Lo scenario

Vaccini antinfluenzali, che pasticcio: perché serve un nuovo procurement sanitario

I problemi legati alla fornitura di vaccini antinfluenzali mostrano le debolezze dell’attuale sistema di procurement sanitario: serve un cambio di paradigma per assicurare in futuro modalità di approvvigionamento più efficienti e sostenibili

Pubblicato il 17 Nov 2020

Federica Maria Rita Livelli

Business Continuity & Risk Management Consultant, BCI Cyber Resilience Committee Member, CLUSIT Scientific Committee Member, FERMA Digital Committee, ENIA Scientific Committee Member

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Nel corso di questa emergenza, in cui le catene di approvvigionamento globali dei prodotti medicali sono state interrotte – inizialmente dal blocco cinese e successivamente da un’impennata della domanda da parte di tutti i paesi colpiti – le autorità a tutti i livelli istituzionali e gli operatori sanitari pubblici e privati si sono adoperati per mantenere la propria fornitura di servizi sanitari, incontrando ostacoli vecchi e nuovi, ma anche rivelando i propri talloni d’Achille. In Italia questi problemi si riscontrano nella fornitura dei vaccini antinfluenzali.

Una volta terminata la fase acuta dell’emergenza, sarà doverosa una riflessione approfondita sulle lezioni apprese in modo da attuare un cambio di paradigma delle modalità di approvvigionamento sanitario che dovrà risultare maggiormente strategico e sostenibile.

Il contesto

È doveroso infatti ricordare che una resiliente Sanità si basa su un efficiente processo di acquistosia nel quotidiano sia nell’emergenza – in grado di soddisfare il fabbisogno sanitario in modo strutturato e sistemico. Ebbene, nonostante i processi di digitalizzazione in atto, anche per il procurement sanitario italiano, la pandemia ci ha dimostrato che sarebbe stato necessario un migliore coordinamento tra le centrali regionali di acquisto, Consip e Protezione Civile. Vediamo perché.

È mancato un efficiente raccordo governo-territorio: non è stato istituito un tavolo di soggetti aggregatori, al fine di gestire approvvigionamenti strategici come i vaccini antinfluenzali e garantire accordi a livello globale con operatori di mercato qualificati e, al contempo, tramite il Ministero Affari Esteri, concordare con gli altri Stati il sistema di garanzie di pagamento che non prevedesse il pagamento anticipato evitando di imbattersi in improvvisati operatori o di subire la discontinuità della fornitura.

Vaccini antinfluenzali: i problemi

Risale al 4 luglio 2020 la circolare del Ministero della Sanità contenente le raccomandazioni per l’anno corrente in tema di vaccini antinfluenzali. Quest’anno la vaccinazione antinfluenzale – a causa della pandemia – risulta strategica e fondamentale dal momento che l’influenza stagionale e il Covid-19 hanno sintomi simili. Ne consegue che diventa prioritario ridurne quanto mai l’insorgenza per permettere ai medici la “diagnosi differenziale”, ovvero, capire se il paziente sia colpito dall’influenza o dal Covid-19. Nella circolare dello scorso luglio il Ministero della Sanità aveva enfatizzato come sarebbe stato cruciale per Regioni e Province Autonome avviare, quanto prima, le gare per l’approvvigionamento dei vaccini anti-influenzali esortando a tenere in considerazione un numero maggiore di persone, includendo tra i soggetti a rischio tutte le persone sopra i 60 anni (anziché 65 come avveniva nelle stagioni precedenti), il personale sanitario, chi lavora in particolari strutture (i.e. RSA). A tal proposito, non aveva mancato di raccomandare ai suddetti enti di anticipare le vaccinazioni all’inizio di ottobre anziché a metà ottobre.

La mancanza di un numero sufficiente di vaccini anti-influenzali era un rischio assolutamente prevedibile ma è stato sottovalutato. Ed ecco che il nostro “rinoceronte grigio” – i.e. un rischio altamente probabile, ma trascurato e sottovalutato, come da definizione della economista americana Michele Wucker – si è palesato. Le nostre Regioni hanno acquistato circa 17 milioni di vaccini antinfluenzali (i.e. + 43% rispetto lo scorso anno) ma, nonostante ciò, tale ammontare non sarà sufficiente dato che quest’anno, a causa della pandemia, anche chi non è a rischio – vista la situazione contingente – vuole vaccinarsi per evitare almeno l’influenza e ridurre i rischi di diagnosi scorrette.

La situazione: i dati di Fondazione Gimbe

La Fondazione Gimbe – che si occupa di analizzare efficienza e possibilità di miglioramento della sanità in Italia – ha di recente svolto un censimento per verificare la sufficiente disponibilità di dosi di vaccini contro l’influenza disponibili in Italia a fronte della accresciuta domanda. Tale censimento – pubblicato a fine settembre – ha rivelato che non avrebbero dovuto esserci particolari difficoltà per gli individui a rischio ma, al contempo, avvisava della difficoltà di reperimento in farmacia che si sarebbe registrata per il resto della popolazione a fronte dell’aumento della domanda sui mercati internazionali, che ha reso più complicato l’approvvigionamento delle dosi.

Sempre nel report Gimbe già si segnalava che la mancanza di vaccini sarebbe stata imputabile da un lato alle Regioni che non erano state in grado di prevedere con largo anticipo la necessità di aumentare le scorte per la popolazione non a rischio e processare tempestivamente gli ordini, dall’altro lato alla difficoltà, da parte dei produttori, di soddisfare una domanda cresciuta esponenzialmente a livello locale e globale. Non so se possa tranquillizzarci il fatto che, tuttavia, Farmindustria continui ad assicurare che i vaccini ordinati arriveranno tutti.

A che punto sono le Regioni

La programmazione delle campagne vaccinali, secondo quanto afferma Renata Gili – coordinatrice del progetto di monitoraggio dell’influenza stagionale della fondazione Gimbe – non è mai stata adeguata anche in “tempi di pace”, soprattutto considerando quanto avviene all’estero. In Inghilterra, ad esempio, il Joint Committee on Vaccination and Immunisation (JCVI) emette le raccomandazioni per la vaccinazione antinfluenzale della stagione successiva intorno a settembre dell’anno precedente e l’ordine per l’acquisto delle dosi di vaccino viene fatto intorno a dicembre, in pratica poche settimane dopo. Non accade così In Italia dato che tutto avviene con diversi mesi di ritardo. Un comportamento che si è rivelato “fatale” in un momento critico come quello che stiamo vivendo.

Alcune Regioni sono state più virtuose nel processo d’approvvigionamento delle dosi di vaccini antinfluenzali, altre lo sono state meno, fino a dar adito a polemiche molto dure, come nel caso della Regione Lombardia. Vediamo in modo più dettagliato la situazione a livello Regioni.

Lombardia

La Lombardia è una delle Regioni considerate in materia meno virtuose. Pur avendo ad oggi acquistato 2,2 milioni di vaccini (vs. 1,2 milioni dello scorso anno) tali dosi consentirebbero la copertura soltanto del 66,3% della popolazione a rischio. La Lombardia non ha agito prontamente e adeguatamente fatto che peserà, a prescindere dalle ipotizzabili brutte sorprese a carico del panorama sanitario, anche economicamente sulla già martoriata sanità lombarda. Vediamo cosa è accaduto sul filo della cronaca: l’Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti (ARIA) ha presentato il primo bando a febbraio, ma la richiesta del prezzo per dose era fuori mercato: 4,5 euro.

Tra febbraio e agosto, diverse gare di ARIA sono andate deserte sia perché i prezzi per dose fissati dalla Regione erano troppo bassi sia perché le dosi richieste erano troppe e, di conseguenza, nessuna casa farmaceutica, in un momento di elevatissima richiesta, è stata in grado di soddisfare i criteri delle gare. Durante l’estate la Regione Lombardia è riuscita – con 4 bandi – a recuperare le dosi di cui è in possesso ora e, consapevole che non fossero sufficienti a fine settembre, ha indetto altre due gare in cui si è detta disposta a pagare 10 euro ognuna delle 1,5 milioni di dosi necessarie e soprattutto a versare il compenso in anticipo. Ma l’esito è stato negativo: l’asta è andata deserta.

È doveroso segnalare che Lazio e Calabria hanno pagato circa 4,5 euro per ogni dose e che il Piemonte ha speso 4,65 euro, mentre la Regione Lombardia – secondo gli addetti ai lavori (specialisti e case farmaceutiche) – rischia ora di dover pagare circa 15 euro pro-dose per acquistare il vaccino, che, tra l’altro, al momento, risulterebbe terminato e, si stima, rischia di fare attendere settimane o addirittura mesi per le consegne.

Emilia-Romagna

Questa Regione in modo previdente, ha comprato per tempo il 20% in più di vacci ni rispetto all’anno scorso, quando già superava la copertura del 75% della popolazione a rischio e, avendo iniziato la campagna vaccinale il 12 ottobre, in una settimana ha già somministrato 200 mila dosi, una cifra enorme in proporzione al numero dei soggetti interessati (la campagna vaccinale dell’anno scorso coinvolse 800 mila persone).

Puglia

La Puglia ha fatto scorta abbondante di vaccini antinfluenzali (+320% vs. stagione 2019-2020), tuttavia le richieste sono tantissime e vi sono difficoltà a soddisfarle tutte.

Lazio

la Regione Lazio ha già vaccinato 250 mila persone appartenenti alle categorie a rischio, il +30% rispetto allo scorso anno in tutta la stagione; inoltre, molti medici hanno già esaurito il primo lotto di vaccini.

Altre regioni

Le Regioni più piccole sono state costrette a unirsi tra loro per rendersi più appetibili dai grandi fornitori, come hanno fatto ad agosto Abruzzo e Molise dopo che due loro gare “individuali” erano andate a vuoto. Ci si domanda come mai il Governo nazionale non abbia considerato, in questo momento, di far confluire le richieste verso un’unica regia, affidata ad un ente centralizzato per gestire in modo aggregato e strategico l’acquisto e la distribuzione equa dei vaccini, come avvenne nel 2009, in occasione dell’influenza suina, quanto i vaccini erano stati acquistati a livello centralizzato dalla Protezione Civile. Indubbiamente si sarebbe garantita una campagna antinfluenzale uniforme, anziché a macchia di leopardo.

Vaccino Covid-19: cosa succederà

Gli errori e ritardi della campagna vaccinale antinfluenzale inducono a domandarci come sarà gestita la campagna vaccinale contro il Covid-19, che molti auspicano possa, in maniera generalizzata, a prescindere da talune meritorie fughe in avanti, iniziare tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 (anche se al momento questa tabella di marcia risulti improbabile).

In ogni caso l’approvvigionamento frammentario affidato alle Regioni e ad altri enti non si verificherà dal momento che la Commissione Europea ha già stretto accordi con tre case farmaceutiche, i.e. AstraZeneca, Johnson&Johnson e Sanofi per acquistare in totale 1, 1 miliardi di dosi di vaccino che saranno distribuite equamente tra i vari Stati membri. Resta tuttavia fondamentale che il Ministero della Salute inizi sin d’ora a programmare le future modalità di distribuzione, dando, come ovvio, la priorità alle categorie a rischio.

Serve un cambio di paradigma

Il caos dell’approvvigionamento dei vaccini antinfluenzali ha evidenziato la necessità di mettere a punto un sistema di approvvigionamenti sanitari diverso, basato su una capacità di programmazione più forte e una comunicazione e collaborazione più articolata e costante tra livelli di acquisti e gli Enti coinvolti in modo da far leva su un sistema che lavori per sinergie e non al ribasso, oltre a risolvere alcune problematiche che sono stata evidenziate durante questa crisi e, precisamente:

  • Mancanza di preparazione – Nonostante l’esistenza di piani pandemici a livello nazionale e regionale (ma non aggiornati dopo il 2010), il sistema non era preparato ad affrontare l’impennata della domanda. I prodotti di largo consumo come i DPI, ampiamente disponibili in tempi normali, si sono rivelati colli di bottiglia. Secondo la prassi di gestione degli appalti è raccomandato uno stoccaggio delle scorte, era quasi inesistente in Italia. Anche le clausole contrattuali si sono rivelati illusorie, poiché molte aziende multinazionali hanno trovato impossibile adempiere ai propri obblighi in presenza di uno shock di offerta internazionale. In Italia, ci sono voluti quasi due mesi per iniziare la produzione nazionale di DPI.
  • Mancanza di coordinamento – Come quasi tutti i sistemi sanitari nazionali, il Servizio Sanitario Nazionale italiano ha una governance multilivello. Durante l’emergenza COVID-19, le autorità regionali hanno dovuto predisporre l’approvvigionamento di forniture confrontandosi con la Protezione Civile. La mancanza di coordinamento tra i livelli nazionale e regionale ha posto l’accento sui sistemi di approvvigionamento, produzione e consegna. Le autorità governative, le aziende private, i donatori e gli ospedali locali cercavano tutti di inoltrare ordini contemporaneamente. In questo contesto, il livello effettivo di necessità di forniture mediche diventava caotico, poco coerente e chiaro causando ulteriori rallentamenti degli approvvigionamenti.
  • Approccio di riduzione dei costi dall’alto verso il basso – Legalità e trasparenza sono state spesso privilegiate rispetto al rapporto qualità-prezzo, all’innovazione o all’efficacia a causa di un alto rischio percepito di frode e corruzione negli appalti pubblici. Le norme sugli appalti e il sistema di controllo frammentato hanno favorito un clima di conformità burocratica e di sfiducia all’interno del settore pubblico oltre che tra autorità e fornitori. Inoltre, negli ultimi anni i vari governi, che si sono succeduti, hanno perso la possibilità di stabilire approcci istituzionali e organizzativi appropriati per incoraggiare la cooperazione tra imprese e governo e facilitare gli appalti pubblici strategici. In questo contesto di emergenza, ad esempio, si sarebbero potute acquistare soluzioni integrate, e non solo singole apparecchiature, per garantire la continuità delle cure negli ospedali. Purtroppo, la mancanza di esperienza e l’urgenza di riempire i magazzini non hanno consentito alle autorità sanitarie di muoversi verso soluzioni strutturate.

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