L’esplosione nell’ultimo anno degli NFT ha portato all’evidenza alcuni comportamenti criminali legati al possesso di informazioni riservate da parte dei dipendenti dei market place, minando l’affidabilità degli acquisti digitali delle opere.
Si tratta di un reato, insider trading, oppure semplicemente un comportamento moralmente deprecabile? Il dilemma è difficile da dirimere: da una parte la recente esplosione degli NFT certamente non permette di avere una letteratura giuridica in materia e allo stesso tempo il Legislatore ha approfondito in modo molto superficiale gli aspetti giuridici delle condotte di utenti e professionisti che lavorano in ambito informatico.
Il caso di OpenSea
Sapere di avere un’opera di Beeple in casa e riuscire a soffiarla prima dell’asta rappresenta oggi lo spauracchio di ogni market place degno di nota, se si pensa che le sua opera “The First 5.000 Days”, raccolta di 5.000 opere giornaliere riunita in un unico lotto e in un unico luogo digitale dalla casa d’asta Christie’s, è stata bandita alla cifra record di 69 milioni di dollari.
Ha fatto così molto scalpore il comunicato di OpenSea di aver iniziato un’indagine interna per individuare un dipendente che avrebbe acquistato alcuni wallet prima che gli stessi comparissero sulla pagina pubblica della start up valutata 1,5 miliardi di dollari, per aumentarne il valore immediato, anche grazie al ronzio informatico.
Ebbene lo schema del dipendente era particolarmente semplice, ma anche incredibilmente facile da scoprire, in quanto la transazione e la traccia informatica ormai era stata impressa nella rete pubblica Blockchain e quindi visibile agli altri utenti. Dune Analytics riferisce che il mese d’agosto la piattaforma OpenSea ha registrato un volume d’affari senza precedenti valutando in circa 3.4 miliardi di dollari l’importo delle transazioni scambiate: i numeri appena indicati rendono l’idea dell’impatto che può avere tale condotta in termini di guadagno immediato.
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Insider trading, cosa dice la normativa italiana
Certamente per l’ordinamento italiano il caso OpenSea non sarebbe da inquadrare all’interno della fattispecie dell’Abuso di informazioni privilegiate ai sensi dell’art. 180 del TUF in quanto l’informazione privilegiata in possesso dell’insider non avrebbe per oggetto uno strumento finanziario, bensì un vero e proprio prodotto, seppur descritto in termini di codice informatico.
Così recita il reato di abuso di informazioni priivilegiate: “È punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da venti (10.329 euro n.d.r.) a seicento milioni (309.874 euro n.d.r.) chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della partecipazione al capitale di una società, ovvero dell’esercizio di una funzione, anche pubblica, di una professione o di un ufficio: a) acquista, vende o compie altre operazioni, anche per interposta persona, su strumenti finanziari avvalendosi delle informazione medesime; b) senza giustificato motivo, dà comunicazioni delle informazioni delle informazioni, ovvero consiglia ad altri, sulla base di esse, il compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a)”.
Sul punto si può discutere, ed è già oggetto di ampia discussione, se una Cryptovaluta sia o meno uno strumento finanziario. Per la Cassazione, laddove un BitCoin sia proposto come investimento, certamente acquisisce le caratteristiche di strumento finanziario, sicché come tale va considerato (Cass. 26807/2020). Ebbene, nel caso di specie, l’NFT non sarebbe nient’altro che un certificato di proprietà su un’opera digitale. Attraverso l’acquisto di un Token non fungibile si acquisisce un diritto sull’opera, garantito attraverso uno smart contract, sicché alcun guadagno sarebbe garantito sul bene, né tantomeno promesso dall’intermediario Market Place.
Il valore dell’opera, specie se digitale e sottoposta ad hashing, è demandato ad un mercato non istituzionale, privo di regole, basato sull’affidabilità dell’informazione. In altri termini non trattandosi evidentemente di strumento finanziario, per il Legislatore Italiano, tale condotta non potrebbe essere definita come criminosa.
La frode informatica
Dal punto di vista di chi scrive, la vicenda potrebbe pertanto essere inquadrata nel nostro ordinamento come “frode informatica” ai sensi dell’art. 640 ter del Codice Penale, secondo il quale “Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032”.
Rimane da considerare però che nel caso di specie alcuno dei soggetti del reato ha davvero subito un vero e proprio danno: il market place ha comunque piazzato gli wallet, mentre gli acquirenti successivi dei NFT hanno pagato un prezzo sì più alto, ma in modo consapevole. Sicuramente un profitto è esistito ed è stato generato dalla posizione del dipendente che è riuscito a strappare l’oggetto poco prima o immediatamente dopo la pubblicazione all’interno del Market.
Certo l’insider trader potrebbe essere considerato come operatore di sistema di cui al secondo comma dell’art. 640 ter del codice penale, secondo comma. Ma anche su questo punto occorre precisare che l’ operazione non è consistita in un accesso abusivo al sistema informatico, bensì il trader ha semplicemente esercitato il diritto all’acquisto, così come avrebbe fatto chiunque, agevolato dalla conoscenza anticipata degli oggetti messi in vendita. Tale analisi sulla liceità o meno della condotta del dipendente di OpenSea potrebbe purtroppo essere replicata in tutto il mondo crittografico poiché il fenomeno ha talmente investito le economie moderne, durante peraltro una fase pandemica, che ancora non esiste una vera e propria legislazione in materia.
Lo scenario futuro
Lo scandalo OpenSea chiarisce come l’utilizzo della tecnologia blockchain renda ogni transazione trasparente e, allo stesso tempo, possa essere un potente strumento per monitorare comportamenti nefasti, dato che tutte le operazioni sono pubbliche e registrate per sempre. Ma ciò non è sufficiente: in attesa che i governi riescano a trovare una politica condivisa per punire le condotte criminose, dovranno essere le piattaforme a disciplinare le condotte degli operatori colmando il divario normativo che esiste in vaste aree del più ampio ecosistema crittografico, ponendo il divieto di compiere transazioni connesse o meno con il proprio lavoro. Sulla base di tale riflessione la stessa OpenSea ha inteso riformare e implementare la propria policy al fine di impedire ai membri del team di utilizzare informazioni riservate per acquistare o vendere qualsiasi NFT, disponibile o meno sulla piattaforma OpenSea, una regola che esiste in ogni ambito della società civile, ma che l’utopia degli NFT evidentemente non aveva previsto.
Ed è questo probabilmente il problema più grande degli NFT: l’utopia dietro la loro diffusione. Il mondo dell’arte, principalmente, del collezionismo, ma di tutta la cultura pop è esploso senza porsi alcuna questione etica sull’utilizzo delle immagini, sulla manipolazione delle immagini di altri autori, sul concetto di creazione, superando ogni concetto di tutela sia dell’acquirente (al quale non viene garantito in modo assoluto il suo acquisto, se non nei termini indicati all’interno del contratto associato, la cui applicazione transfrontaliera e il rispetto delle condizioni non p demandato ad alcuna autorità), sia dell’autore di un’opera (che viene modificata e contenuta in un hash senza la necessità di alcun consenso). Gli NFT rappresentano pertanto un mercato deregolato, transnazionale, digitale privo di tutela e non può meravigliare che all’interno di tale mondo utopico esistano comportamenti illeciti che non possono essere perseguiti.