la riforma incompiuta

Intercettazioni, in arrivo decreto ministeriale sui costi, ma resta il nodo della conservazione

A quattro anni dall’introduzione della riforma Orlando del 2017, che ha regolamentato l’utilizzo, spesso eccessivo, del captatore informatico arriva uno schema di decreto interministeriale per la razionalizzazione dei costi di intercettazioni e captatori. Restano tuttavia molte questioni aperte

Pubblicato il 26 Mar 2021

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

intercettazioni

Le intercettazioni sono il primo strumento di indagine in Italia e, fino a oggi, sono costate circa 200 milioni di euro all’anno. Il Ministro della giustizia (di concerto con il Ministro dell’Economia e finanza) di recente ha presentato uno schema di decreto interministeriale per la razionalizzazione dei costi di intercettazioni e captatori informatici.

Sulla regolamentazione della conservazione, però, non c’è ancora (quasi) nulla e sono ancora molti i decreti da approvare per completare il quadro regolamentare.

Il decreto interministeriale del 2 marzo 2021

La bozza di decreto interministeriale per razionalizzare i costi presentata il 2 marzo 2021 al Senato ha come scopo la razionalizzazione delle tariffe praticate dalle società esterne che effettuano le operazioni di intercettazione su mandato delle Procure della Repubblica che spesso non sono autonome nell’effettuazione delle operazioni suddette.

Questo perché, ai sensi dell’articolo 268 del Codice di procedura penale (comma 3) “Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica. Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria”.

Ai sensi del successivo comma 3 bis, però, si dispone che “Quando si procede a intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati. Per le operazioni di avvio e di cessazione delle registrazioni con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, riguardanti comunicazioni e conversazioni tra presenti, l’ufficiale di polizia giudiziaria può avvalersi di persone idonee di cui all’articolo 348, comma 4”.

In altre parole, gli impianti dovrebbero essere tutti installati presso la Procura della Repubblica che ha ottenuto l’autorizzazione a intercettare uno o più indagati ma, se necessario ed in particolare nei casi in cui serva l’installazione di un captatore informatico, il Pubblico Ministero può avvalersi di privati.

Da qui l’esigenza di un “tariffario” unico e coerente per tutto il territorio nazionale, senza che le singole Procure possano (e debbano) andare “à la carte”.

Il risparmio stimato è pari a poco meno di 10 milioni di euro all’anno: calcolando una spesa media negli ultimi tre anni di circa 205 milioni, stiamo parlando del 4-5%.

La riforma delle intercettazioni: un’opera ancora incompiuta

La bozza di Decreto sui costi arriva dopo quattro anni dall’introduzione della riforma Orlando del 2017, che ha avuto il pregio di regolamentare l’utilizzo – spesso eccessivo – del captatore informatico.

Ciò che manca, tuttavia, non è poco: su tutti, non è stato approvato il Decreto Ministeriale che deve prevedere i requisiti standard di affidabilità, sicurezza ed efficacia, per garantire che i malware di Stato siano utilizzati entro gli stretti limiti di quanto autorizzato.

Sul tema, le principali fonti del diritto vigenti sono contenute nel il Decreto Legislativo 51 del 2018, adottato in attuazione della Direttiva UE 16/680, relativo “alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati, e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio” (articolo 1 del Decreto Legislativo 51 del 2018).

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Si tratta, prevalentemente, di una serie di previsioni di ampio spettro che prevedono, tra le altre cose, anche alcuni reati in caso di utilizzo illecito di dati di persone sottoposte a indagini o a processo.

La normativa di dettaglio, ovviamente, può essere emanata solo con atti di natura regolamentare e in questo contesto operano i Ministeri competenti che, però, non sono molto “rapidi” nell’elaborazione ed emanazione dei provvedimenti di loro competenza.

Va dato atto del fatto che, nonostante la palese inadeguatezza dell’operato ministeriale sul punto, anche l’infrastruttura tecnica è radicalmente insufficiente.

In ogni caso, nel nostro Paese sono presenti oltre 160 sale d’ascolto, ma non è ancora stato implementato il sistema di disaster recovery: sotto il profilo strettamente tecnico, quindi, il ritardo è significativo.

La conservazione giudiziale delle conversazioni intercettate

Da Codice, “I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto a esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Non sono coperti da segreto solo i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all’articolo 373, comma 5, o comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari. Al giudice per le indagini preliminari e ai difensori delle parti, successivamente al deposito effettuato ai sensi degli articoli 268 e 415 – bis o nel caso previsto dall’articolo 454, comma 2 -bis, per l’esercizio dei loro diritti e facoltà è consentito l’accesso. 2. Salvo quanto previsto dall’articolo 271 comma 3, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Tuttavia, gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio a norma dell’articolo 127” (articolo 268 del Codice di Procedura Penale, commi 1 e 2).

La procedura di stralcio, attivabile da Codice, difficilmente viene attuata; i difensori che hanno estratto copia di verbali e di audioregistrazioni hanno l’obbligo di conservazione di dieci anni secondo le norme previste dal GDPR per i dati giudiziari.

I giornalisti abilitati possono chiedere di accedere al fascicolo quando diviene pubblico, ossia nei casi di esecuzione di misura cautelare custodiale o richiesta di rinvio a giudizio.

Conclusioni

La riforma Orlando del 2017 e la riforma Bonafede del 2019/2020 non sono state pienamente attuate: oltre ai decreti ministeriali di cui sopra, ne mancano altri per completare il quadro regolamentare.

Di certo c’è che l’assenza di normativa non tutela il cittadino, ma consente un margine di manovra più ampio alla magistratura inquirente nell’utilizzo di un mezzo di ricerca della prova che, ormai, ha raggiunto dimensioni ipertrofiche.

Stralci di intere conversazioni private, poi, vengono spesso pubblicate impropriamente dai media nonostante il divieto imposto dall’articolo 114 del Codice di Procedura Penale.

Il rapporto tra Procure della Repubblica e media, patologico nel nostro sistema giudiziario, è strettamente connesso al tema della gestione delle intercettazioni telefoniche: una regolamentazione troppo dettagliata aumenterebbe i rischi per chi fa “uscire” alcune conversazioni prima del dovuto.

Di difficile soluzione anche il tema dell’utilizzo degli archivi da parte dei servizi di informazione: da qui, evidentemente, la difficoltà di una soluzione organica per via regolamentare.

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