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Modem libero, strada ancora in salita: un bilancio dell’azione Agcom



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A cinque anni dall’entrata in vigore della delibera con cui l’Agcom ha disciplinato il modem libero si registra ancora l’esistenza di ostacoli che limitano la portata dell’iniziativa regolamentare e, quindi, la effettiva realizzazione di una rete nazionale sicura, aperta, evoluta e resiliente

Pubblicato il 23 gen 2024

Antonio Perrucci

Professore a contratto LUMSA (Corso Big Data: innovazione, regole, persone). Direttore del Laboratorio sull’Ecosistema Digitale di ASTRID



modem connettività

Il “modem libero” costituisce un importante esempio di regolamentazione per una Internet aperta e la libera scelta degli utenti rispetto ai propri apparati domestici. A cinque anni dalla Delibera 348/18/CONS che ne disciplina l’utilizzo, proviamo a fare una valutazione circa l’efficacia dell’intervento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM).

La deroga AGCOM per gli apparati FTTH

Prima di esporre alcune riflessioni sulle “lezioni” per l’intervento pubblico derivanti dal caso modem libero, ritengo opportuno sottolineare che appare giustificato rimuovere la deroga per gli apparati FTTH prevista dall’AGCOM, nel 2019. Pochi dati a supporto del superamento delle caratteristiche del “mercato nascente”, che poteva valere cinque anni fa, ma che ora non hanno più riscontro oggettivo. A metà di questo anno, le linee ultra-broadband sono così distribuite: 10 milioni FTTC, 2 milioni FWA e ben 4 milioni FTTH: attualmente, quindi, il 25% degli accessi sono FTTH, con tassi di crescita annui di poco inferiori al 50% (2023/2022). D’altro canto, la Strategia italiana per la Banda ultra-larga 2023-2026, appena varata dal Governo, ha fissato l’obiettivo del 50% di collegamenti con velocità maggiori od eguali ad 1 Gigabit/s entro il 2026. Ne deriva che – entro poco tempo – i collegamenti FTTH saranno prevalenti, per cui non si giustifica più la deroga ad una tecnologia ormai affermatasi sul mercato.

Venendo alle indicazioni di policy, in estrema sintesi, si può concludere che – a cinque anni dall’entrata in vigore della delibera con cui l’Autorità ha disciplinato il modem libero – prevale una lettura che registra ancora l’esistenza di ostacoli che limitano la portata della iniziativa regolamentare e, quindi, la effettiva realizzazione di una rete nazionale sicura, aperta, evoluta e resiliente.

Le “indicazioni” che vengono dal caso modem libero

Per quanto riguarda il punto di vista di chi scrive, nel mio intervento al Convegno “Rete nazionale: libera, sicura, evoluta”, ho ritenuto utile sottoporre al dibattito alcune considerazioni, in merito alle “indicazioni” che vengono dal caso modem libero.

La vigilanza sul rispetto delle norme

In primo luogo, per un’Autorità di regolazione – qual è AGCOM – non basta regolare, ma occorre vigilare sull’effettivo rispetto delle norme introdotte. Come dimostra, più in generale, la storia venticinquennale di questa Istituzione, la fase di vigilanza (execution) è altrettanto importante di quella in cui si definiscono le regole: l’efficacia di queste ultime si misura proprio con il raggiungimento dei risultati prefissi dalla regolazione. Nel caso in esame, una maggiore scelta per l’utente finale ed una più intensa competizione nei mercati coinvolti.

D’altro canto, è dai risultati della vigilanza che si ricavano indicazioni per affinare/migliorare le norme regolamentari o l’intervento legislativo. In tal senso, il rapporto tra regolazione e vigilanza è di tipo bi-direzionale, ossia non procede solo nella direzione regolazioneàvigilanza, ma anche nel senso opposto.

L’adeguamento dell’intervento a tutela del consumatore

In secondo luogo, in questa stagione di intensa trasformazione digitale sia dei processi produttivi che delle modalità di fruizione di beni e servizi, è necessario adeguare l’intervento a tutela del consumatore. Come insegnano la teoria dell’innovazione tecnologica e le dinamiche dei mercati high tech, non esiste un consumatore medio, univoco, ma piuttosto categorie di utenza, differenziate. La curva di adozione di un nuovo prodotto hi-tech attraversa cinque fasi, basate sulle caratteristiche dei clienti: innovatori, primi utilizzatori, maggioranza precoce, maggioranza tardiva e ritardatari. Tra i fattori che distinguono le diverse categorie, nel caso del modem libero (ed in generale di beni e servizi digitali), un ruolo sicuramente di rilievo lo svolge il grado di “alfabetizzazione digitale”.

Di questo contesto deve tenere conto la politica di tutela del consumatore che dovrebbe favorire una «emancipazione tecnologica» dell’utenza, anche ricorrendo alla spinta gentile (nudge), indicata da Richard Thaler e Cass Sunstein ed applicata da parte di alcune autorità di regolazione settoriale. Un obiettivo che dovrebbe porsi l’intervento a tutela del consumatore è fare in modo che una adeguata consapevolezza degli utenti – allorché debbano decidere per l’acquisto di un prodotto/servizio high tech – non sia prerogativa soltanto dei cosiddetti technology fan, ma diventi un tratto comune ad altre categorie di utenza, contraddistinti da livelli inferiori di alfabetizzazione digitale.

Gli impatti sul versante della concorrenza

La terza riflessione concerne gli impatti sul versante della concorrenza, con particolare riguardo alla competizione tecnologica. L’intervento regolamentare deve porsi – anche – l’obiettivo di tutelare gli innovatori, sia quelli già presenti sul mercato, sia quanti vi si affacciano con una start up. Da segnalare come spesso, ed in questo caso nello specifico, le spinte innovative dal punto di vista tecnologico provengano da mercati contigui ma diversi rispetto a quelli immediatamente interessati dall’intervento regolamentare. In altri termini, le regole del modem libero, se pure rivolte agli operatori di TLC in quanto soggetti alla regolazione di AGCOM, si riflettono particolarmente sui mercati della distribuzione e della produzione di apparati e terminali ad alta tecnologia.

Il rapporto tra potere di mercato e innovazione tecnologica

Una considerazione a latere riguarda il rapporto tra potere di mercato e innovazione tecnologica. Ora, se è ampiamente noto che i monopolisti o comunque i soggetti con significativo potere di mercato tendano a ostacolare l’ingresso sul mercato di nuovi servizi innovativi (nonché di nuove imprese) per evitare di perdere quote di mercato e di non recuperare pienamente gli investimenti effettuati, non altrettanto rimarcato è che – nel mercato delle TLC ma anche delle piattaforme digitali – tutti gli operatori i quali abbiano una significativa base clienti cerchino di “fidelizzarla” quanto possibile, anche ostacolando i nuovi entranti (od acquisendoli). Da ciò, deriva l’esigenza che sia il Legislatore sia il Regolatore considerino che la tendenza a «soffocare» l’innovazione non muore con la fine del monopolio, ma rimane – evidentemente in forme diverse – anche in un contesto di competizione tra operatori.

La sicurezza non deve essere paravento per la restrizione del mercato

Da ultimo, bisogna evitare che il perseguimento di obiettivi fondamentali per lo sviluppo del digitale, quali le garanzie di sicurezza ed integrità della rete, divengano – inconsapevolmente – strumenti per il ritorno di forme di esclusiva, e quindi di restrizione del mercato. Si tratta di un tema noto nella regolazione dei mercati TLC: basta ripercorrere le vicende dell’introduzione dei servizi basati sulle tecnologie xDSL, Ethernet ed altre innovazioni, per rendersi conto di quante volte il tema della sicurezza della rete sia stato evocato per richiedere una sorta di “vacanza regolamentare” o comunque obblighi attenuati.

Il nodo della certificazione degli apparati

Nel caso in esame, un aspetto critico riguarda la certificazione degli apparati, per cui è prevista – da AGCOM – una procedura che assegna all’incumbent un ruolo di pivot, ossia di soggetto che fa l’offerta iniziale. Si può obiettare che accade così per molti altri servizi wholesale offerti dall’incumbent, ma – probabilmente – affidare ad un soggetto terzo (o ad un ufficio di AGCOM) questo ruolo darebbe maggiori garanzie concorrenziali.

Peraltro, confesso che non sono in grado di dire se la compliance degli apparati ONT con gli standard internazionali (vedasi quelli definiti dall’ITU) sia condizione necessaria ma non sufficiente, e quindi vi sia la necessità di una procedura di verifica tecnica di interoperabilità tra gli apparati ONT e gli OLT presenti in centrale (al fine di garantire il corretto funzionamento degli accessi FTTH su infrastrutture in rete di accesso di tipo GPON e senza pregiudicare il funzionamento e la qualità di altri accessi già attivi sulla stessa infrastruttura).

Ho fiducia in ogni caso nella competenza tecnica e nel ruolo super partes che hanno sempre caratterizzato questa Autorità e confido, quindi, che, come si legge nel provvedimento, nel prossimo futuro, si avranno sul mercato degli apparati ONT pienamente interoperabili in diversi scenari e contesti di riferimento, ciò a beneficio di tutto il mercato e, soprattutto, dei consumatori finali.

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