La guida

Food delivery, le regole IVA per i pasti ordinati via app

Possono sorgere dubbi sull’appliccazione dell’IVA per la consegna dei pasti ordinati via app: proviamo a fare chiarezza, anche alla luce degli interventi dell’Agenzia delle entrate in proposito

Pubblicato il 28 Dic 2020

Riccardo Albanesi

Dottore Commercialista

Beatrice Pelosi

Dottore Commercialista

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L’applicazione dell’aliquota Iva di riferimento per il servizio di consegna pasti ordinati tramite app può generare confusione. In questo momento poi, la questione è di attualità. Il settore della ristorazione è sicuramente uno dei più colpiti a causa dell’emergenze epidemiologica da Covid-19 e dei conseguenti decreti che hanno imposto la chiusura a intermittenza di bar e ristoranti.

Tuttavia molti ristoratori sono riusciti ad organizzarsi e in poco tempo hanno offerto alla propria clientela servizi di consegna a domicilio o di asporto utilizzando, in alcuni casi, applicazioni internet che consentono di effettuare gli ordini a distanza, assicurando anche una migliore gestione dei tempi di preparazione e di attesa nei locali. Vediamo le regole fiscali relative all’aliquota IVA da seguire in questi casi, considerando le risposte dell’Agenzia delle entrate.

L’aliquota IVA per somministrare alimenti e bevande

Alla somministrazione di alimenti e bevande, attività tipica di bar e ristoranti, si applica ordinariamente l’aliquota IVA del 10%. L’Agenzia Entrate, con il principio di diritto n. 9 del 22 febbraio 2019, lo aveva ribadito evidenziando invece come alla pura cessione di alimenti e bevande l’aliquota IVA da applicare variasse invece in funzione della singola tipologia di bene alimentare oggetto di vendita.

Il discrimine è rappresentato dal fatto che, in caso di somministrazione di alimenti e bevande, la fattispecie è assimilabile alle prestazioni di servizi, perché si caratterizza per la commistione di prestazioni di dare e fare e va quindi distinta dalla mera cessione di alimenti e bevande. Il tema non è di poco conto poiché essendo i clienti principalmente rappresentati da consumatori finali, l’applicazione dell’IVA ridotta del 10% in alternativa a quella del 22%, a parità di listino di vendita, finisce con l’erodere in misura significativa i margini degli operatori del settore.

In questo momento di lockdown il tema è tornato di grande attualità. In risposta alle diverse sollecitazioni pervenute dal settore, lo scorso 18 novembre 2020 presso la Commissione Finanze della Camera il sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze Alesso Mattia Villarosa ha dichiarato che “Allo stato attuale, tenuto conto della riduzione dei coperti per il rispetto degli ingenti vincoli igienico sanitari per la somministrazione in loco degli alimenti, la vendita da asporto e la consegna a domicilio rappresentano modalità integrative mediante le quali i titolari dei suddetti esercizi possono svolgere la loro attività anche se dotati di locali, strutture, personale e competenze astrattamente caratterizzanti lo svolgimento dell’attività di somministrazione abitualmente svolta dagli stessi. Alla luce di quanto suesposto entrambe le ipotesi possono rientrare nell’applicazione delle aliquote ridotte”.

Ma il 14 dicembre 2020, con la risposta all’Interpello n. 581 l’Agenzia Entrate ha invece reso noto, in contrapposizione con quanto indicato pochi giorni prima dal sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che le cessioni di alimenti e bevande da asporto, in mancanza di servizi a supporto della vendita, non possono qualificarsi come somministrazioni soggette ad aliquota IVA del 10% e richiedono quindi l’applicazione dell’aliquota IVA prevista per ogni singola tipologia di bene alimentare oggetto di vendita. Nello specifico, in risposta al caso proposto dal contribuente, l’Agenzia ha precisato che l’utilizzo di un’applicazione internet non è sufficiente, di per sé, a qualificare l’operazione come prestazione di servizi.

Come funziona il food delivery

Il contribuente riteneva invece che la modalità, di seguito descritta, potesse rappresentare una delle modalità integrative previste dal MEF. L’applicazione, in particolare, consente a ciascun cliente di prenotare il proprio orario di accesso al ristorante e di effettuare l’ordinazione da remoto onde evitare un eccessivo congestionamento degli spazi antistanti alle casse che causerebbero l’allungamento dei tempi di attesa. I clienti tramite l’applicazione possono procedere all’acquisto dei:

  1. prodotti alimentari e bevande venduti singolarmente e
  2. prodotti alimentari e bevande confezionati in assortimento per il consumo al minuto.

L’applicazione consente anche al cliente di personalizzare la preparazione delle bevande e dei prodotti alimentari anche attraverso la possibilità di escludere e/o aggiungere determinati ingredienti su indicazione dei clienti.

Il processo di ordinazione e acquisto tramite l’Applicazione può essere sintetizzato come segue:

  • il cliente sceglie uno dei ristoranti tra quelli disponibili;
  • il cliente sceglie i prodotti alimentari e le bevande che intende ordinare, con eventuale personalizzazione;
  • il cliente sceglie la modalità di ritiro dei prodotti selezionati. Tali modalità sono: consegna alla cassa del ristorante;  servizio al tavolo del ristorante (in tal caso, al momento dell’ordine, il consumatore deve selezionare il numero identificativo del tavolo al quale intende essere servito);
  • il cliente effettua il pagamento dell’ordine mediante strumenti di pagamento elettronici;
  • gli addetti del ristorante procedono alla preparazione dei prodotti alimentari e delle bevande, secondo le istruzioni e le personalizzazioni richieste dal consumatore, al suo arrivo presso il ristorante;
  • il ritiro dell’ordine avviene secondo la modalità prescelta.

La normativa sulla somministrazione

L’Agenzia Entrate ha negato che l’attività svolta dal contribuente possa sempre qualificarsi come somministrazione. A supporto di tale conclusione l’Agenzia richiama principi di giurisprudenza comunitaria secondo cui tra gli elementi qualificanti un’operazione di ristorazione, idonei a distinguere quest’ultima dalla mera cessione di alimenti da asportare, vi sono, tipicamente, la cottura dei cibi, la loro consegna materiale su un sostegno, la disponibilità di un’infrastruttura comprendente una sala di ristoro con servizi annessi, arredi e stoviglie e l’eventuale presenza di personale per il servizio al tavolo.

Anche l’art. 6 del Reg. Ue 282/2011 prevede che per qualificare un’operazione come servizio di ristorazione, deve risultare preponderante, nella fornitura di cibi e bevande, la componente relativa ai servizi di supporto che consentono il loro consumo immediato. L’utilizzo di un’applicazione per gestire il servizio, a parere dell’’Agenzia Entrate non è sufficiente per ricondurre l’operazione alle somministrazioni di alimenti e bevande, non rientrando tra gli elementi ritenuti “qualificanti” dalla Corte di Giustizia Ue.  Nel caso specifico inoltre l’Agenzia sostiene che nella preparazione del prodotto sono richieste essenzialmente azioni standardizzate, effettuate in modo costante e regolare. Pertanto, il lavoro umano di preparazione non può essere considerato quale elemento preponderante dell’operazione.

Piuttosto, nel caso specifico, per ricondurre l’operazione a una somministrazione appare dirimente, in assenza di ulteriori servizi aggiuntivi, la possibilità di consumare i prodotti presso i locali del ristorante. Quindi secondo l’Agenzia:

  • se gli alimenti e le bevande acquistati vengono consumati nei locali del ristorante, potrà applicarsi l’aliquota IVA del 10%;
  • se invece vengono consumati al di fuori dei locali, previo asporto o consegna a domicilio, prevalendo l’elemento di “dare”, devono qualificarsi come cessioni autonome di beni, da assoggettare a IVA secondo l’aliquota propria di ciascun prodotto.

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