la strategia sanitaria

Una Sanità migliore dopo il Covid? Ecco le quattro “T” che servono

Per far sì che il Covid-19 generi valore per la nostra sanità, serve ridefinire una tattica puntuale e condivisa che permetta di ottimizzare l’utilizzo delle risorse nell’identificazione, diagnosi e trattamento dei casi così come nel tracciamento e profilassi dei contatti. Ecco cosa serve – quattro “T” – per farlo

Pubblicato il 02 Lug 2020

Maria Rosaria Gualano

Medico di Sanità Pubblica, Professore Associato di Igiene generale e applicata, Università degli Studi di Torino

Andrea Silenzi

Medico di Sanità Pubblica, Direzione Strategica ATS Brescia, Centro di Ricerca e Studi sulla Leadership in Medicina, Università Cattolica del Sacro Cuore

Sistema sanitario nazionale: la sfida di modelli organizzativi e della digitalizzazione dei servizi

In questi mesi, sottolineando la mancata preparazione del nostro Paese nella gestione delle pandemie influenzali, abbiamo sentito parlare di territorio come dell’ambiente ideale per la gestione del Covid-19.

La sanità territoriale è infatti quella che dovrebbe occuparsi della prevenzione e della promozione della salute in tutte le età della vita così come della presa in carico della maggior parte dei problemi dei cittadini, quelli per i quali la risposta appropriata è per definizione fuori dall’ospedale. E, senza dubbio, l’ambito territoriale è quello che più di tutti  meriterebbe uno stravolgimento”catastrofico”, se è vero, come è vero, che la parola catàstrofe s. f. [dal lat. tardo catastrŏpha, catastrŏphe, gr. καταστροϕή, propr. «rivolgimento, rovesciamento», der. di καταστρέϕω «capovolgere»] non ha di per sé la connotazione negativa che ha assunto nel tempo, grazie soprattutto alla tragedia classica, per definire la soluzione repentinamente luttuosa del dramma.

Difatti, impiegando la declinazione di eu-catastrofe elaborata da J.J.R. Tolkien (esimio filologo della Oxford University, non soltanto autore del celeberrimo “Signore degli Anelli”) potremmo definire catastrofe “un evento che scuote dalle fondamenta un sistema e crea un valore maggiore di quello antecedente”. Una lettura positiva di catastrofe quindi, quasi liberatoria, vista come il colpo di scena che stravolge e può anche risolvere determinate situazioni, scuotendo lo status quo. [1]

Approfondiamo come l’Italia dovrebbe attuare questi concetti, da un punto di vista medico-scientifico.

La moltiplicazione delle T

Ormai l’abbiamo capito: la gestione e la prevenzione della diffusione del SarsCov2 che causa la sindrome chiamata Covid-19, passa dalla moltiplicazione delle T.

Tracciare, Testare, Trattare: tutto con Tempestività.

Aggiungiamo, in modo logico e, possibilmente, basato sulle evidenze emerse e costruite in questi mesi. Perfino la forma verbale “tamponare” utilizzata da qualcuno per indicare il “fare tamponi” inizia sempre con la T.

I due pilastri della sanità del territorio, l’Igiene, medicina preventiva e sanità pubblica e la Medicina Generale, sommano alla perfezione le competenze squisitamente metodologiche, gestionali ed epidemiologiche con quelle prettamente cliniche.

Uno dei primi epidemiologi della storia, John Snow, è stato in fondo una sorta di Sherlock Holmes che, investigando sui alcuni casi dell’epidemia di colera che colpì il quartiere londinese di Soho nel 1854, applicò metodiche di indagine e metodo deduttivo per scovare le cause ed interrompere la catena di contagi. La metodologia da detective rispecchia proprio lo spirito delle T multiple: il virus lascia delle tracce al suo passaggio e noi siamo chiamate a raccoglierle nella maniera più rapida ed efficace possibile, attraverso le cosiddette indagini epidemiologiche, le interviste ai malati e ai relativi contatti, fino quasi ad anticipare il virus, isolandolo.

La prima T: il Tracing

E proprio l’isolamento è la misura di sanità pubblica attuata dai Dipartimenti di prevenzione per separare sospetti di caso e contatti dalla collettività attraverso la messa in atto di un accanito e meticoloso tracciamento dei contatti (contact tracing, non solo digitale con l‘app Immuni) utilizzato per “spegnere sul nascere ogni possibile focolaio, ponendo alti livelli di attenzione sulle comunità assistenziali, sanitarie e sociali, e garantendo l’alimentazione puntuale ed esaustiva dei flussi informativi del sistema di sorveglianza utili al monitoraggio in tempo reale delle situazione epidemiologica a livello nazionale, regionale e locale, mediante un pannello di indicatori individuati dal Decreto Ministero della Sanità del 30 aprile e dalla relativa circolare ministeriale”. [2]

Tutto questo nonostante un cronico sottodimensionamento rispetto al bisogno, il mancato turnover dei professionisti e la perdita di identità e di coordinamento organizzativo, in particolare nelle regioni che hanno attuato riforme sanitarie sperimentali. Sicuramente, per ottenere migliori performance del sistema in tempo sia ordinario che straordinario è necessario potenziare la formazione di tutto il personale a disposizione del SSN: leggendo molti articoli sembra che il contact tracing sia stata una novità apportata dal Covid-19 quando, in realtà, è uno strumento per fronteggiare le malattie infettive che risale alla notte dei tempi, da quando cioè medici e scienziati hanno iniziato a comprendere che alcune malattie non erano causate dal fato o dai miasmi bensì da microrganismi capaci di creare danno agli esseri vegetali e animali, uomo compreso, chiamati prima “animalcula” ma poi giunti fino a noi come batteri, virus e prioni. Microrganismi da osservare, causa di malattie da tracciare portatore per portatore, ospite per ospite, al fine di isolare i vettori di contagio ed evitare la diffusione nella collettività (epidemìa, dal greco ἐπί + δῆμος, lett.: sopra il popolo, sopra le persone) o, peggio, la diffusione a tutta la popolazione (pandemìa, dal greco pan-demos, “tutto il popolo”).

La differenza, con il Covid-19, è che si è iniziato a parlare della tecnologia a supporto del tracciamento dei contatti, il cosiddetto digital contact tracing. Dell’utilizzo di smartphone e app per registrare le possibili esposizioni a rischio e trasmettere notifiche a supporto del lavoro dei professionisti che si adoperano nel contact tracing, i medici igienisti e gli assistenti sanitari che effettuano le indagini epidemiologiche.

L’Italia è chiamata a fare un grande investimento per tracing e tracking, sia nelle risorse umane sia nelle risorse tecnologiche.

Dal primo giugno il lavoro degli operatori è integrato dall’implementazione della App Immuni che, dopo una sperimentazione fatta in Puglia, Marche, Abruzzo e Liguria, è ora attiva in tutta Italia.

Le aspettative sono alte, così come le polemiche sulla privacy che ne hanno accompagnato lo sviluppo. Va detto che anche per l’app Immuni, come spesso capita nella sanità territoriale, serve aggrapparsi alla “stretta collaborazione fra il cittadino, il Medico di Medicina Generale, il Pediatra di Libera Scelta e il Dipartimento di Prevenzione“.[3] [4]

Tuttavia, la collaborazione tra i vari professionisti dovrebbe essere un prerequisito del sistema e non una condizione abilitante. Possiamo ancora permetterci che passaggi così delicati della sanità principale, quella “fuori dall’ospedale”, siano basati soltanto sulla collaborazione tra i vari (e differenti) attori? O sarebbe necessario avere processi gestionali ben definiti e regole chiare ed omogenee per tutti?

La seconda T: il Testing

Abbiamo imparato che per studiare/gestire il Covid-19 abbiamo a disposizione due tipi di test ma ancora qualcuno li confonde: test molecolari (tamponi) e test anticorpali hanno finalità completamente diverse.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il gold standard per la diagnosi di infezione da SARSCoV2 è la ricerca dell’RNA virale, presente nella fase iniziale e acuta della malattia, con metodiche di biologia molecolare. L’analisi si effettua sulla base di un tampone, il quale è sottoposto a particolari metodiche molecolari (Real Time Polymerase Chain Reaction, RT-PCR) che identificano con precisione il genoma virale nei secreti respiratori (le sostanze espulse attraverso la respirazione) del paziente sintomatico. Ma quanti tamponi si stanno facendo allo stato attuale in Italia?

Dalle ultime analisi sembra che i tamponi per la diagnosi di Covid-19 non vengono sempre effettuati dove “servono”: non c’è chiara correlazione, infatti, tra incidenza dei nuovi casi e numero di tamponi effettuati.

Relativamente al tasso settimanale di nuovi tamponi effettuati, i valori più̀ elevati sono registrati in alcune regioni del nord (Veneto, Trentino-Alto-Adige, Friuli-Venezia-Giulia ed Emilia Romagna). Il valore più basso viene registrato nella Regione Sicilia (2.79). In media in Italia viene registrato un valore di 6,25 tamponi effettuati su 1.000 abitanti nella settimana dal 09/06/2020 al 16/06/2020. Le Regioni associate ad un numero di tamponi realizzati in linea con i casi registrati sono le Marche, l’Abruzzo e l’Emilia Romagna. Si registra inoltre un alto numero di tamponi realizzati rispetto ai casi rilevati in Lombardia, Liguria e Piemonte, si segnala però che nelle ultime settimane queste ultime due si stanno avvicinando alla media nazionale. [5]

I test sierologici sono stati evocati sin da subito nelle strategie di gestione Covid-19 grazie alle aspettative poste dalla comunità scientifica per la realizzazione di studi di siero-prevalenza (serosurveys) utili a fornire elementi preziosi sulla reale prevalenza dell’infezione. In una prima fase la mancanza di kit validati ha inibito questo approccio ma alcune Regioni (es. Veneto, Emilia-Romagna) hanno iniziato sin dagli ultimi giorni di marzo a utilizzare i test diagnostici rapidi (kit “pungidito” per analisi immunocromatografica su sangue periferico capillare) per screening su particolari categorie di operatori (es. sanitari e forze dell’ordine).

Domande rilevanti sulla trasparenza e l’affidabilità di questi test qualitativi sono sorte a causa di una scarsa sensibilità e specificità dei kit. Tuttavia, oltre ai test rapidi, da aprile sono arrivati sul mercato i test che utilizzano l’analisi in chemiluminescenza (CLIA) o ELISA su campione di sangue venoso. Tali test permettono di fornire indicazioni più precise circa l’avvenuto o meno contatto con il virus SARS-CoV2 ma anche di rappresentare l’eventuale quantitativo di anticorpi IgG sviluppato dal soggetto. Al momento le evidenze scientifiche non sono solide nel confermare il possibile effetto protettivo a medio lungo termine di tali anticorpi. Con Circolare del 9 maggio 2020, pertanto, il Ministero della Salute ha ribadito che i test sierologici “non possono, allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, sostituire il test molecolare basato sull’identificazione di RNA virale dai tamponi nasofaringei” ai fini diagnostici.

All’interno di questa cornice, alcune Regioni hanno utilizzato i test sierologici CLIA/ELISA come strumento ibrido per la ricerca di sieroprevalenza e un’eventuale operatività diagnostica su specifiche sottocategorie di popolazione (es. Regione Lombardia, PA di Trento); inoltre, alcuni cittadini sono stati attratti dalla pubblicità dei laboratori privati e stanno decidendo di pagare per il test; allo stesso modo, diversi datori di lavoro hanno offerto ai propri lavoratori uno screening sierologico gratuito con l’idea di certificare la negatività al virus alla ripresa delle proprie attività lavorative della Fase 2a e di predisporre supposte “patenti di immunità” ai fini dell’organizzazione del lavoro.

Alcune di queste iniziative sono state incluse da alcune regioni in un approccio di sanità pubblica, ma nella maggior parte dei casi è finora mancata una chiara strategia sulla gestione dei risultati dei test. Alcune regioni hanno normato tali aspetti nell’ultima settimana (es. Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto) e il soggetto che decide di sottoporsi al test sierologico ottenendo un risultato “positivo” viene solitamente inviato al medico di medicina generale e all’autorità sanitaria locale per ulteriori indagini (test molecolare ed eventuale avvio dell’isolamento fiduciario). [6]

Dal livello centrale, invece, i test sierologici sono stati impiegati per un grande studio di sieroprevalenza nazionale promosso dal Ministero della Salute. Lunedì 25 maggio è iniziata l’opera di contatto da parte della Croce Rossa Italiana per invitare i cittadini selezionati tramite campionamento ISTAT ad effettuare il test sierologico per rilevare presenza di anticorpi IgG. In caso di riscontro anticorpale positivo, si verrà sottoposti a tampone per verificare eventuale presenza di infezione ancora in atto: anche qui entrerà in gioco la solita ennesima T, quella di garantire tempestività di effettuazione del tampone.

Cosa ci aspettiamo dall’analisi di mappatura di sieroprevalenza in Italia? Certamente i risultati saranno differenti tra realtà regionali: ove il virus ha circolato in maniera più forte ci aspettiamo una maggiore prevalenza anticorpale. Di recente la Spagna ha pubblicato i risultati preliminare dello studio che sta conducendo in maniera simile a quello promosso da Ministero della Salute e ISTAT e si evidenzia che nei circa 61mila spagnoli testati finora una prevalenza di IgG del 5%, senza differenze sostanziali di genere. [7,8]

La terza T: il Treatment

A oggi ancora non abbiamo un algoritmo definito di trattamento, condiviso e chiaro. Questo è dovuto anche al fatto che non ci sono ancora evidenza chiare su alcun farmaco specifico e, anzi, la ricerca sembra essere fin troppo incalzata dai media e dalle attese del mondo intero. È di poche settimane fa la notizia della sospensione dei trial in corso su impiego di idrossiclorichina, dopo che un grande studio osservazionale pubblicato su The Lancet ha registrato un peggioramento nella mortalità dei pazienti in cui era stata somministrata [9]. Tuttavia, nel giro di una settimana, il 3 giugno 2020 l’OMS ha dichiarato a sorpresa la ripresa del trial in quanto “le evidenze su dati mortalità non sono tali da giustificare modifiche al protocollo originale del trial”.

Grande attesa, allo stesso modo, è posta sui vari protocolli di ricerca che stanno sperimentando l’efficacia contro il Covid-19 di farmaci immunoterapici come, tra gli altri, il Remdesivir e il Tocilizumab.

La quarta T: la Tattica

Nel gergo militare la strategia è la “branca dell’arte militare che regola e coordina le varie operazioni belliche in vista dello scopo finale della guerra”. Ogni strategia che si rispetti, tuttavia, per essere efficace deve essere seguita da una buona tattica, ovvero dalla “tecnica d’impiego e di manovra delle unità militari nel combattimento” (distinta dalla strategia che regola la condotta generale delle operazioni belliche).

Per vincere e superare Covid-19, magari permettendogli di configurarsi come eu-catastrofe in grado di generare un valore più grande per la nostra sanità nel nuovo stato di equilibrio rispetto al precedente, serve ridefinire una tattica puntuale e condivisa che permetta di ottimizzare l’utilizzo delle risorse nell’identificazione, diagnosi e trattamento dei casi così come nel tracciamento e profilassi dei contatti. Per fare ciò serve necessariamente una migliore chiarezza di ruoli tra livello centrale e Regioni; un Ministero della Salute chiamato a diramare circolari maggiormente aperte e proattive, improntate alla moltiplicazione delle T da parte della sanità territoriale, responsabilità delle Regioni e Province Autonome chiamate a comprendere il valore insostituibile dei Dipartimenti di Prevenzione e della Medicina Generale nella lotta al COVID19 così come, in tempo di pace, nella prevenzione e promozione della salute nonché della presa in carico della problematiche di salute proprie dell’assistenza primaria e di quel mondo di mezzo che deve occuparsi delle persone e dei determinanti sanitari e sociali della salute, non solo delle malattie.

____________________________________________________________________________

Bibliografia e Sitografia

  1. Cotton-Barratt O, Ord T. (2015) Future of Humanity Institute – Technical Report #2015-1, Existential Risk and Existential Hope: Definitions. Disponibile su: https://www.fhi.ox.ac.uk/Existential-risk-and-existential-hope.pdf
  2. Di Rosa E. I nostri operatori e la nuova sanità pubblica per la fase 2. Igienisti On-line. Disponibile su: http://www.igienistionline.it/docs/2020/11dirosa.pdf
  3. Immuni, cos’è e come funziona l’app italiana coronavirus. Disponibile su: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/immuni-come-funziona-lapp-italiana-contro-il-coronavirus/
  4. Circolare del Ministero Salute del 29/05 Ricerca e gestione dei contatti di casi COVID-19 (Contact tracing) ed App Immuni. Disponibile su: http://www.trovanorme.salute.gov.it/jsp/dettaglio.jsp?id=74178
  5. ALTEMS Università Cattolica del Sacro Cuore: 12° ISTANT REPORT COVID19 https://altems.unicatt.it/altems-ALTEMS%20INSTANT%20REPORT%2012.pdf
  6. ALTEMS Università Cattolica del Sacro Cuore: Commentary Instant Report COVID19, https://altems.unicatt.it/altems-covid-19
  7. Wstudio ENE-Covid19: Primera ronda estudio nacional de sero-epidemiología de la infección por sars-cov-2 en España. Informe preliminar 13 de mayo de 2020. Disponibile su: https://www.mscbs.gob.es/ciudadanos/ene-covid/docs/ESTUDIO_ENE-COVID19_PRIMERA_RONDA_INFORME_PRELIMINAR.pdf
  8. Senato della Repubblica. Atto Senato 1800 (d.l. 30/2020) – Studi epidemiologici e statistiche sul SARS-COV-2. Disponibile su: https://www.senato.it/3688
  9. Mehra MR et al. Hydroxychloroquine or chloroquine with or without a macrolide for treatment of COVID-19: a multinational registry analysis https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)31180-6/fulltext

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