didattica a distanza

Scuola e covid, la DAD occasione persa? Ecco come fare il salto di qualità

La DAD ha scontentato tutti: coloro che avrebbero potuto e voluto spingersi oltre hanno dovuto frenare l’entusiasmo iniziale, chi questo entusiasmo non l’aveva mai provato l’ha subita come un’anomalia del sistema. Ma non è neppure pensabile tornare alla “vecchia” scuola, bisogna guardare al futuro. Ecco in che modo

Pubblicato il 12 Gen 2022

Laura Biancato

Dirigente scolastico

Antonio Fini

dirigente scolastico

proctoring - educazione civica digitale - Borsa di studio Inps

Il dibattito pro-contro DAD è ormai avvelenato. Si è creata in qualche modo una sorta di egemonia culturale che individua nella DAD/DDI sostanzialmente una modalità incompatibile con la scuola.

In sintesi, la DAD non sarebbe “vera” scuola ma, al massimo, una sua pallida imitazione, gravata da una tale quantità di inconvenienti e criticità da renderla insostenibile se non dannosa o portatrice di “disuguaglianze”, come ha affermato il presidente del Consiglio Mario Draghi lunedì scorso, sostenendo che quindi le scuole devono restare aperte anche nel picco della pandemia covid.

Va detto che questa analisi è fondamentalmente vera: proviamo allora a capire perché ha (in parte) ragione chi ritiene che la Dad sia stata un’occasiona persa e come recuperare e far fare alla scuola un salto di qualità.

Scuola in pandemia, perché non è andato tutto bene

Per spiegare questa, forse inattesa, affermazione occorre partire dall’inizio, ovvero dal marzo 2020. In quelle settimane, caratterizzate dal primo, drammatico, lockdown nazionale, le scuole, i dirigenti e soprattutto i docenti si trovarono, in buona parte impreparati, a fronteggiare un’emergenza, ad affrontare l’ignoto, con un preciso obiettivo che, a meno di poche defezioni, peraltro inevitabili data la dimensione della platea interessata dal fenomeno, era quello di rimanere connessi con gli studenti. In qualunque modo, tralasciando spesso le formalità e la burocrazia opprimente che caratterizza da troppo tempo l’ambiente scolastico.

Didattica a distanza (dad) e digitale: si può fare bene (e vincere il covid). Ecco cosa serve

Quei mesi sono stati un’autentica fucina di sperimentazione, di innovazione, di collaborazione, di formazione sia spontanea sia organizzata, magari in fretta e furia.

Le indicazioni dall’alto erano scarne e pertanto lasciavano, forse per la prima volta, grande libertà di azione alle scuole. Improvvisamente, l’autonomia scolastica, sancita nell’ormai remoto 1999, sembrava in qualche modo potersi attuare davvero.

L’urgenza del momento, le enormi difficoltà imponevano questa via, non c’era altro da fare.

Sono ancora visibili sui siti web di alcune scuole le evidenze di quel ciclopico lavoro: vademecum, documentazione di ogni tipo, repository di materiali, consigli, tutorial. La quantità di materiali tuttora disponibili è enorme e testimonia una vitalità intellettuale che forse si credeva ormai sopita, seppellita dalla burocrazia e dalle ormai stantie prassi che scandiscono le attività scolastiche.

La primavera del 2020 è lì, a ricordarci che le scuole sono vive, che gli insegnanti sono capaci di sorprenderci e sorprendersi.

È quindi “andato tutto bene”? Naturalmente, no.

Dad e valutazione, storia di un’incompatibitlià

Come ogni scintilla, anche quella è stata di breve durata: per accendere il fuoco e mantenerlo acceso serve certo l’innesco ma poi va alimentato.

Già nella tarda primavera del 2020 si è cominciato a soffocare quel fuoco, non appena ci si è resi conto che la fine dell’anno scolastico incombeva, che non si sarebbe tornati in presenza e che, ahinoi, si sarebbe dovuto decidere sul futuro di questi studenti, a loro volta coinvolti in quel turbine di novità ma anche di difficoltà pratiche.

Come si fa a valutare questi studenti “schermati”? L’adrenalina di marzo, lo slancio comunicativo e affettivo (“non rimaniamo isolati”) cominciavano a scemare, di fronte all’implacabile ritorno del canone scolastico. I voti, dobbiamo pur metterli. Gli scrutini, dobbiamo pur farli.

Nonostante la decisione del Governo che sarebbero stati tutti ammessi alla classe successiva, peraltro accolta con scetticismo da molti, il primo tassello per lo spegnimento di quella fiammella era ormai piazzato. In molti cominciano a rendersi conto che la DAD non è compatibile con il tradizionale armamentario valutativo: verifiche e interrogazioni, come si fa?

A parte le aberrazioni proposte da qualcuno (studenti bendati…), la maggior parte degli insegnanti si è comunque trovata in seria difficoltà. Il paradigma della valutazione scolastica è robusto, storicamente ancorato e consolidato. Non basta una scintilla per scalfirlo.

In qualche modo, comunque, l’anno scolastico 2019/20 si avviava al termine.

A scuola con Omicron: come fare bene la didattica digitale integrata (DDI)

L’arrivo delle Linee Guida per la Didattica Digitale Integrata

Durante l’estate del 2020 prende corpo l’imponente apparato regolamentativo per la ripresa. In particolare, vengono emanate le Linee Guida per la Didattica Digitale Integrata e il relativo protocollo d’intesa sindacale.

Era forse inevitabile che si dovesse mettere un po’ d’ordine, uniformare in qualche modo le pratiche spontanee messe in atto dalle scuole.

Tuttavia, in questi documenti si cominciano a stabilire alcuni criteri inderogabili, ad esempio, sugli orari e sulla natura delle attività, in particolare le ore da dedicare obbligatoriamente ad attività sincrone. Quindici o venti ore settimanali di videoconferenza equivalgono a 3-4 ore al giorno nelle quali gli studenti avrebbero dovuto rimanere collegati: le famose “videolezioni”.

Il Piano forniva anche indicazioni sulle modalità di valutazione, ma molto vaghe e sostanzialmente rimandava comunque alla normativa vigente e, in definitiva, non lasciava alternativa al “voto” che, alla fine, in qualche modo doveva emergere, salvo per la scuola primaria, per la quale, nel frattempo, era stata modificata radicalmente la normativa.

In sintesi, pur con le migliori intenzioni e con l’apprezzabile cambio di denominazione (da DAD a DDI), la scintilla iniziale, certo caotica ma senz’altro vitale, veniva definitivamente spenta.

La DDI doveva rientrare nei ranghi della scuola “normale”, non si poteva più considerare come “zona franca”, terreno di sperimentazione estesa.

L’anno scolastico 2020/21 è trascorso quindi tra il tentativo di “mettere a sistema” il “brodo di coltura” della primavera 2020 e il ripristino dello status quo.

Perché la DAD ha scontentato tutti

Ecco perché, alla fine, la DAD ha scontentato tutti: coloro che avrebbero potuto e voluto spingersi oltre hanno dovuto frenare l’entusiasmo iniziale, chi questo entusiasmo non l’aveva mai provato l’ha subita come un’anomalia del sistema, un male necessario e comunque legato all’emergenza.

La tesi che intendiamo presentare è dunque che la DAD/DDI non possa facilmente convivere con il sistema rigido che caratterizza la scuola.

In questo senso, come rilevato da alcuni, è stata finora un’occasione persa.

Cosa servirebbe, dunque, per provare a recuperare e far fare così alla scuola un salto di qualità?

La premessa è che la Didattica Digitale Integrata (DDI) non corrisponde alla DAD, ma rappresenta l’uso integrato delle tecnologie e delle infinite opportunità offerte dal digitale nella didattica “ordinaria” e quotidiana.

Vanno riconosciuti alcuni principi di base:

  • la DDI riguarda solo incidentalmente la tecnologia, ma non è fondata su di essa bensì sulle metodologie didattiche;
  • la DDI si può, anzi si deve, praticare non solo a distanza ma anche in presenza. Può tuttavia risultare indispensabile per gestire “emergenze” collettive e individuali, consentendo di mantenere la relazione didattica con studenti che, per vari motivi, non fossero in grado di frequentare in presenza, anche per brevi periodi;
  • la DDI non è la mera trasposizione della scuola in presenza in un ambiente digitale sincrono. La “videolezione” non è la “lezione”. La DDI utilizza una vasta gamma di metodi e tecnologie per offrire un’esperienza didattica ricca e variata, basata sul bilanciamento tra attività sincrone e asincrone, contribuendo a sviluppare l’autonomia degli studenti;
  • la DDI richiede una strategia ragionata a livello di Istituto. Ci deve essere un piano di scuola che:
    • faciliti e diffonda l’uso degli strumenti, delle applicazioni, del cloud;
    • predisponga e indichi le regole d’uso della connessione e dei dispositivi presenti a scuola;
    • formi di conseguenza tutto il personale, nemmeno solo i docenti, perché anche i dirigenti scolastici, gli assistenti tecnici (laddove presenti) e la segreteria hanno una loro parte nello sviluppo di questo sistema;
  • alcune attività scolastiche, in particolare legate ai laboratori, necessitano della presenza, non tutte sono virtualizzabili. Ma è anche vero che proprio nelle attività laboratoriali l’impiego del digitale è ormai una condizione imprescindibile;
  • la DDI può essere realizzata in tutti gli ordini di scuola, con alunni e studenti di tutte le età. L’importante è stabilire metodologie adatte e tecnologie di supporto sostenibili;
  • l’uso integrato del digitale nella didattica può tradursi, soprattutto nella secondaria, ma anche con gli alunni più piccoli, in una grande opportunità di motivazione per gli studenti, anche nell’ottica di un’educazione all’uso consapevole delle tecnologie;
  • la DDI richiede un margine di (reale) autonomia molto più ampio rispetto alla scuola tradizionale e, in prospettiva, la “nuova” scuola che potrebbe derivare dalla DDI si fonda su tale autonomia rafforzata;
  • la DDI implica maggiore flessibilità, nell’uso del tempo e nell’organizzazione degli spazi, oltre che nella modularità dei gruppi, che non necessariamente devono corrispondere alle classi;
  • la DDI supporta un nuovo concetto di valutazione, ben oltre il “voto”, potendo contare su strumenti alternativi o integrativi, ma soprattutto potenziando la possibilità degli studenti ad esprimere i loro risultati di apprendimento e le loro competenze;
  • la DDI è intrinsecamente inclusiva, a patto che vi siano, a monte, investimenti seri, rapidi e cospicui per ridurre al minimo, se non eliminare, tutte le forme di digital divide che ancora affliggono comunità e singoli individui. Si deve provvedere a connessioni internet di qualità per tutti, ogni studente deve poter contare su un dispositivo digitale nel proprio corredo scolastico;
  • la DDI non è “facile”. Al contrario, è estremamente impegnativa, per gli studenti ma, soprattutto, per i docenti. È necessario riconoscere questo nuovo impegno, da tutti i punti di vista, soprattutto quello contrattuale, in termini di orario di lavoro e, naturalmente, di adeguamento delle retribuzioni.

Conclusioni

In conclusione: ebbene sì, la DDI non è “la” scuola, non la “vecchia scuola”, non quella che per anni, ben prima della pandemia, è stata accusata di non essere all’altezza dei compiti che i frenetici cambiamenti sociali del nuovo millennio le imponevano.

Dobbiamo chiederci se vogliamo davvero ripristinare “quella” scuola, per poi tornare magari a lamentarci delle sue inadeguatezze. O se addirittura, come proposto da alcuni intellettuali, non sia il caso di guardare ancora più indietro e recuperare quella ancora precedente.

Oppure se, finalmente, si intende guardare al presente ma, soprattutto, al futuro.

Dal punto di vista organizzativo-strutturale, la DDI richiede l’attuazione reale, forte e convinta, dell’autonomia scolastica, in termini di maggiore libertà di organizzazione oraria, didattica e valutativa, ma anche di responsabilità formativa in risposta alla contemporaneità.

Dal punto di vista della spinta innovativa e riformatrice, la DDI così pensata si configura come il volano per una “nuova scuola”, capace di riattivare quelle energie appena intraviste nel primo lockdown. Non sarebbe giusto e soprattutto sarebbe un enorme spreco non valorizzarle.

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