i rischi operativi

La sicurezza delle infrastrutture richiede la banda ultra larga: ecco perché

La Corte dei Conti Ue ha espresso un giudizio soddisfacente sullo stato di sviluppo della banda larga e ultralarga in Italia. Restano tuttavia delle criticità che devono essere superate attraverso un corretto uso delle risorse pubbliche e private. Vediamo quali sono e perché lo Stato deve assumere il ruolo di “risk taker”

Pubblicato il 10 Ott 2018

Francesco Bellini

Professore di Digital Transformation & Data Management – Università di Roma La Sapienza

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Nel settore delle infrastrutture digitali strategiche, l’Italia sembrerebbe aver finalmente imboccato la strada giusta in termini di corretto mix di investimenti pubblici e privati. Deve crescere, però, la consapevolezza e la capacità di gestione del cosiddetto “rischio operativo” volta a prevenire eventi come l’interruzione della connettività, rari ma potenzialmente catastrofici nelle conseguenze. Vediamo perché, partendo da un fatto recente.

Gestione dei rischi e prevenzione degli incidenti informatici

Lo scorso 17 agosto è stato tranciato il cavo di collegamento Internet sottomarino tra Olbia e Civitavecchia, a 48 Km dalla Sardegna, in una zona a circa 400 metri di profondità. Il cavo in fibra ottica è stato ripristinato il 27 agosto grazie all’intervento della nave cantiere Meucci senza interruzioni o perdite di traffico dati, grazie alla ridondanza (cioè la doppia connessione, per back-up, Sardegna – Continente) garantita dal collegamento Cagliari – Mazzara del Vallo. Se si pensa però che dal 2005 ad oggi, sono stati ben quattordici i casi di cavi tranciati (dodici casi nel tratto Cagliari – Mazara del Vallo, e due nel tratto Olbia – Civitavecchia) ci si può rendere conto che la c.d. “ridondanza” dell’attuale infrastruttura non annulla il rischio di un black out internet che potrebbe mettere in ginocchio per settimane una regione con più di 1,6 milioni di abitanti. Infatti, in condizioni ottimali, servono in media 2 settimane di lavoro con navi e personale specializzato, con costi che, dal 2005 al 2017 compreso, hanno superato i 2,5 milioni di euro. Inutile dire che, anche in questo caso, se lo scenario peggiore si fosse realizzato, avremmo avuto una regione tagliata fuori per diversi giorni dalle comunicazioni con ingenti ripercussioni sociali ed economiche.

Nel dare piena attuazione al piano di sviluppo della banda ultralarga, appare quindi più che mai necessario implementare rapidamente il piano di sicurezza delle infrastrutture digitali in attuazione della direttiva NIS (Network and Infrastucture Security) recepita nel nostro ordinamento con il D.L. 18 maggio 2018 n.64 ed in vigore dal giugno 2018, in particolare per quanto concerne gli operatori di servizi essenziali i quali dovranno adottare misure tecnico-organizzative “adeguate” alla gestione dei rischi e alla prevenzione degli incidenti informatici.

Sempre nel mese di giugno è stato pubblicato il rapporto della Corte dei Conti europea sullo stato di sviluppo della banda larga e ultralarga nell’Unione[1].

Obiettivi e  risorse della Strategia Europa 2020 

Ricordiamo che nell’ambito della strategia Europa 2020, l’Unione Europea ha fissato nel 2010 tre target per la banda larga:

  • rendere disponibile la banda larga di base (fino a 30 megabit al secondo – Mbps) a tutti gli europei entro il 2013;
  • fare in modo che entro il 2020 tutti gli europei abbiano accesso alla banda larga veloce (più di 30 Mbps);
  • assicurare, sempre entro il 2020, che almeno il 50 % delle famiglie europee utilizzi una connessione a banda larga ultraveloce (oltre 100 Mbps).

Nel 2013, la Commissione europea ha stimato che occorreranno fino a 250 miliardi di euro per conseguire gli obiettivi per la banda larga fissati per il 2020[2]. In questo scenario gli operatori delle telecomunicazioni sono i principali investitori privati nelle infrastrutture a banda larga ma è noto che alcuni segmenti del mercato, quali le zone rurali, non suscitano l’interesse di queste aziende. Per fornire una connettività a banda larga accettabile in tali zone a “fallimento di mercato”, è necessario quindi il supporto da parte del settore pubblico, che sia nazionale, regionale o comunale. Quella proveniente dall’Ue è quindi un’ulteriore fonte di finanziamento che integra altre nazionali, regionali o locali e che, in alcuni Stati membri, può costituire la principale fonte di finanziamento pubblico. L’Ue ha attuato una serie di politiche e di interventi normativi, nonché ha messo a disposizione degli Stati membri circa 15 miliardi di euro nel periodo 2014-2020, tramite un ventaglio di fonti e di tipi di finanziamento, fra cui 5,6 miliardi di euro in prestiti della Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Ciò costituisce un aumento significativo rispetto ai 3 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. Tale importo rappresenta circa il 6% degli investimenti necessari in totale. Le principali fonti di finanziamento sono cinque (Tabella 1).

Fonte di finanziamento Tipo di sostegno Importo nel periodo di programmazione

(milioni di euro)

Fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE):

  • Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)
  • Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR)
Sovvenzioni

Sovvenzioni

2014-2020

6 019

921

2007-2013

2 456

282

Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS – giugno 2017)Prestiti2 032
Meccanismo per collegare l’Europa (MCE)

  • Strumento di debito MCE
  • Iniziativa WIFI4EU
Prestiti

Sovvenzioni

16

120

Fondo relativo alla banda larga per collegare l’Europa (CEBF)

  • dalla Commissione
  • dalla BEI e dal FEIS
Capitale azionario100

140

Banca Europea per gli Investimenti (BEI)Prestiti5 600
Totale disponibile14 9482 738

Tabella 1 – Riepilogo delle fonti di finanziamento per i periodi di programmazione 2007-2013 e 2014-2020 Fonte: analisi della Corte dei conti europea sulla base dei dati della Commissione e della BEI

L’attività di audit della Corte dei Conti europea ha riguardato tutte le fonti di finanziamento di cui alla tabella1 (FESR, FEASR, MCE, FEIS, prestiti della BEI e CEBF) e le attività di cinque Stati membri (Irlanda, Germania, Ungheria, Polonia e Italia) che rappresentano il 40% circa della popolazione dell’UE ed un ragionevole equilibrio in termini di ripartizione geografica e aspetti della copertura della banda larga, quali ruralità e costi di abbonamento.

Lo stato di sviluppo del piano

Con riferimento ai tre target, la Corte dei conti europea, sulla base di dati 2017, fa notare che se da un lato quasi tutti gli Stati membri hanno raggiunto l’obiettivo relativo alla copertura della banda larga di base entro il 2013, gli stessi probabilmente non raggiungeranno quello del 2020 per la banda larga veloce. Le zone rurali continuano a costituire un problema nella maggior parte degli Stati membri: in 14 di questi, a metà 2017, la copertura nelle zone rurali era inferiore al 50%. Quanto al terzo target, ossia l’utilizzo della banda larga ultraveloce, a metà 2017 solo il 15% delle famiglie era abbonata a connessioni Internet di questo tipo, a fronte di un valore-obiettivo del 50% entro il 2020.

Target 1

Alla fine di giugno 2016, praticamente tutti i cittadini nell’Ue avevano accesso a reti a banda larga di base e il 98% delle famiglie aveva accesso a connessioni fisse a banda larga.

Target 2

In tutta l’UE, la percentuale di famiglie con accesso alla banda larga veloce è aumentata dal 48% del 2011 all’80% del giugno 2017. In tale data, Malta aveva già raggiunto il valore-obiettivo. Le differenze tra gli Stati membri rimangono però notevoli: la Grecia e la Francia hanno raggiunto una copertura appena del 50% circa e altri sette Stati membri rimanevano al di sotto dell’80% (grafico 1). È probabile che la maggior parte degli Stati membri esaminati non raggiungano il target relativo all’utilizzo entro il 2020.

Grafico 1 – Copertura con connessioni da 30 Mbps in tutti gli Stati membri nel 2011 e nel 2017 (Fonte: analisi della Corte dei conti europea sulla base dei dati della Commissione)

Grazie a una combinazione di investimenti pubblici e privati, dal 2011 l’Italia (insieme a Ungheria ed Irlanda) ha notevolmente accresciuto la propria copertura con la banda larga veloce colmando il ritardo accumulato fino al 2015 prima dell’approvazione della Strategia Italiana per la banda ultralarga (grafico 2).

Grafico 2 – Evoluzione, dal 2011 al 2017, della copertura con connessioni da partire da 30 Mbps nei cinque Stati membri in esame (Fonte: analisi della Corte dei conti europea sulla base dei dati della Commissione)

Tuttavia, sulla base dei progressi passati e dei piani attuali, è improbabile che in Italia tutti i cittadini abbiano accesso entro il 2020 a connessioni oltre i 30 Mbps.

Inoltre, dietro a questo generale ampliamento della copertura con la banda larga veloce si cela un forte divario di copertura tra zone urbane e zone rurali. Ciò nonostante l’Italia, a differenza di altri Paesi, ha un piano per aumentare ulteriormente la copertura nelle zone rurali e nelle zone suburbane. In tutta l’UE, la copertura delle zone rurali nel 2016 era pari al 47 % delle famiglie, a fronte di una media globale del 80 % e, in assenza di una buona copertura con la banda larga, queste rischiano di essere escluse dai benefici economici e sociali che ne possono discendere determinandosi così un nuovo digital divide.

Target 3

La disponibilità della banda larga ultraveloce è un presupposto essenziale perché le famiglie si abbonino a servizi da 100Mbps. L’utilizzo, tuttavia, è determinato anche dalla domanda e dipende da più variabili, come l’età e il livello di istruzione della popolazione, i costi di abbonamento e il potere d’acquisto. Per tutti gli Stati membri il target 3 rimane molto difficile da conseguire dato che l’utilizzo nel 2017 è rimasto inferiore al 20% in 19 Stati membri e quindi molto al di sotto del valore-obiettivo del 50%. In tutta l’UE, a metà 2017, si era abbonato a connessioni di almeno 100Mbps solo il 15% dei nuclei familiari europei e, sebbene l’utilizzo effettivo sia un indicatore importante, questo non rientra tra gli obiettivi della società dei Gigabit per il 2025.

In ogni caso sembra che l’Italia abbia intrapreso – finalmente – la strada per conseguire gli obiettivi fissati per il 2025. In questi Stati membri, le tecnologie utilizzate per aumentare la copertura, principalmente il cavo coassiale e la fibra ottica, consentono velocità superiori a 100Mbps, in alcuni casi estensibili a 1Gbps.

Modelli di finanziamento ed efficacia degli interventi

Come detto, gli operatori privati assicurano la maggior parte degli investimenti per la banda larga. Il resto del finanziamento, cosiddetto “deficit di finanziamento”, è stabilito a livello nazionale.

Secondo la Commissione Europea[3] esistono quattro possibili modelli di sostegno del settore pubblico alla banda larga:

  • investimenti diretti (modello degli investimenti comunali sottoposti a gestione pubblica): il dispiegamento e il funzionamento della rete sono controllati da un ente pubblico e la rete è a disposizione di tutti gli operatori (soluzione nota come rete ad accesso libero all’ingrosso o wholesale);
  • investimenti indiretti (modello degli investimenti comunali sottoposti a gestione privata): una società privata assegnataria di un appalto pubblico sviluppa una rete aperta tramite la quale gli operatori possono offrire i propri servizi ai singoli clienti;
  • sostegno alle iniziative di tipo partecipativo (modello partecipativo per la banda larga): è adottato un approccio dal basso verso l’alto, per cui il dispiegamento della banda larga avviene su iniziativa privata con il coinvolgimento dei cittadini locali;
  • sovvenzione agli operatori (modello volto a colmare il deficit di finanziamento): un’autorità pubblica fornisce i finanziamenti necessari per colmare il divario d’investimento tra quanto è commercialmente conveniente per il settore privato e quanto occorre per mettere a disposizione infrastrutture adeguate.

Le autorità italiane hanno effettuato un esercizio di mappatura tra il 2016 e il 2017 e hanno impegnato 3 miliardi di euro per finanziare la banda larga in tutte le zone dove non era conveniente investire sotto il profilo commerciale. Nel 2016 il Governo italiano ha deciso di utilizzare il modello degli investimenti diretti al fine di creare una rete ad accesso libero wholesale. Nel 2017, la ripartizione dei finanziamenti da fonti pubbliche non era ancora completata, ma la stima è che 1,4 miliardi di euro siano a valere sul FESR e sul FEASR (compresi i cofinanziamenti nazionali) e 1,6 miliardi di euro provengano da altre fonti nazionali.

Inoltre, in Italia si è passati da un modello, quello della programmazione 2007-2013, in cui le fonti di finanziamento per la banda larga non erano coordinate tra FESR, FEASR e fondi nazionali al modello della programmazione 2014-2020, in cui l’attuazione del piano nazionale per la banda larga è responsabilità di un’unica entità, Infratel, una società interamente controllata dal ministero dello Sviluppo economico. Infratel è incaricata dell’attuazione e del monitoraggio del piano nazionale per la banda larga, ivi compresa la gestione delle procedure di appalto. Coordina inoltre i finanziamenti provenienti dalle fonti nazionali e regionali, dal FESR e dal FEASR. Le varie fonti di sostegno finanziario stanno così contribuendo in modo coordinato al conseguimento dei valori-obiettivo per la banda larga.

Come indicato nella tabella 1, dal 2015 al 2017 a livello comunitario, la BEI ha prestato 2,0 miliardi di euro del FEIS per finanziare progetti connessi alla banda larga. La Corte dei conti europea ha esaminato un progetto finanziato tramite 500 milioni (su 1,8 miliardi complessivi), che intendeva accrescere la copertura della banda larga attraverso l’utilizzo della fibra ottica. Sono state rilevate tre gravi debolezze in relazione a questo progetto:

  • il progetto non si concentrava sulle zone mal servite, bensì offriva una maggiore copertura con la banda larga ad alta velocità soprattutto in zone già vantaggiose sotto il profilo commerciale, quali le città;
  • non è provato che il FEIS fosse il migliore strumento di finanziamento ed il progetto avrebbe potuto essere finanziato con un prestito della BEI in ragione della sua entità e delle zone in cui veniva dispiegata la banda larga;
  • il progetto aveva già ricevuto quasi 400 milioni di euro di sovvenzioni dal FESR, con una conseguente riduzione del rischio per la BEI.

Infine, la Corte ha esaminato se gli Stati membri avessero posto in essere un adeguato contesto giuridico e di regolamentazione, studiato per promuovere la concorrenza per i servizi a banda larga, in linea con la pertinente normativa dell’Ue. Ha quindi analizzato ciascuno Stato membro sulla base:

  • della raccomandazione della Commissione relativa all’accesso regolamentato alle reti di “accesso di nuova generazione”;
  • della direttiva relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica;
  • della raccomandazione della Commissione relativa all’applicazione coerente degli obblighi di non discriminazione e delle metodologie di determinazione dei costi per promuovere la concorrenza e migliorare il contesto per gli investimenti in banda larga.

È emerso che l’Italia dispone di un quadro di regolamentazione e di un contesto competitivo per la banda larga al contrario, per esempio, della Germania, per la quale sono presenti debolezze che determinano problemi di concorrenza. Infatti, gli investimenti pubblici nella banda larga da parte degli Stati membri, al pari di altre forme di investimento, sono soggetti alla normativa sugli aiuti di Stato, volta a limitare eventuali distorsioni della concorrenza dovute al sostegno del settore pubblico.

Le linee guida della Strategia 2020 definiscono la portata dell’intervento statale ammissibile per la banda larga in relazione a velocità di 30 Mbps, differenziando le aree in nere, grigie o bianche, a seconda del grado di concorrenza per garantire la copertura. Le aree bianche sono, in linea di principio, ammissibili agli aiuti di Stato. Nelle aree grigie la Commissione deve effettuare un’analisi più approfondita per verificare se l’intervento dello Stato sia necessario. Nelle aree nere i servizi a banda larga sono offerti in condizioni di concorrenza e gli aiuti di Stato sono consentiti soltanto a determinate condizioni, tra le quali anche se assicurano o meno un “salto di qualità” nella prestazione dei servizi. Stando alla posizione della Commissione, questi orientamenti, pur facendo riferimento all’agenda digitale che indica specificamente velocità di 30 Mbps, sono applicabili anche a velocità di 100 Mbps e agli obiettivi della società dei Gigabit. Alcuni Stati membri interpretano tuttavia in maniera diversa gli orientamenti in materia di aiuti di Stato, ritenendo che il finanziamento pubblico sia proibito quando l’intervento determina un aumento della velocità oltre i 30 Mbps nelle aree nere e grigie. Tale diversità di interpretazione ha portato gli Stati membri a scegliere di non utilizzare gli investimenti pubblici a sostegno degli operatori in dette aree.

Conclusioni

L’Italia sembrerebbe aver finalmente intrapreso la corretta via in termini di corretto mix di investimenti pubblici e privati. Questo ci insegna che le scelte riguardanti le infrastrutture strategiche non possono essere guidate da scelte puramente ideologiche sul ruolo dell’intervento pubblico nell’economia. È evidente che lo Stato debba intervenire laddove si determinino dei fallimenti di mercato che a loro volta possono creare diseguaglianze nel benessere sociale e nella capacità competitiva di determinate aree territoriali.

Al contempo l’intervento pubblico deve essere estremamente selettivo e flessibile nella scelta del target di investimento dotandosi di adeguati strumenti di valutazione ex-ante, in-intinere e ex-post. L’esempio del finanziamento BEI da 500 milioni in aree nere e cofinanziato dal FESR, quindi a basso rischio, fa venire alla mente il ritornello del “Ti piace vincere facile” quando invece lo Stato deve assumere il ruolo di risk-taker e limitare gli effetti distorsivi. La BEI dovrebbe concentrare il proprio sostegno tramite il FEIS e il Fondo relativo alla banda larga per collegare l’Europa (CEBF) su progetti di piccole e medie dimensioni nelle zone in cui il sostegno del settore pubblico è maggiormente necessario, in linea con la finalità di assistere i progetti più rischiosi.

E sempre per rimanere in tema di rischio, perché non allocare una parte delle risorse pubbliche alla copertura dei rischi delle infrastrutture digitali? Soprattutto in Italia, deve crescere la consapevolezza e la capacità di gestione del c.d. “rischio operativo” al di là di quelle che sono le pur necessarie previsioni normative. Gli eventi come l’interruzione della connettività con la Sardegna, sono eventi rari ma potenzialmente catastrofici nelle conseguenze che obbligano gli stakeholder a perseguire una strategia che tenda ad annullare il rischio. Tali strategie possono essere estremamente costose e non determinare benefici tangibili, per esempio agli azionisti o agli utenti, fintanto che non si manifestano eventi estremi.

Il Comitato interministeriale per la Banda Ultra Larga (COBUL) ha quindi il compito di continuare a scandire il ritmo di sviluppo aggiornando costantemente piani e priorità di investimento con l’obiettivo di consegnare al Paese entro il 2025 l’infrastruttura digitale fondamentale per la crescita.

___________________________________________________________

  1. https://www.eca.europa.eu/en/Pages/DocItem.aspx?did=45796
  2. Commissione europea, The socio-economic impact of bandwith, 2013, pag. 207
  3. https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/main-financing-tools

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