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Dichiarazioni fiscali online: la guida per evitare problemi

Con il digitale è possibile inviare la dichiarazione dei redditi senza stampe e neppure la conservazione dei documenti. Ma è in agguato il rischio di fare errori, spesso vere trappole, con sanzioni importanti. Ecco come fare

Pubblicato il 14 Feb 2018

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista

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Il legislatore ha regolato le procedure relative alla predisposizione e all’inoltro dei dichiarativi fiscali mantenendo gli adempimenti in ambito digitale. Non sono necessarie stampe neppure per la conservazione dei documenti.

Il percorso però corre il rischio di interrompersi se i professionisti intermediari non utilizzano le risorse tecnologiche e normative esistenti per estendere e completare il percorso digitale anche sino alla documentazione che il cliente è tenuto a conservare ed esibire.

Trasmissione telematica della dichiarazione dei redditi

La scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi rappresenta per gli addetti ai lavori il raggiungimento di un importante traguardo. Anche nel periodo storico in cui si passò dalla compilazione manuale (si, con la penna e la carta carbone!) a quella meccanografica (con le famose stampanti ad aghi su carta chimica), la consegna delle dichiarazioni all’Agenzia delle Entrate rappresentava la conclusione dell’attività più complessa, risolta la quale restava solo da conservare ciò che si era già stampato; il contribuente apponeva la firma sulla sua dichiarazione e il processo era concluso con la conservazione del documento negli archivi di studio. Nel caso di presentazione della dichiarazione priva della sottoscrizione, poco male: il legislatore aveva ragionevolmente previsto che la dichiarazione apocrifa fosse considerata omessa salvo che il contribuente, ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 del DPR 322/1998 non provvedesse “alla sottoscrizione entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito da parte del competente ufficio dell’Agenzia delle entrate.”

La trasmissione telematica ha risolto innumerevoli problemi di acquisizione ed immissione dei dati dei dichiarativi da parte della Amministrazione Finanziaria, ma anche dei tempi di compilazione e di trasmissione da parte dei professionisti, generando tuttavia una serie di problemi pratici dovuti alla asincronia esistente tra la puntuale e razionale previsione normativa sulla digitalizzazione degli adempimenti dichiarativi e la assenza di norme e, soprattutto, di prassi operative, per la gestione digitale del rapporto tra il professionista/intermediario e il contribuente.

La procedura di studio per i dichiarativi: la guida

La sequenza procedurale si articola nei seguenti passi, scanditi dal comma 6, articolo 3, del D.P.R. 322/1998:

  • Il professionista assume l’impegno alla predisposizione e/o alla trasmissione della dichiarazione, rilasciando al cliente l’impegno a trasmettere in via telematica all’Agenzia delle entrate i dati contenuti nella dichiarazione contestualmente alla ricezione della stessa o dell’assunzione dell’incarico per la sua predisposizione;
  • Il professionista predispone e trasmette la dichiarazione e, entro trenta giorni dal termine previsto per la presentazione in via telematica, rilascia al cliente copia della dichiarazione trasmessa, e copia della comunicazione dell’Agenzia delle entrate di ricezione della dichiarazione.

Le dichiarazioni consegnate al professionista oltre il termine di presentazione, devono essere trasmesse entro un mese dalla data indicata nell’impegno alla trasmissione.

Dopo avere effettuato la trasmissione della dichiarazione ed aver prelevato le ricevute rilasciate dall’Agenzia delle Entrate, il professionista deve procedere alla conservazione delle dichiarazioni trasmesse “anche su supporti informatici”.

Come confermato anche dalla Risoluzione 354/E dell’8 agosto 2008:

  • il professionista/intermediario può conservare, in luogo del modello, il file relativo alla copia di ciascuna dichiarazione inviata, perfettamente coincidente con l’originale consegnato al contribuente e corrispondente nel contenuto al file trasmesso all’Amministrazione finanziaria;
  • le copie conservate su supporto informatico dal soggetto incaricato della trasmissione possono anche non riprodurre la sottoscrizione del contribuente. Inoltre, attesa la natura di documento informatico della copia della dichiarazione creata su supporti informatici, l’obbligo di conservazione può essere assolto nel rispetto delle modalità previste dall’articolo 3 del D.M. 23 gennaio 2004 (adesso DMEF 17 giugno 2014).

Nel momento in cui il professionista consegna al cliente l’impegno alla trasmissione, la copia della dichiarazione trasmessa e della relativa ricevuta rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, il ciclo digitale, per quanto normativamente previsto, si completa, a meno che il professionista, adeguandosi allo spirito del legislatore, non rilasci al cliente l’impegno alla trasmissione e copia della dichiarazione in formato digitale.

Per fare ciò, il professionista deve tuttavia curare aspetti che, sia pure semplici e chiari, richiedono procedure a cui deve essere rivolta la massima attenzione, in relazione alla modalità di consegna dei documenti, della loro sottoscrizione da parte del cliente, e della successiva conservazione. La consegna potrebbe avvenire su un supporto magnetico (CD, DVD, Chiavetta USB, etc.) oppure mediante spedizione per posta elettronica, ovvero, qualora si volesse anche avere la prova della avvenuta consegna, mediante posta elettronica certificata. Il cliente ha l’obbligo di conservare il documento firmato, ed esibirlo in caso di richiesta della Amministrazione Finanziaria, ai sensi del comma 9, ultimo periodo, dell’articolo 3 del D.P.R. 322/1998.

Il cliente può sottoscrivere digitalmente la copia della dichiarazione. Fatto ciò deve però conservare il documento informatico in formato digitale e a norma di legge. Ma nell’ipotesi in cui il cliente fosse sprovvisto di mezzi o conoscenze informatiche particolari, come dovrebbe gestire il documento informatico ricevuto? come dovrebbe firmarlo? come dovrebbe conservarlo? Il rimedio potrebbe consistere nella sottoscrizione del documento con la firma grafometrica, ma in questo caso la firma grafometrica non può essere applicata ad un documento “imbustato” (firmato CAdES, p7m), ma solo ad un documento in cui la firma digitale non ha modificato la struttura del file (PAdES, pdf). Quindi, il professionista non può apporre la firma digitale che utilizza abitualmente, e deve dotarsi di uno specifico software e di un tablet.

Il documento informatico con le firme elettroniche del professionista e del cliente deve essere conservato secondo le regole del C.A.D. e del DMEF 17 giugno 2014. A tal fine il cliente può alternativamente rivolgersi ad un servizio offerto dalle società specializzate nella materia, oppure conferire mandato al professionista per la relativa conservazione. Sarebbe auspicabile che il professionista fosse provvisto di un servizio che permetta al cliente la visualizzazione / estrazione dei documenti mediante accesso al documentale di gestione/conservazione. Spingendosi un po’ avanti con la tecnologia (ma mica tanto…) il servizio del professionista potrebbe consentire la apposizione della firma digitale della dichiarazione anche mediante l’utilizzo di dispositivi mobili, in modo da evitare al cliente di recarsi presso lo studio, agevolando così tra l’altro la successiva conservazione. In questa ultima ipotesi, l’impegno alla trasmissione potrebbe convertirsi in un impegno alla conservazione.

Le criticità e il regime sanzionatorio

Chiariti gli aspetti procedurali, resta tuttavia da comprendere quali siano le sanzioni per le ipotesi in cui gli adempimenti formali – ossia tutti quelli diversi dalla trasmissione della dichiarazione – fossero in tutto o in parte omessi o irregolarmente effettuati. L’analisi è importante perché spesso la non conoscenza del rischio rappresenta un ostacolo insormontabile per coloro che vorrebbero avventurarsi e superare la barriera che impedisce l’avvio della conservazione digitale.

Vi è innanzitutto da considerare che eventuali omissioni negli obblighi che l’intermediario ha assunto col cliente dovrebbero restare contenuti nell’ambito dei rapporti tra professionista/intermediario e cliente, non tra Amministrazione Finanziaria e contribuente e/o intermediario. Vero è che l’intermediario ha sottoscritto una convenzione con l’Agenzia delle Entrate, ma è altrettanto vero che il sistema tributario italiano pone il contribuente come centro di obblighi e responsabilità, oltre che destinatario delle sanzioni, per cui ilo coinvolgimento del professionista/intermediario, come verrà appresso detto, è spesso strumentale.

Il punto centrale di ogni considerazione risiede nella certezza che l’unico originale della dichiarazione è quello in possesso della Amministrazione Finanziaria e che l’articolo 6, comma 4, della Legge 212/2000 prevede che “Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa”. A stretto rigor di logica, la ricevuta di presentazione della dichiarazione dovrebbe solo essere utilizzata nella ipotesi in cui insorgesse contestazione con l’Agenzia delle Entrate riguardo l’avvenuta trasmissione. Se negli archivi dell’Agenzia fosse infatti presente la dichiarazione, la ricevuta servirebbe solo ad indentificare e confermare l’avvenuta trasmissione.

In dichiarazione dei redditi è previsto l’obbligo di indicare la data in cui il professionista ha assunto l’impegno alla trasmissione telematica. Tale formalità appare una contraddizione in termini, posto che con la trasmissione della dichiarazione viene a cessare la utilità – quanto meno nei rapporti con la Amministrazione Finanziaria – del predetto documento.

Suscita amarezza scoprire che le ragioni dell’obbligo sono utilizzate per colpire gli intermediari: spesso la data dell’impegno, anche a causa della concitazione che accompagna il periodo dei dichiarativi, è indicata senza troppa attenzione, e solo perché richiesto dagli applicativi.

E proprio lì scatta la trappola: questa informazione viene utilizzata dalla Amministrazione Finanziaria come pretesto per irrogare sanzioni (sanzione amministrativa da un milione a lire dieci milioni di vecchie lire) in capo ai professionisti / Intermediari qualora le dichiarazioni vengano trasmesse oltre i termini ordinari di presentazione della dichiarazione ai sensi dell’articolo 7-bis del Decreto Legislativo 241/1997. È come se esistesse una presunzione di colpevolezza a carico del professionista, per cui il ritardo nella trasmissione sia imputabile esclusivamente a lui, quando nella pratica accade spesso che sia il cliente a non permettere il tempestivo adempimento perché, ad esempio, non consegna nei termini tutta la documentazione necessaria in maniera completa. È evidente come – quanto meno nelle ipotesi il contribuente abbia sanato la irregolarità ricorrendo al “ravvedimento operoso” – le predette violazioni siano di carattere formale, e la irrogazione delle sanzioni a carico dell’intermediario violi, tra l’altro, i principi costituzionali, consacrati sia dal comma 3 dell’articolo 10 della Legge 212/2000 (Statuto del contribuente), secondo cui “Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione… si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta”, che dall’articolo 6, comma 5-bis della Decreto Legislativo 472/1997 secondo cui “Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”.

La previsione di sanzioni a carico del professionista, oltre ad essere ridondanti con quelle previste a carico del contribuente, dovrebbero essere relegate solo ad ipotesi estreme, che dovrebbero comportare la revoca della convenzione, previa messa in mora. Un atteggiamento collaborativo e non vessatorio sarebbe un doveroso riconoscimento di solidarietà nei confronti della nostra categoria professionale che comunque ha permesso la rivoluzione digitale della Amministrazione Finanziaria.

Completata la trasmissione telematica, il professionista deve consegnare al cliente copia della dichiarazione presentata, assieme alla relativa ricevuta; il contribuente deve sottoscrivere la dichiarazione e conservarla per esibirla a richiesta della Amministrazione Finanziaria. Ma cosa succede se il professionista non consegna la dichiarazione al contribuente? O se il contribuente non la firma? Se gli obblighi sostanziali sono stati assolti non dovrebbe succedere nulla. Infatti, se la dichiarazione è stata regolarmente presentata è stata contestualmente acquisita nel database della amministrazione finanziaria, ragion per cui il contribuente, in ipotesi estreme di irreperibilità dell’intermediario, potrebbe chiederne copia alla Amministrazione Finanziaria. Se la dichiarazione in possesso del contribuente non fosse sottoscritta dovrebbe trovare piena applicazione la sanatoria prevista dal comma 3 dell’articolo 1 D.P.R. 322/1998, quindi l’Amministrazione Finanziaria dovrebbe invitare il contribuente ad adempiere nel termine di 30 giorni dall’invito. Ciò non dovrebbe presentare difficoltà di alcun genere considerato che se il contribuente non ottemperasse all’invito, la dichiarazione sarebbe considerata omessa.

Si potrebbe quindi concludere che, alla luce di quanto sopra detto, non dovrebbero realizzarsi fattispecie generatrici di sanzioni anche nella ipotesi in cui il professionista

  • avendo trasmesso nei termini la dichiarazione, non avesse consegnato la copia e la ricevuta al contribuente il quale, a sua volta, non avrebbe potuto apporre la sua firma;
  • non avesse “conservato” la copia della dichiarazione trasmessa e della relativa ricevuta.

Ovviamente le superiori considerazioni prescindono dagli obblighi, giuridici ed etici, insiti nel rapporto tra professionista e cliente: una corretta gestione documentale impone procedure che consentano l’immediato reperimento, oltre che tracciabilità, degli adempimenti curati e degli output ricevuti, soprattutto per assicurarsi una tutela nei casi di possibili contestazioni, col cliente o con l’Amministrazione Finanziaria.

Un giudizio

La digitalizzazione dei processi e degli adempimenti è un percorso che richiede alcune precauzioni. Le categorie professionali chiamate a rivestire la qualifica di “intermediari”, dottori commercialisti in testa, dovrebbero alzare lo sguardo oltre l’orizzonte tecnico del legislatore, stimolarlo, guidarlo, non frenarne la produzione. Così come l’Amministrazione Finanziaria dovrebbe simmetricamente privilegiare la compliance dei rapporti e non adottare prassi o condotte contrarie sia alle norme che al buon senso. Utopia? spero di no.

Per porre domande a Salvatore De Benedictis sul tema “Fatturazione Elettronica e Conservazione Digitale” è possibile inviare le proprie domande a: esperto@agendadigitale.eu

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