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Cloud della PA, scatta l’ora del nuovo modello: ecco perché

Entrano nel vivo alcune novità, all’interno del piano triennale ICT, che permetteranno la svolta verso la seconda fase della digitalizzazione della PA italiana: l’adozione di un modello cloud per i servizi digitali. Ecco che significa e perché è una grossa trasformazione

Pubblicato il 06 Dic 2018

Andrea Nicolini

Project Manager per TrentinoSalute4.0

cloud-it

Alcune importanti novità che scattano tra fine 2018 e gennaio 2019 spingono le PA (soprattutto quelle locali) verso il modello del cloud. Si avvicina la fine di un modello di digitalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni.

Le novità (all’interno del piano triennale ICT della PA):

  • Da qualche giorno sono stati qualificati i primi tre Cloud Service Provider da parte di AgID, così come sono ora disponibili i primi servizi qualificati cloud a livello iaas, paas e saas.
  • In teoria inoltre dopo l’ultima proroga dal primo gennaio 2019 le PA saranno obbligate ad acquisire solo servizi cloud qualificati.

Ma tutto questo perché dovrebbe permettere al territorio finalmente di rompere gli indugi innovazione?

Perché il combinato disposto dell’obbligo normativo sugli acquisti dei servizi ICT cloud e le prime qualificazioni, abilitano, finalmente, il nuovo paradigma dei servizi digitali per la Pubblica Amministrazione. Certo sarebbe stato meglio avere in contemporanea anche il piano nazionale dei poli strategici e della migrazione e razionalizzazione di tutti i datacenter della PA verso questo piano ed il completamento delle linee guida sull’interoperabilità, chieste a gran voce da tutte le PA già dal 2011 nell’allora commissione di coordinamento SPC.

Tuttavia, ora finalmente le PA soprattutto del territorio possono concretamente organizzarsi per adottare il nuovo paradigma in logica cloud.

Il cloud per superare i limiti del riuso

Probabilmente pecco di ottimismo, ma a me sembra che il quadro si stia componendo in modo chiaro, la disponibilità di servizi cloud qualificati e di obblighi normativi nell’acquisizione di servizi, impone di definire una strategia concreta per superare il vecchio modello e adottare il nuovo, e questa strategia comporta inevitabilmente la soluzione di tantissimi annosi problemi, il più importante credo sia a mio parere il tanto vituperato e troppo spesso di fatto inapplicabile riuso.

Ho scritto due anni fa un articolo che spiegava perché il cloud sarebbe stato importante per la PA proprio per superare i limiti del riuso, utilizzavo la metafora della moda e del pronto moda, tuttora efficace per spiegarlo, ma ora diventa ancora più interessante perché le condizioni permettono di fare diversi passi in avanti rispetto a quella visione.

Concretamente cosa significa per le PA cambiare il modello della digitalizzazione a seguito dell’adozione del paradigma cloud e perché è così importante?

Fino ad oggi ogni azione di digitalizzazione della PA si è concentrata principalmente sulla soluzione software da adottare e molto spesso questo si è tradotto in una serie quasi infinita di attività: specifiche tecniche, capitolati, gare o in alternativa sviluppo interno o nella inhouse, collaudo, ecc. e tutto questa ha fatto inevitabilmente nella stragrande maggioranza dei casi passare in secondo piano gli aspetti organizzativi e ri-organizzativi.

Anche nei casi migliori di digitalizzazione, era poi difficile creare vero valore aggiunto alla soluzione adottata, inserirla nel catalogo del riuso non portava quasi mai al consolidamento della soluzione e del modello organizzativo sotteso, al massimo si riusciva a coinvolgere con enorme fatica alcune pubbliche amministrazioni in difficoltosi accordi di riuso, nei quali il coinvolgimento del fornitore diventava sempre un ostacolo da superare e mai un punto di forza.

Perché adesso dovrebbe essere diverso

Adesso dovrebbe essere diverso, perché se una soluzione funziona in cloud ed è stata sviluppata e qualificata per la PA, il suo utilizzo dallo stesso fornitore da parte di altre PA sarà facilitato dal marketplace e dal paradigma cloud che non richiede più attività intense di installazione presso il cliente, se non quelle di configurazione e tuning dei servizi e di prima formazione del personale e così le PA saranno libere di concentrarsi per un vero riuso nella condivisione dei modelli organizzativi funzionali all’insieme di servizi adottati.

Anzi con il passare del tempo la disponibilità di servizi aumenterà, anche grazie al piano strategico delle nuove gare Consip, e gli stessi verranno dati per scontati, mentre tutta l’attenzione si concentrerà sugli aspetti organizzativi e quindi il nuovo repository del riuso non sarà più una raccolta di codice sorgente, ma finalmente di documentazione relativa alle modalità organizzative adottate per raggiungere i risultati attesi attraverso i servizi disponibili, insomma sarà un passo vero nella direzione del change management della PA.

Anzi le amministrazioni più illuminate e più grandi, penso alle Regioni o ai comuni capoluogo delle città metropolitane, potranno strutturare rispetto alle soluzioni più complesse adottate, dei veri e propri centri di competenza che potranno consolidare il processo innovativo presso le loro amministrazioni e contemporaneamente essere un supporto per le altre amministrazioni che vorranno riusare quei servizi e quei modelli organizzativi.

AgID ed il Team se vorranno davvero incidere nell’innovazione della PA, potranno/dovranno mettere in rete i centri di competenza che sorgeranno perché saranno il vero cardine della seconda fase della digitalizzazione della PA italiana.

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