sanità

Telemedicina, il risveglio delle Regioni italiane: progressi e prossimi passi necessari

Bene le delibere di Toscana e Lombardia. Ora è necessario che la telemedicina non causi un ulteriore aumento della frammentazione dei sistemi, con il conseguente incremento dei costi, dei tempi e delle dipendenze dai fornitori per le integrazioni. Ecco che devono fare ancora le Regioni

Pubblicato il 19 Mag 2020

Fabrizio Massimo Ferrara

Laboratorio sui Sistemi Informativi Sanitari, ALTEMS -Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari- dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Telemedicina all'Ospedale Bambino Gesù: i vantaggi in pediatria

Dall’inizio di marzo ad oggi sono state avviate dalle singole aziende sanitarie oltre 120 iniziative indipendenti di telemedicina, per erogare servizi di televisita, teleassistenza, telemonitoraggio e telecooperazione sanitaria. Più dei due terzi sono finalizzate ad assicurare la cura e l’assistenza ai pazienti non-covid (cfr “Instant Report ALTEMS Covid-19” N. 7 del 14 Maggio 2020).

Le recenti delibere regionali della Toscana (n. 464 del 6 aprile), del Veneto (n. 568 del 5 maggio) e della Lombardia (n.3155 del 7 maggio) a favore della telemedicina, inserita in una procedura e prenotabile via cup, persino esente ticket in Toscana, costituiscono un primo passo, importante, verso l’organizzazione, il potenziamento e la strutturazione di questi servizi nell’ambito dei sistemi sanitari regionali. In particolare, la Toscana ed il Veneto dettagliano ulteriormente, rispetto ai criteri previsti nelle linee guida nazionali, specifici criteri di rendicontazione e di retribuzione per determinate patologie.

L’importanza delle telemedicina

Finalmente. Mai come adesso ce n’è bisogno. L’epidemia COVID-19 rende sempre più importante l’adozione di modelli assistenziali basati sulla telemedicina, non solo per seguire i “pazienti covid”, ma anche per assicurare l’accesso alle cure a tutti gli altri pazienti, specialmente se fragili, cronici ed affetti da patologie di lunga durata, seguendoli a distanza in modo da ridurre il rischio di contagi, anche in accordo con le misure prescritte per la “Fase-2”.

Esperienze in questo senso, anche non legate a sole situazioni di emergenza, sono largamente presenti sullo scenario internazionale, la cui efficacia ed efficienza è ormai documentata sia a livello clinico che economico. Basta ricordare che il Royal College of General Practitioners del Regno Unito evidenziava già lo scorso anno come il 25% delle visite di routine fosse effettuata in modalità telematica.

Le esigenze derivanti dalla epidemia, stanno dando un notevole impulso all’implementazione di modelli assistenziali di telemedicina e delle soluzioni tecnologiche, ancora in gran parte specializzate e circoscritte a specifiche patologie e processi di cura, separate ed indipendenti fra loro.

Dall’inizio di marzo, nelle prime settimane la focalizzazione è stata verso le esigenze di prevenzione, cura ed assistenza dei pazienti covid, anche con le iniziative (portali ed app) di alcune regioni, mirate a facilitare l’interazione con i pazienti positivi e la collaborazione della rete territoriale. Parallelamente si è assistito ad un aumento, continuo e crescente, delle iniziative avviate dalle singole aziende per assicurare cure ed assistenza ai pazienti non-covid, in particolare quelli cronici, fragili ed affetti da patologie di lungo periodo, che necessitano di contatti frequenti e regolari, e che si trovavano in una posizione molto critica a causa della sospensione o il contingentamento dell’attività ambulatoriale.

Che cosa manca

Per un effettiva diffusione dei servizi di telemedicina e per la loro integrazione nell’ambito dei processi clinico-organizzativi secondo quanto necessario nella Fase2 (ed oltre), adesso è però indispensabile che le soluzioni implementate non rimangano indipendenti ed isolate fra loro.

Le linee guida sulla telemedicina

A livello nazionale sono in vigore le “Linee di indirizzo nazionali sulla telemedicina”, predisposte da un apposito Tavolo tecnico istituito nell’ambito del Consiglio Superiore di Sanità nel febbraio 2011, successivamente oggetto di un percorso di condivisione con le Regioni e le Province autonome a cura del Ministero della salute, per essere definitivamente approvate dalla Conferenza Stato-Regioni il 20-02-2014.

Le linee guida definiscono il quadro di riferimento per i servizi di telemedicina, in termini di classificazione, di organizzazione ed integrazione nel SSN, di criteri di remunerazione e valutazione economica e di indicatori di performance ed aspetti etici. La successiva implementazione dei servizi di telemedicina nelle varie regioni è stata caratterizzata da un livello di diffusione e di specializzazione abbastanza diversificato, spesso limitato a specifici servizi e patologie, in particolare il monitoraggio delle principali patologie croniche (cardiologiche, diabetologiche e pneumologiche). Il Rapporto di Gennaio 2019 “Verifica adempimenti Lea” del Ministero della Salute fotografa, aggiornato al 2016, il livello di adempienza delle varie regioni rispetto alle indicazioni nazionali.

In conclusione

Ipotesi di soluzioni monolitiche, valide per tutti e per tutte le esigenze, si sono dimostrate (in passato, all’estero ed in Italia) inadeguate ed impraticabili. Occorre salvaguardare la molteplicità del mercato e delle soluzioni, garantendo però che la telemedicina non causi un ulteriore aumento della frammentazione dei sistemi, con il conseguente incremento dei costi, dei tempi e delle dipendenze dai fornitori per le integrazioni. In accordo anche con quanto previsto nel “Quadro Europeo di Interoperabilità” (COM/2017) sono necessarie da parte delle Regioni indicazioni (auspicabilmente specifiche tecniche e non ambigue) per la gestione dei dati, in termini di:

  1. a) integrazione di quanto gestito autonomamente dalle singole app e piattaforme, in archivi e cloud frammentati e proprietari, per far sì che la rete territoriale possa realmente collaborare nella prevenzione del contagio e nell’assistenza al paziente, sia covid che non;
  2. b) protezione dei dati personali, che adesso sono presenti nelle app e spesso transitano e/o sono registrati in diversi cloud e piattaforme di comunicazione, in modo non sempre strutturato.

Va infine ricordato il Regolamento UE 2017/745, la cui entrata in vigore è stata rinviata a maggio 2021 proprio a fronte dell’emergenza. App e programmi software sono equiparati ai dispositivi medici e necessiteranno quindi di una validazione e certificazione, che tenga conto anche della sicurezza dei dati gestiti e del rischio per il paziente. I requisiti da soddisfare potranno comportare pesanti ristrutturazioni, se non la completa riprogettazione delle applicazioni.  Anche in questo campo sono necessarie indicazioni precise e rapide.

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