Imposta Servizi Digitali

Web Tax, ecco le regole: a chi spetta e quali gli impatti

Vediamo che cos’è l’Imposta sui Servizi Digitali, chi riguarda, in che modo si calcola, come si paga e tutti gli adempimenti che introduce, oltre alle posizioni di OCSE e Assonime sul tema e i precedenti tentativi di tassazione di questo ambito

Pubblicato il 12 Apr 2021

Daniele Tumietto

Dottore commercialista

digital tax - ravvedimento operoso

L’Imposta sui servizi digitali si è resa necessaria perché la progressiva ed esplosiva espansione delle grandi società di servizi digitali ha creato numerosi problemi agli Stati che, in passato, non hanno avuto chiaro quale politica fiscale applicare ai gruppi transnazionali che spesso non pagano le imposte nei paesi dove vendono i loro servizi senza avere una presenza operativa propria.

Ora, con la Circolare 3/E del 23 marzo 2021 il direttore dell’Agenzia delle Entrate ha fornito le indicazioni e le risposte i quesiti che erano attesi dalle aziende e dagli operatori interessati dalla nuova normativa riguardante l’imposta sui servizi digitali – ISD. Dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del Decreto Sostegni (decreto-legge n. 41/2021) il documento dell’Agenzia delle Entrate fornisce i chiarimenti necessari in merito alla applicazione dell’imposta, agli adempimenti fiscali e dichiarativi connessi, alle relative attività contabili, ai rimborsi ed alle convenzioni contro le doppie imposizioni.

Si rammenta che già il 15 gennaio scorso era già stato emanato un Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate in cui erano stati raccolti diversi contributi da parte degli operatori, a seguito della consultazione pubblica che si era tenuta dopo la pubblicazione della bozza del provvedimento stesso.

Cosa è l’ISD – Imposta sui servizi digitali

L’Imposta sui Servizi Digitali si applica sui ricavi che sono conseguiti dalla fornitura di servizi come indicati all’articolo 1 della Legge di Bilancio dello Stato per l’anno 2019 n.145/2018, all’articolo 1, commi 35-50.

Per servizi digitali la norma indica che sono tali quei servizi che:

  • veicolano su un’interfaccia digitale pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia;
  • mettono a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale, che permette agli utenti di essere in contatto e interagire tra loro anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi;
  • permettono la trasmissione di dati raccolti da utenti e che sono originati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale.

Chi sono i soggetti interessati

Tutti gli esercenti di attività d’impresa sono soggetti passivi di imposta se nel corso dell’anno solare precedente a quello in cui sorge il presupposto impositivo, realizzano ovunque nel mondo, singolarmente o congiuntamente a livello di gruppo, un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a euro 750.000.000 e, nel medesimo periodo, sempre singolarmente o congiuntamente a livello di gruppo, un ammontare di ricavi da servizi digitali non inferiore a euro 5.500.000 nel territorio dello Stato.

In caso di designazione, la società del gruppo designata assolve al già menzionato obbligo per ciascuna società designante.

Come si calcola

L’imposta da pagare si ottiene applicando l’aliquota del 3% ai ricavi imponibili.

Ai fini della determinazione della base imponibile non vanno considerati i ricavi derivanti dai servizi digitali resi a soggetti, sia residenti sia non residenti nel territorio dello Stato, che si considerano controllati, controllanti o controllati.

A tal fine rilevano i corrispettivi percepiti nel corso dell’anno solare da ciascun soggetto passivo dell’imposta.

Digital Tax, scadenze e regole per calcolarla: le indicazioni ufficiali

I ricavi imponibili sono definiti al lordo dei costi sostenuti per la fornitura dei servizi digitali e al netto dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette.

Criteri di geolocalizzazione

Il ricavo imponibile è tale se l’utente del servizio digitale è localizzato nel territorio nello Stato.

Per ogni servizio ceduto vi è una diversa regola per valutare quale normativa è applicabile per verificare se l’utente si può considerare come localizzato nel territorio dello Stato. In particolare:

  • nel caso in cui vengono erogati servizi digitali di indirizzamento su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti, proveniente dalla stessa interfaccia, l’utente si considera localizzato nel territorio dello Stato se la pubblicità figura sul dispositivo dell’utente nel momento in cui il dispositivo è utilizzato nel territorio nello Stato, nell’anno solare, per accedere ad una interfaccia digitale;
  • nel caso in cui i servizi digitali sono erogati mediante un’interfaccia digitale multilaterale, che facilita le relative cessioni di beni o prestazioni di servizi direttamente tra gli utenti, l’utente si considera localizzato nel territorio italiano quando utilizza nel medesimo territorio, nell’anno solare, un dispositivo per accedere all’interfaccia digitale e conclude un’operazione corrispondente su tale interfaccia in detto periodo;
  • i servizi non rientranti tra quelli del riquadro precedente: l’utente si considera localizzato nel territorio italiano quando dispone di un conto per la totalità o una parte dell’anno solare che gli consente di accedere all’interfaccia digitale e tale conto è stato aperto utilizzando un dispositivo localizzato nel territorio dello Stato.

Come pagare l’ISD

In sede di prima applicazione l’imposta dovuta, per le operazioni imponibili nell’anno 2020 è versata entro il 16 marzo 2021 (art. 2 del D.L. n. 3 del 2021).

Di norma i soggetti passivi dell’imposta sono tenuti al versamento dell’imposta entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello in cui sono realizzati i ricavi imponibili.

I codici tributo per il versamento dell’imposta e le istruzioni per la compilazione del modello di pagamento verranno indicati e istituiti con apposita Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, attualmente non ancora pubblicata.

Per i soggetti non residenti che non hanno un conto corrente presso sportelli bancari o postali situati in Italia e che non possono eseguire il pagamento con le già menzionate modalità, effettuano il versamento mediante bonifico in “EURO” a favore del Bilancio dello Stato al Capo 8 – Capitolo 1006, codice IBAN IT43W0100003245348008100600, indicando quale causale del bonifico:

  • il codice fiscale,
  • il codice tributo e
  • l’anno di riferimento.

I soggetti residenti nel territorio dello Stato, anche non soggetti passivi dell’imposta che alla fine dell’anno solare in cui sono realizzati i ricavi imponibili appartengono allo stesso gruppo dei soggetti passivi non residenti, diversi da quelli stabiliti in uno Stato non collaborativo e privi di una stabile organizzazione in Italia, sono solidalmente responsabili con questi ultimi per il versamento dell’imposta dovuta.

Dichiarazione annuale

I soggetti passivi dell’imposta devono presentare la dichiarazione annuale entro il termine del 31 marzo dell’anno solare successivo a quello in cui sono realizzati i ricavi imponibili.

In sede di prima applicazione, la dichiarazione relativa all’imposta dovuta per le operazioni imponibili nell’anno 2020 è presentata entro il 30 aprile 2021. (art. 2 del D.L. n. 3 del 2021).

Il modello viene presentato direttamente dai soggetti abilitati a Entratel o Fisconline, ovvero tramite soggetti incaricati.

La trasmissione dei dati dovrà avvenire utilizzando le specifiche tecniche allegate al provvedimento.

I soggetti non residenti presentano la dichiarazione:

  • tramite una stabile organizzazione nel territorio dello Stato,
  • direttamente, se in possesso di un codice fiscale rilasciato dall’Amministrazione Finanziaria italiana,
  • direttamente, previa richiesta del codice fiscale, qualora ne siano privi,
  • tramite un rappresentante fiscale appositamente nominato.

Ulteriori adempimenti

Per adempiere agli obblighi previsti, i soggetti passivi dell’imposta provvedono:

  • mediante il proprio codice fiscale rilasciato dall’Amministrazione Finanziaria italiana,
  • i soggetti passivi non residenti, che non siano in possesso del codice fiscale devono richiederne l’attribuzione all’Agenzia delle Entrate utilizzando i modelli già in uso, e più precisamente:
    • il modello AA4/8: per le persone fisiche,
    • il modello AA5/6: per i soggetti diversi dalle persone fisiche.

I soggetti passivi che sono stabiliti in uno Stato non collaborativo e non hanno una stabile organizzazione in Italia, sono tenuti a nominare un rappresentante fiscale.

I soggetti passivi dell’imposta appartenenti a un gruppo al termine dell’anno solare possono designare una società del gruppo, scegliendo tra i soggetti passivi dell’imposta.

La società designata deve essere individuata prioritariamente tra i soggetti del gruppo, residenti o stabiliti in Italia ove esistenti, e in mancanza, tra i soggetti passivi dell’imposta non residenti.

Non può in ogni caso essere designato un soggetto passivo stabilito in uno Stato non collaborativo e privo di una stabile organizzazione in Italia.

La designazione ha validità annuale, con riferimento agli obblighi da adempiere nell’anno in cui è effettuata.

Nell’ambito del gruppo può essere fatta un’unica designazione valevole nei confronti di tutte o alcune delle società che ne fanno parte.

Le società che non hanno scelto di aderire alla designazione adempiono autonomamente agli obblighi previsti.

Contabilità e sanzioni

I soggetti passivi dell’imposta devono rilevare mensilmente tutte le informazioni sui ricavi imponibili e gli elementi quantitativi mensili utilizzati per calcolare l’imposta.

Tali informazioni dovranno essere riportate:

  • nel “Prospetto analitico delle informazioni sui ricavi e sugli elementi quantitativi utilizzati per calcolare l’imposta” (Allegato 1), e
  • le rilevazioni contabili devono essere riportate in nella “Nota esplicativa delle informazioni sui ricavi e sugli elementi quantitativi utilizzati per calcolare l’imposta” (Allegato 2), che è la relazione da compilare su base annua entro il termine di presentazione della dichiarazione.

Convenzioni contro le doppie imposizioni e deducibilità dell’imposta

La circolare n. 3/2021 ricorda che “in presenza di un Trattato, la norma convenzionale prevale sull’eventuale disposizione interna contrastante, proprio in ragione della rinuncia al potere impositivo operata dagli Stati in sede negoziale. Per tale motivo, occorre verificare se l’introduzione dell’imposta sui servizi digitali possa, in qualche modo, confliggere con gli accordi internazionali dando luogo a fenomeni di doppia tassazione in contrasto con gli impegni internazionali assunti da parte italiana”.

La ISD ha natura di imposta indiretta e, per questo, non rientra nell’ambito applicativo delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. In conseguenza di questo l’eventuale assoggettamento dei medesimi ricavi a imposte sui servizi digitali applicate sia dall’Italia sia da altri Stati, in virtù delle rispettive normative nazionali, non attribuisce al soggetto passivo un diritto al riconoscimento del credito d’imposta anche in presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni.

L’Agenzia delle Entrate ritiene che, essendo un’imposta indiretta, essa possa essere portata in diminuzione dal reddito complessivo del soggetto passivo ai fini Ires nell’esercizio in cui avviene il relativo pagamento, e che essa sia deducibile dalla base imponibile Irap, se rientrante in una voce che concorre alla determinazione del valore della produzione netta del soggetto passivo.

Cosa dicono Assonime ed OCSE

Assonime, associazione che rappresenta le società per azioni in Italia, nel 2018 ha preso una posizione molto interessante pubblicata nel positon paper Web tax: il vero interrogativo non è “cosa tassare” ma “chi può tassare” in cui si affronta dei temi fiscali più complicati di oggi, cioè come attuare una giusta imposizione degli utili mondiali dei gruppi transnazionali e, in particolare, della ricchezza generata a livello globale dalle imprese multinazionali digitali attraverso il web, spessissimo conseguita da remoto, senza alcuna necessità di operare, direttamente o materialmente, nei singoli Stati in cui si sviluppa il mercato.

Ma come si osserva dal titolo del position paper il problema non è quello di individuare “cosa” tassare, e neppure quello di determinare “come” tassare, dato che, teoricamente, possono essere individuate numerose modalità applicabili senza particolari problemi. Il punto fondamentale è capire “chi può tassare” perché va definita un potere impositivo tra i vari Stati per tassare correttamente la ricchezza nascente delle grandi società di servizi digitali che lavorano con modalità differenti e che sono dislocate in diversi paesi del mondo.

Tutte le convenzioni internazionali prevedono due criteri di ripartizione della potestà impositiva: il criterio della “residenza” e il criterio della “fonte”. Fino ad oggi, quindi, in base agli accordi convenzionali presi dai singoli Stati, la ricchezza generata dalle imprese veniva ripartita tra lo Stato di residenza dell’headquarter, capogruppo della multinazionale, e tutti gli Stati in cui le singole società operative o le stabili organizzazioni erano insediate – materialmente e/o personalmente – al fine di sviluppare il mercato dei prodotti e dei servizi offerti dal gruppo. Questo modello convenzionale di ripartizione della potestà impositiva oggi non è più efficace: le imprese del web producono ricavi nei mercati di tutto il mondo senza avere alcuna sede fissa di affari, materiale o personale, negli Stati in cui questi mercati si sono sviluppati.

Lo strumento del ruling

Oggi il punto centrale è quello di stabilire a chi spetta tassare questa ricchezza prodotta, che si dimostra del tutto “apolide”. Proprio da questo punto si è sviluppata in passato una politica fiscale che è stata basata sullo strumento del ruling, che ha permesso di lasciare gli Stati liberi di fare quello che volevano, introducendo importantissimi benefici fiscali a chi effettuava investimenti nel paese. Il forte conflitto tra gli interessi dei singoli Stati generato da questa impostazione ha impedito fino ad oggi di trovare soluzioni soddisfacenti al problema. Gli Stati a fiscalità agevolata, come Irlanda, Lussemburgo ed Olanda, hanno avuto grossi investimenti dalle grandi società di servizi digitali.

Gli Stati Uniti hanno sempre difeso il loro potere impositivo quasi esclusivo, perché loro sono lo Stato di residenza della maggior parte delle capogruppo delle imprese multinazionali del web, a cui si sono affiancati negli ultimi anni Cina, Giappone e parzialmente Russia. Questo perché tutta la ricchezza che eccede la remunerazione dell’attività “routinaria” svolta dalle varie società operative del gruppo (o dalle relative stabili organizzazioni), spetta esclusivamente alla capogruppo in qualità di titolare e detentrice degli intangibles. Per contro, gli Stati in cui si è sviluppato il mercato ritengono che gran parte di questo extra-profitto spetti a loro, proprio in virtù del fatto che la creazione di valore si è sviluppata nella loro giurisdizione.

Il “Tax planning”

Nel 1997 l’OCSE ha provato a varare il “Tax Planning” per contrastare le agevolazioni fiscali in Europa, ma senza alcun risultato apprezzabile. Con la pubblicazione da parte dell’OCSE dei Rapporti sui Blueprints del Pillar I e del Pillar II, avvenuta ad ottobre 2020 si è aperta una consultazione pubblica (conclusa il 15 gennaio 2021), in relazione ai lavori portati avanti nella cornice dell’Inclusive Framework nell’ambito della tassazione dell’economia digitale che ha prodotto dei lavori molto interessanti articolati su due “Pillars”:

  • il Pillar I è finalizzato alla definizione di nuovi diritti impositivi che superino gli attuali criteri basati sulla presenza fisica, al fine di adattare le regole di fiscalità internazionale agli sviluppi del business, cui la digitalizzazione consente sempre più di operare nei mercati in assenza di una presenza fisica;
  • il Pillar II ha invece come obiettivo l’introduzione di un livello minimo effettivo di tassazione per imprese operanti a livello internazionale.

I due Blueprint rappresentano lo stato dell’arte delle discussioni internazionali in materia di economia digitale e tassazione minima effettiva, che si è sviluppata su tavoli negoziali che hanno coinvolto tutti i Paesi appartenenti all’Inclusive Framework dell’OCSE, cioè 137 giurisdizioni di tutti i continenti, tra cui l’Italia. Adesso l’Italia ha una posizione importantissima per la ridefinizione delle norme di fiscalità internazionale per l’economia digitale dato che il prossimo G20 sarà a guida italiana. Vedremo se le considerazioni e proposte contenute nel primo rapporto in materia di tassazione dell’economia digitale, costituito dall’Azione 1 “Tax Challenges arising from the digitalisation” del pacchetto di Azioni elaborato dall’OCSE ai fini del contrasto ai fenomeni di erosione della base imponibile e spostamento artificiale dei profitti (BEPS), troverà applicazione.

La spinta verso una nuova armonizzazione globale della tassazione è molto forte e l’Italia, insieme all’Europa, può giocare un ruolo fondamentale per una nuova tassazione che sia più equa e, soprattutto, globale.

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