I Paesi che meglio proprietà sono anche quelli che innovano di più. L’Italia non è fra questi e, anzi, continua a perdere posizioni.
Esaminiamo il nostro country profile, i nodi critici e le scelte di politica economica che servirebbero per invertire la rotta, sulla base dei dati dell’International Property Rights Index (IPRI), uno studio realizzato con cadenza annuale dalla Property Rights Alliance che misura come e quanto viene tutelata la proprietà fisica e intellettuale in 127 Stati rappresentanti il 98 per cento del Prodotto Interno Lordo mondiale ed il 94 per cento della popolazione.
L’indice viene presentato in Italia dal think tank Competere e vede la partecipazione di 118 istituti di ricerca e organizzazioni operanti in 72 nazioni. L’edizione 2020 mostra un quadro piuttosto negativo per l’Italia che si colloca solamente al quarantasettesimo posto della classifica (6.2 il punteggio), dopo Rwanda, Sud Africa e Uruguay, arretrando rispetto al 2014 quando l’Indice ci collocava al 40esimo.
Rimaniamo ancora ben distanti dagli altri paesi del G7 (7.6 punti di media senza l’Italia) e di gran lunga staccati da realtà quali la Finlandia (8.6), la Svizzera (8.5), la Nuova Zelanda (8.4), Singapore (8.4) e Giappone (8.3) che occupano le prime cinque posizioni dell’indice internazionale.
La situazione dell’Italia secondo l’International Property Rights Index
L’indice si compone di 3 voci principali che riguardano il “sistema politico e giuridico”, la “tutela dei diritti di proprietà fisica” e la “tutela dei diritti di proprietà intellettuale” a loro volta suddivise in sotto-capitoli che definiscono il punteggio finale.
L’Italia è insufficiente nella prima voce (5.5), soprattutto per quanto riguarda la stabilità politica e l’efficienza e l’efficacia della giustizia civile, oltre agli alti livelli di corruzione percepiti. Per quanto riguarda la tutela della proprietà fisica la situazione rimane stabile rispetto al 2019, dove l’aspetto migliore si conferma il sistema di registrazione dei brevetti e dei marchi (9.5). Lievi miglioramenti invece per il campo della tutela della proprietà intellettuale (circa 6.8) grazie anche alle agevolazioni derivanti dal cosiddetto patent box e a una regolamentazione che riesce a garantire in modo sufficientemente efficace i diritti delle imprese e degli “inventori”. Sempre male la difesa del copyrights che riporta un punteggio di 5.7 su un massimo di 10.
Italia e proprietà, i nodi critici
Approfondendo ancora più il country profile relativo all’Italia emergono alcuni nodi critici come l’indipendenza della giustizia, valutata solamente 5/10 e la corruzione percepita. Le performance peggiori vengono fatte segnare però dalla dall’accesso al credito, il dato peggiore in assoluto, che registra un punteggio pari a 3.3.
L’edizione 2020 dell’Indice presenta alcune novità di interesse. In primo luogo, l’attenzione particolare rivolta alla parità di genere. Esiste infatti una correlazione tra la riduzione del gender gap ed elevati livelli di innovazione e sviluppo economico-sociale e viceversa. Il problema persiste anche nelle nazioni più avanzate, inclusa l’Italia, ma è più evidente dove i diritti e le libertà delle donne sono limitati dalla regolamentazione o dal substrato culturale.
L’impatto della pandemia sulla tutela della proprietà
Allo stesso tempo, seguendo anche le parole della professoressa Sary Levy Carciente che ha elaborato lo studio, vi sono timori circa l’impatto della pandemia sulla tutela della proprietà. Tra le raccomandazioni principali rivolte ai governi e a tutti i decisori pubblici vi è infatti quella di non mettere da parte queste istanze. Al contrario, durante situazioni emergenziali che mettono sotto pressione le economie mondiali, è necessario proseguire la strada verso un rafforzamento delle tutele per imprese e cittadini, e remunerare gli innovatori.
Le scelte di politica economica che possono invertire la rotta
Analizzando in profondità la situazione italiana ci si trova davanti ad alcune evidenze che vale la pena approfondire e si legano anche alle scelte di politica economica che verranno fatte nel futuro.
Più risorse per generare sviluppo tecnologico di scala
Tra gli aspetti fondamentali da considerare ci sono gli scarsi investimenti nella creazione di sistemi di imprese o incentivi ad ampliare la dimensione media delle aziende italiane. Non si parla solamente delle PMI, ma anche delle organizzazioni più allargate. In questo modo sarebbe possibile attivare un meccanismo virtuoso sul piano delle risorse utilizzabili per generare sviluppo tecnologico di scala. Tra i futuri piani per la Transizione 4.0, che fanno leva anche sulla disponibilità dei fondi provenienti dal Recovery e dal budget UE, potrebbero rientrare misure volte a favorire queste dinamiche. Ad esempio, predisponendo maggiori sgravi e un apposito credito d’imposta per le attività di registrazione della proprietà intellettuale da accompagnare a quanto già previsto per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Allo stesso tempo potrebbero aumentare le aliquote per le imprese che fanno sistema e creano consorzi/reti con dotazioni più elevate.
Tempi della giustizia civile e produttività
Emergono anche forti difficoltà sul piano della risoluzione delle cause civili. Questo tema è sul tavolo della politica italiana da tempo e sembra irrisolvibile. Nelle ultime relazioni annuali della Banca d’Italia si riconosce la lentezza della giustizia civile tra le principali cause che ostacolano la produttività delle imprese. In particolare, si legge, gli investimenti e le scelte delle aziende sono fortemente condizionate dalla qualità del sistema giudiziario in quanto questo incentiva comportamenti connotati da una minor propensione al rischio, risultando in una generale perdita di competitività. Nonostante siano stati riconosciuti segnali di miglioramento per quanto riguarda i processi in pendenza, viene ribadito da Bankitalia come la “la durata dei processi, specialmente in alcuni tribunali, rimane ancora molto elevata”, evidenziando l’insufficienza delle misure fino ad oggi adottate per migliorare la concorrenza e il tenore degli investimenti. Questo nodo deve essere affrontato con decisione dal legislatore. Ad esempio ampliando l’offerta degli strumenti di risoluzione delle controversie a disposizione dei cittadini e delle imprese, affiancando i tribunali che con meno carico di lavoro potranno essere più efficienti. Inoltre, attuando una digitalizzazione massiccia dei processi interni alle sedi deputate a queste attività. Un input, sul fronte della proprietà intellettuale, potrebbe venire dal tribunale unificato dei brevetti che sarà una corte unica per i brevetti europei concessi dall’Ufficio Brevetti Europeo EPO e per i nuovi brevetti europei con effetto unitario. Su questa scia è possibile prevedere forme simili anche per altre tipologie di contenziosi.
Conclusioni
In generale, l’Indice internazionale sulla tutela della proprietà intellettuale può essere uno strumento importante per capire quali sono le storture del sistema d’innovazione italiano. Partire da queste analisi è importante anche per la ripresa economica dopo la pandemia. Un’occasione per portare avanti strategie di ampio respiro e non solo mettere delle toppe su problemi molto più profondi e radicati.