, l’obbligo di “disclosure” previsto dalla nuova disciplina fosse esteso ai dati dei potenziali aderenti, ove nella disponibilità del resistente.

Allo stesso modo, sempre per facilitare il raggiungimento della classe degli aventi diritto al risarcimento, oltre alla pubblicazione dell’ordinanza di ammissibilità nell’area pubblica del portale del ministero della Giustizia sarebbe stato auspicabile darne adeguata pubblicità su appositi spazi di servizio pubblico messi gratuitamente a disposizione del proponente dalla Rai.

d) Mancata salvaguardia dei diritti degli aderenti dal rischio di prescrizione

L’attuale art. 140 bis prevede che gli effetti della prescrizione, per gli aderenti, decorrono dal deposito dell’atto di adesione, conseguendone che l’atto introduttivo dell’azione non produce per essi alcun effetto interruttivo né sospensivo della prescrizione.

Più incerto l’esito delle richieste di risarcimento

Per effetto di tale disposizione, la metà degli aderenti all’azione di classe Altroconsumo vs Trenord (3 mila su 6 mila) si sono visti dichiarare prescritti il loro diritto al risarcimento del danno (soggetto alla prescrizione annuale vigente in materia di trasporto).

La nuova legge nulla dice su questo aspetto, rischiando di rendere ancora più incerta la situazione giuridica degli aderenti e di vanificare l’adesione, in particolare post-sentenza.

Per salvaguardare i diritti degli aderenti dal rischio della prescrizione sarebbe stato con tutta evidenza necessario stabilire che l’atto introduttivo produca gli effetti interruttivi e sospensivi stabiliti dal Codice civile.

Ma non tutto è perduto: la norma prevede infatti una vacatio legis di un anno e quindi, portata a casa con puntiglio l’approvazione della proposta di legge come originariamente confezionata senza lasciare spazio ad alcun emendamento migliorativo, pare ora ragionevole auspicare che, per evitare la rapida trasformazione di una “vittoria” politica in vittoria di Pirro, si lascino lavorare i tecnici al fine di porre adeguati rimedi alle succitate aporie contenute nella nuova legge. L’opportunità per intervenire chirurgicamente in maniera indiretta sul testo è offerta peraltro quasi su un piatto d’argento dalla necessità, prevista dalla norma stessa, di emanare decreti di attuazione da parte del Ministero della Giustizia. Ove e se tale operazione venisse portata a termine ci uniremmo infine ben volentieri a dire che “Finalmente la giustizia in Italia è al servizio dei cittadini onesti”!

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