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Banda ultralarga strumento di resilienza: modelli di sviluppo e linee di azione al 2030

Il nostro Paese sconta una situazione di forte ritardo sul fronte delle infrastrutture digitali, su cui pesa anche un gap di tipo culturale. La sfida non è solo tecnologica ma coinvolge aziende, cittadini e PA. Per centrare gli obiettivi della strategia Ue Digital Compass 2030, occorre conoscere punti di forza e debolezze

Pubblicato il 08 Apr 2021

Carmelo Iannicelli

Presidente della commissione TLC - Ordine degli Ingegneri della Provincia di Milano

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La crisi causata dall’emergenza sanitaria ha aperto molti interrogativi sull’evoluzione del nostro sistema sociale ed economico, fornendo impulso ai processi di trasformazione digitale ovvero a quei cambiamenti culturali, organizzativi, economici e sociali che, grazie all’integrazione di tecnologie, applicazioni e competenze digitali e mediante la virtualizzazione e la remotizzazione delle attività umane, consentono efficacia ed efficienza operativa, trasparenza, condivisione ed inclusione.

Il nostro paese, purtroppo, eredita una situazione di ritardo cronico e in alcuni casi di inadeguatezza nell’affrontare tale sfida, che non è solo tecnologica ma soprattutto culturale e coinvolge aziende, professionisti, cittadini ma soprattutto pubbliche amministrazioni.

È, pertanto, necessaria un’azione comunicativa consapevole e condivisa basata sulla conoscenza dei nostri punti di debolezza, delle potenzialità nonché degli obbiettivi dettati dalle recenti strategie europee verso la transizione digitale.

Il contesto di riferimento pre-covid

Il quadro di riferimento sullo stato di digitalizzazione del nostro paese ed i confronti con i partner europei nel periodo antecedente l’emergenza sanitaria in atto, è sinteticamente descritto dall’ormai noto rapporto Digital Economy and Society Index (DESI) che, per l’anno 2020 (dati relativi all’anno 2019), vede il nostro paese occupare l’impietosa quart’ultima posizione nel ranking dei Paesi membri (vedi fig. 1) e presentare un trend di crescita rispetto all’anno precedente inferiore alla media Ue e ben lontano da quello di Paesi con caratteristiche simili per dimensioni socioeconomiche.

Il DESI è un indicatore complesso, creato dalla Commissione Europea per misurare, a partire dal 2014, i progressi dei paesi membri in termini di digitalizzazione dell’economia e della società e fonda la sua analisi sulla modellizzazione e misurazione delle segUenti cinqUe dimensioni:

1) Connettività;

2) Capitale umano sia in termini di competenze generali della popolazione che specialistiche;

3) Utilizzo di internet;

4) livello di digitalizzazione delle imprese e impiego del canale online come strumento di business;

5) livello di digitalizzazione della PA ed eGovernment.

Per quanto concerne la connettività, nel rapporto DESI 2020 l’Italia si colloca al diciassettesimo posto, leggermente al disotto della media Ue. Scendendo nel dettaglio dei singoli indicatori si rileva che, a fronte di una percentuale di copertura delle reti d’accesso a banda larga di prossima generazione (l’89% delle famiglie) superiore di 3 punti percentuali rispetto la media Ue, la diffusione della banda larga, sia fissa che mobile, intesa come percentuale di abbonamenti attivi per numero di famiglie, è inferiore alla media Ue evidenziando che, ancor più che infrastrutturale, il problema del ritardo italiano rispetto ai partner europei è innanzitutto di tipo culturale e di sviluppo della domanda. Permane, inoltre, il ritardo nella realizzazione della copertura per collegamenti ad altissima velocità VHCN (pari al 30% rispetto al 44% della media Ue).

Unico punto di eccellenza è costituito dalla preparazione all’avvio dei servizi 5G in cui l’Italia si colloca ben al di sopra della media avendo assegnato buona parte dello spettro di frequenza per l’erogazione del servizio ed avviato numerose sperimentazioni già dal 2017. Indecorosa rimane invece la situazione relativa al capitale umano in cui il nostro paese continua a perdere posizioni collocandosi all’ultimo posto nell’Ue.

Nel paese che ha fornito i natali a Guglielmo Marconi, la percentuale di persone con competenze digitali è ben al disotto della media (il 42% degli individui possiede competenze digitali di base contro un 58% della media Ue) così come il numero di specialisti e laureati nell’ICT (2,5% contro il 3,9% della media Ue).

L’uso dei servizi Internet in Italia rimane ben al di sotto della media Ue (terzultima posizione) e si riflette in un basso livello di competenze digitali con un elevato numero di persone che non ha mai utilizzato Internet (17% degli individui contro il 9% della media Ue).

Per quanto riguarda il livello di digitalizzazione delle imprese permane la sensazione di inadeguatezza. Il nostro paese si colloca al 22° posto, non registrando significativi progressi rispetto agli anni precedenti mentre il divario tra l’Italia e l’Ue si sta allargando per quanto riguarda servizi bancari, shopping on line (-30% Vs media Ue) e commercio elettronico (- 50% Vs media Ue) dove solo il 10% delle PMI italiane vende online (Vs 18% media Ue) e trae in media l’8% del proprio fatturato dalle vendite online (Vs 11% nell’Ue).

L’Italia è infine al diciannovesimo posto in termini di digitalizzazione della PA ed eGovernment. Per quanto riguarda l’utilizzo dei servizi pubblici digitali, nonostante le buone prestazioni, superiori alla media Ue, in termini di offerta di servizi digitali e Open Data, Il basso posizionamento è determinato dallo scarso livello di interazione online con i cittadini in diminuzione rispetto agli anni precedenti.

Dalla lettura del rapporto DESI 2020 traspare pertanto un’Italia in cui più che il divario infrastrutturale e tecnologico i limiti maggiori allo sviluppo sono costituiti da errato approccio culturale, inadeguate competenze digitali e carenza di integrazione delle tecnologie digitali nei processi produttivi e di business.

Principali impatti durante l’emergenza sanitaria

L’impatto della crisi pandemica sui processi di transizione e l’utilizzo dei servizi digitali è stato indubbiamente rilevante, come si rileva dall’allegato alla relazione annuale Agcom 2020: “Impatto del coronavirus nei settori regolati”.

Mediante un monitoraggio che ha visto coinvolti 24 operatori di rete fissa (pari a circa il 99% del mercato) e 8 operatori di rete mobile (pari a circa il 97% del mercato) è stato rilevato un significativo aumento del traffico dati e voce nel corso del periodo di lockdown, maggiormente evidente per la rete fissa, rappresentato in fig. 2 che si è consolidato nella successiva fase 2.

La fig. 3 evidenzia il peggioramento della velocità media di download da rete fissa e mobile limitatamente al periodo di lockdown.

Il fattore predominante i termini di impatto è comunque il repentino cambiamento nella distribuzione delle origini di traffico precedentemente concentrata nei centri direzionali e/o industriali ed ora distribuita in maniera generalizzata sull’intero territorio nazionale. Tale variazione rendendo necessario il ricorso a soluzioni temporanee di gestione del traffico in rete per evitare i rischi di congestione e garantire continuità dei servizi, ha determinato il bisogno di una rete di accesso fissa e mobile a larga banda altamente performante, pervasiva, capace di interconnettere tutti gli immobili presenti sul territorio nazionale con logiche selettive in funzione dell’utenza (consumer o business ) e della localizzazione territoriale delle filiere produttive ( vedi rapporto EY digital infrastructure index – dicembre 2020).

Dal rapporto Agcom emerge nuovamente una forte nesso di causalità tra fattori culturali e ritardo digitale del nostro paese, ad esempio, prendendo spunto dalla dicotomia tra percentuale di copertura delle infrastrutture di rete a banda larga e utilizzo dei servizi digitali. A fronte di livelli di copertura territoriale che potenzialmente consentono all’88,9% delle famiglie italiane di accedere a servizi internet con velocità maggiori o uguali a 30 Mbps, solo il 37,2% di esse possiede effettivamente ed utilizza una simile connessione. Tale differenza presenta inoltre profonde differenziazioni territoriali come illustrato in fig. 4 da cui, tra l’altro, si evince che non è affatto scontato che territori che hanno goduto di significativi investimenti infrastrutturali negli anni precedenti presentino percentuali significative di utilizzo dei servizi digitali.

L’emergenza sanitaria, obbligando alla fruizione della didattica a distanza, ha inoltre evidenziato gravi carenze nell’infrastrutturazione digitale delle scuole. In fig. 5 si rileva che solo il 17,4% delle scuole è servito da una connessione in fibra ottica che garantisce larghezza di banda e parametri di qualità coerenti con la fruizione dei servizi didattici digitali.

In fig. 6 sono, infine, evidenziate, sulla scorta di un sondaggio condotto da Agcom, le principali criticità percepite dagli studenti nella fruizione dei servizi didattici on line: più del 10% degli studenti è rimasto totalmente escluso dal processo educativo on line mentre un ulteriore 20% ha partecipato con discontinuità; il 40% non ha avuto problemi mentre il 25% ha indicato nella lentezza delle connessioni l’aspetto maggiormente critico. Il 14% ha rilevato difficoltà nell’uso dei software e la condivisione degli spazi in famiglia. Il 10% ha, infine, segnalato come criticità la mancanza di dispositivi per lo studio e la carenza dell’offerta formativa delle scuole.

Indipendentemente dalle problematiche emergenziali correlate all’utilizzo della didattica on line, se stimassimo le emissioni di gas serra (carbon footprint index) prodotte dai processi di didattica tradizionale ne risulterebbe evidente l’entità dell’impatto in termini di sostenibilità ambientale. In tale contesto la didattica mista (in presenza/a distanza), opportunamente miscelata in funzione dell’età dei discenti e dei differenti percorsi didattici, dovrà costituire l’evoluzione obbligata dei processi formativi, grazie alla definizione di protocolli per l’erogazione del servizio; alla maggiore confidenza dei docenti all’uso degli strumenti digitali, all’introduzione di nuove figure tecniche di supporto nella produzione e gestione degli interventi didattici.

L’emergenza sanitaria, portando i cittadini ad imbattersi frequentemente in informazioni false e contraddittorie e determinando un significativo incremento delle tecniche di phishing (fig. 7 elaborazione Agcom su dati Google Navigazione sicura) ha determinato, infine, la necessità di risposte istituzionali per mettere al sicuro cittadini e imprese dalle nuove minacce emergenti.

L’azione governativa in questo periodo è stata intensa ed abbiamo certamente raggiunto dei risultati impensabili solo pochi mesi fa in termini di smart working, pagamenti digitali, utilizzo dei servizi di videocomunicazione, didattica a distanza, ciononostante dobbiamo renderli sistemici e non limitati ad un mero contenimento della situazione emergenziale. Dovremo, inoltre, confrontarci nel prossimo rapporto DESI 2021 con l’efficacia e la velocità degli interventi messi in atto dagli altri partner europei

Verso il Digital Compass 2030

La nuova strategia europea per la transizione digitale avviata recentemente prende il nome di Digital Compass 2030 e fornisce un quadro sugli obiettivi, sulla governance e sulle tappe per accelerare l’uso degli strumenti digitali in Europa.

In essa sono presenti i tentativi di risposta alle principali obiezioni riportate nella presente relazione come si può desumere dagli obbiettivi di seguito formalizzati:

  • cittadini dotati di competenze digitali e professionisti altamente qualificati nel settore digitale. Entro il 2030 almeno l’80% della popolazione adulta dovrebbe possedere competenze digitali di base e 20 milioni di specialisti dovrebbero essere impiegati nell’Ue nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con un aumento del numero di donne operative nel settore;
  • infrastrutture digitali sostenibili, sicure e performanti. Entro il 2030 tutte le famiglie dell’Ue dovrebbero beneficiare di una connettività Gigabit e tutte le zone abitate dovrebbero essere coperte dal 5G;
  • trasformazione digitale delle imprese. Entro il 2030 tre imprese su quattro dovrebbero utilizzare servizi di cloud computing, big data e intelligenza artificiale; oltre il 90% delle PMI dovrebbe raggiungere almeno un livello di base di intensità digitale.
  • digitalizzazione dei servizi pubblici. Entro il 2030 tutti i servizi pubblici principali dovrebbero essere disponibili online, tutti i cittadini avranno accesso alla propria cartella clinica elettronica e l’80% dei cittadini dovrebbe utilizzare l’identificazione digitale (eID).

In sostanza non rinnegando i principi che hanno caratterizzato gli scopi dell’agenda digitale europea ovvero la centralità delle infrastrutture ed il miglioramento socioeconomico sostenibile grazie a un mercato digitale unico basato su internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili, la nuova strategia europea pone maggiore attenzione a stimolare la domanda, le competenze digitali ed il cambio culturale di cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche. Coerentemente, gli Stati membri si sono impegnati, nei rispettivi Piani per la ripresa e la resilienza (PNRR), a destinare almeno il 20% delle risorse alla priorità digitale.

A tal proposito verrà avviato, entro il corrente anno, un processo di concertazione e coinvolgimento delle istituzioni europee e nazionali, delle imprese e dei cittadini per una proposizione condivisa del programma operativo di politica digitale (fig 8).

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