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L’intelligenza artificiale nel settore legale: stato dell’arte e scenari futuri

Con l’aumento esponenziale della capacità di calcolo e con la tendenziale diminuzione del costo di accesso, sta aumentando il numero di professionisti del diritto in grado di accedere a soluzioni di intelligenza artificiale, che faranno sempre più parte dell’armamentario standard richiesto dai clienti ad avvocati e giuristi

Pubblicato il 04 Nov 2020

Yan Pecoraro

Corporate-transactional lawyer in the media, entertainment and new technology industries - Partner Portolano Cavallo

legal-technology

Anche in Italia si avrà, in tempi relativamente brevi, un aumento esponenziale dell’impiego di soluzioni di intelligenza artificiale in diverse aree del diritto. Questo fenomeno potrebbe essere determinato non soltanto da una domanda più matura di servizi legali, ma anche da un obbligo in capo agli avvocati di ricorrere, per la soluzione delle pratiche più complesse, a queste innovative soluzioni.

Cercheremo quindi di ipotizzare gli scenari futuri dell’uso dell’intelligenza artificiale da parte di avvocati e giuristi di impresa in Italia, dopo aver fatto rapidi cenni alla situazione attuale.

L’intelligenza artificiale applicata al mondo del diritto

Occorre prima di tutto chiarire il significato del termine “intelligenza artificiale” in particolare nel mondo del diritto. Secondo l’Oxford English Dictionary, per intelligenza artificiale si intende “la teoria e lo sviluppo di sistemi informatici in grado di svolgere compiti che normalmente richiedono l’intelligenza umana, come la percezione visiva, il riconoscimento vocale, i processi decisionali e la traduzione tra le lingue”. Questa definizione, applicata al mondo del diritto, potrebbe diventare “la teoria e lo sviluppo di sistemi informatici in grado di svolgere compiti che normalmente richiedono le competenze tecniche di giuristi, come la qualificazione di clausole di contratti, il riconoscimento e la qualificazione di contenuti giuridicamente rilevanti, i processi decisionali basati sull’analisi giuridica, la valutazione dei rischi, la previsione dell’esito di giudizi e la traduzione in contenuti giuridici di concetti/esigenze espresse da non giuristi”.

A parere di chi scrive, il termine “intelligenza artificiale” come sopra definito è stato spesso utilizzato per identificare sistemi informatici che di artificialmente intelligente hanno ben poco. In effetti, nonostante il termine sia stato utilizzato nell’ambiente legale in Italia in diverse occasioni negli anni passati, i sistemi in grado di replicare, anche solo parzialmente, ragionamenti della mente del giurista (e quindi realmente qualificabili come soluzioni di “intelligenza artificiale”) sono stati impiegati di rado nel nostro Paese; queste piattaforme, inoltre, sono state accessibili solo da parte di strutture (studi professionali o imprese) molto grandi, in grado di sostenere investimenti significativi nello sviluppo e/o acquisto di sistemi informatici avanzati. Quanto precede non ha generato, ad oggi, particolari problemi per gli avvocati in generale; questo poiché è ancora poco frequente la richiesta da parte dei clienti di impiegare soluzioni tecnologicamente avanzate nell’esercizio della professione. Le richieste in tal senso sono di norma determinate da esigenze di sicurezza informatica e, in alcuni casi, dal fine di rendere più efficiente e meno caro il servizio reso da giuristi.

Con l’aumento esponenziale della capacità di calcolo e con la tendenziale diminuzione del costo di accesso a detta capacità, sta aumentando progressivamente il numero di professionisti in grado di accedere a questi sistemi e, probabilmente, queste soluzioni faranno sempre più parte dell’armamentario standard richiesto dai clienti ad avvocati e giuristi.

I possibili obblighi di utilizzo in capo ai giuristi italiani

A prescindere dalle esigenze del mercato, si può configurare oggi in capo al giurista italiano un obbligo (anche solo deontologico) di utilizzare e/o conoscere queste soluzioni? Ad oggi, la risposta è probabilmente negativa e quasi sicuramente non verrebbe biasimato l’avvocato, o il legale interno, che non utilizzi questi sistemi informatici a supporto delle proprie attività. Tuttavia, è ipotizzabile uno scenario futuro in cui il giurista, non preparato in materia di intelligenza artificiale, possa esser ritenuto responsabile per non aver svolto il proprio incarico con la diligenza richiesta? Ad esempio, potrebbe essere oggetto di provvedimento disciplinare e/o ritenuto responsabile civilmente l’avvocato che, nell’ambito di un processo civile, non ricorra al supporto dell’intelligenza artificiale per la raccolta e l’analisi di prove archiviate sui server del proprio cliente?

Facendo alcune ricerche si trovano indizi che suggeriscono una risposta potenzialmente positiva a tali quesiti, come per esempio nel parere non vincolante reso nel 2015 dallo Standing Committee on Professional Responsibility and Conduct of the State Bar of California (n. 2015-193[1]), che utilizza argomentazioni che facilmente potrebbero esser condivise da un legale italiano. Il comitato in questione, equivalente californiano delle commissioni e strutture di deontologia e disciplina istituite presso gli ordini degli avvocati in Italia, nell’esaminare la diligenza richiesta agli avvocati californiani in relazione alla raccolta di prove all’interno di archivi elettronici, concludeva affermando che, ai sensi di 2 articoli del codice deontologico forense della California (norme che prevendono doveri di competenza nonché di formazione professionale equivalenti a quanto previsto dagli articoli 14 e 15 del Codice Deontologico Forense italiano), un avvocato californiano dovrebbe possedere quantomeno una conoscenza di base di soluzioni di e-discovery e che, nel caso di attività di e-discovery particolarmente complesse, il dovere di competenza professionale imporrebbe all’avvocato californiano (1) di acquisire una conoscenza adeguata di queste soluzioni; o (2) di coinvolgere colleghi e/o consulenti tecnici esperti di queste soluzioni; o (3) di rifiutare l’incarico professionale. L’organo californiano giunge a queste conclusioni constatando che, alla luce dell’ingresso sempre più diffuso dei sistemi di intelligenza artificiale nella vita quotidiana di tutti (avvocati e non-avvocati), l’avvocato non preparato in materia di e-discovery non sarebbe scusabile e potrebbe essere deontologicamente responsabile per la violazione dell’obbligo di competenza nonché dell’obbligo di formazione professionale. In altre parole, la sempre più frequente diffusione di queste nuove tecnologie nella nostra vita quotidiana ed in particolare la crescente facilità di accesso nel settore legale imporrebbe a carico dell’avvocato californiano di possedere un minimo livello di familiarità con queste nuove tecnologie.

Il parere californiano potrebbe sembrare avveniristico dal punto di vista italiano, tuttavia riteniamo che posizioni simili potrebbero essere condivisibili in tempi brevi anche nel nostro Paese. In effetti, come già indicato, la “democratizzazione” di queste soluzioni in molti settori, insieme all’aumento esponenziale di informazioni inserite in questi sistemi, si traduce in un accesso tendenzialmente meno oneroso a soluzioni di intelligenza artificiale sempre più performanti, in grado di gestire volumi di dati inimmaginabili sino a pochi anni fa a costi più gestibili rispetto al passato.

Se, come già detto, sino ad oggi la spinta a valutare l’applicazione di soluzioni di intelligenza artificiale è stata determinata principalmente da obbiettivi quali il miglioramento del servizio reso ai clienti e la riduzione del relativo costo, si potrebbe ragionevolmente immaginare che in un futuro non troppo lontano cittadini/clienti pretendano (a ragione) che l’avvocato cui daranno mandato possieda almeno competenze minime circa l’applicazione dell’intelligenza artificiale nel campo del diritto. In questo contesto futuro, l’uso di soluzioni di intelligenza artificiale potrebbe diventare una condizione essenziale per acquisire nuovi incarichi professionali o quantomeno gli incarichi professionali più complessi. Si tratta, a parere di chi scrive, di un processo inevitabile (ed in parte anche auspicabile) di miglioramento, a certe condizioni, dei servizi resi dagli avvocati.

Le aree di applicazione dell’AI nel settore legale

Un indizio del sempre maggior impiego di soluzioni di intelligenza artificiale nel settore legale in Italia è rappresentato anche dall’aumento delle aree in cui queste soluzioni possono trovare applicazione. Fino a poco tempo fa, l’applicazione dell’intelligenza artificiale sembrava aver trovato terreno relativamente fertile soprattutto nel mondo della due diligence legale[2], nel contesto di compravendite societarie, settore che presenta caratteristiche favorevoli ad una diffusione rapida di queste soluzioni: volumi significativi di documenti, svolgimento di alcune attività molto dispendiose in termini di tempo ma percepite di limitato valore aggiunto, necessità di impiegare squadre piuttosto grandi di professionisti. Da qualche tempo si affacciano sul mercato sistemi di intelligenza artificiale destinati all’impiego in altre aree, come per esempio il settore delle indagini interne e del contenzioso, entrambi caratterizzati da volumi significativi di documenti- in alcuni casi tanto grandi da essere difficilmente gestibili senza il supporto di nuove tecnologie- e nei quali l’uso attento dell’intelligenza artificiale può dare ottimi risultati sia in termini di qualità del lavoro che di efficienza. Dopo essere stato tra i primi studi legali in Italia ad impiegare un sistema di intelligenza artificiale nel campo della due-diligence societaria, lo studio legale Portolano Cavallo, di cui chi scrive è socio, è oggi il primo in Italia ad impiegare Luminance Discovery, una piattaforma di intelligenza artificiale in grado di supportare i propri professionisti nelle aree del contenzioso e delle indagini interne. In queste aree di attività, l’analisi documentale è in effetti una fase fondamentale che richiede, vista la significativa quantità di documenti da esaminare, l’impiego di numerose risorse e di tempo. Con il supporto dell’intelligenza artificiale, i professionisti dello studio sono in grado di identificare e catalogare con maggiore velocità rispetto al passato i documenti rilevanti, migliorando in maniera significativa sia la qualità delle comunicazioni con i propri clienti che l’esibizione di tali documenti presso i tribunali.

Un’altra area del diritto potenzialmente terreno fertile per un maggior impiego di queste soluzioni potrebbe essere quella della compliance, nella quale la proliferazione delle normative applicabili ed il conseguente aumento delle informazioni da gestire e dei processi da monitorare/implementare suggeriscono un futuro in cui il giurista responsabile della compliance dovrebbe ricorrere con maggior frequenza all’uso di soluzioni di intelligenza artificiale. In questo settore, si potrebbe anche immaginare che la disponibilità sul mercato a costi relativamente ragionevoli di soluzioni innovative che rendano più facilmente gestibile la compliance possa favorire un maggiore rigore nell’applicazione di alcune norme, questo in quanto le autorità competenti potrebbero ritenere colpevole il comportamento di chi ometta di attrezzarsi per la gestione della compliance ricorrendo a soluzioni tecnologiche in grado di agevolarla.

  1. Disponibile a questo link.
  2. Si rimanda a tal proposito all’articolo Intelligenza artificiale e M&A, così il robot spinge la due diligence.

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