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In Italia più che altrove la digitalizzazione dell’economia è destinata a influenzare in maniera diretta l’occupabilità dei lavoratori maturi. Questo per via delle dinamiche di invecchiamento della forza lavoro, amplificate dagli effetti delle riforme pensionistiche. Un’analisi del fenomeno

Pubblicato il 23 Ott 2018

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La quarta rivoluzione industriale non potrà attecchire senza interessare la quota di lavoratori over 50 che formano ormai una porzione consistente della forza lavoro delle economie avanzate.

I profondi mutamenti che stanno avvenendo nella struttura demografica della popolazione e delle organizzazioni produttive e l’imminente avvicendarsi sul mercato del lavoro di coorti meno numerose rispetto a quelle dei baby boomers rischiano di esporre le imprese italiane, come tutto il sistema economico europeo ad un esteso fenomeno di skills shortage, con la perdita di un vasto patrimonio di conoscenza e di esperienza, in concomitanza con il ritiro di numerosi lavoratori maturi.

Anche se apparentemente questi ultimi non percepiscono un grave disallineamento fra le loro competenze e le richieste delle organizzazioni produttive, i dati denunciano il loro inferiore livello di qualificazione rispetto ai giovani e prefigurano un rischio concreto di obsolescenza, a fronte delle trasformazioni tecnologiche portate dalla cosiddetta quarta rivoluzione industriale (EU-OSHA, Cedefop, Eurofound and EIGE, 2017).

Invecchiamento della popolazione e robotizzazione

Alcuni studiosi (Acemoglu, Restrepo, 2018) osservano che le nazioni e le aziende con tassi di invecchiamento maggiori mostrano già ora un livello di robotizzazione e/o di importazione di tecnologie di automazione più elevato. Su questa base essi ipotizzano che tale sforzo di automazione sia diretto a sopperire ad una relativa mancanza di lavoratori middle aged, appartenenti cioè alle coorti che seguono i cosiddetti lavoratori maturi. Secondo questo punto di vista, il livello di invecchiamento attuale e previsto, prendendo in considerazione il periodo 1990-2025, appare in grado di spiegare il livello di robotizzazione osservabile nei processi produttivi, sia pur in concomitanza con altri fattori, connessi ad esempio con il sistema di regolazione del mercato del lavoro.

La combinazione delle dinamiche demografiche e dell’impatto della digitalizzazione sull’economia potrebbe, a giudizio di alcuni, determinare un aumento delle diseguaglianze di reddito e sociali (Harris, Kimson, Schwedel, 2018). La rapidità e pervasività del processo di digitalizzazione potrebbero infatti favorire una estesa eliminazione di posti di lavoro in specifici profili e settori, con la probabilità che ad essere interessati siano in prevalenza lavori con salari più bassi, Ciò potrebbe favorire l’espulsione di molti lavoratori in poco tempo, con il conseguente aumento del rischio di disoccupazione di lunga durata (Ibidem).

Dinamiche di invecchiamento della forza lavoro in Italia

In Italia le dinamiche di invecchiamento della forza lavoro, originate dall’evoluzione demografica della popolazione, sono state amplificate dagli effetti delle riforme pensionistiche, culminate nella legge Fornero del 2011. In questo quadro, la digitalizzazione dell’economia è probabilmente destinata, da noi più che altrove, ad influenzare in maniera diretta l’occupabilità dei lavoratori maturi.

Ciò si può già intuire dal confronto con gli altri Stati dell’Ue, osservando alcuni indicatori connessi all’invecchiamento e il Digital Intensity score for Enterprises di Eurostat (grafico 1). Tale confronto restituisce l’immagine di un mercato del lavoro che nei prossimi anni potrebbe doversi confrontare con alcune contraddizioni e potenziali conflitti.

Grafico 1 – Indicatore AAI Employment a confront con il Digital Intensity score for Enterprises. Ultimi anni disponibili. (v. %) Fonte: elaborazione dell’autore su dati Eurostat e Active Ageing Index project 

Active Ageing Index e Digital Intensity Score

L’Active Ageing Index è un indicatore complesso sviluppato dall’UNECE nel corso dell’Anno Europeo dell’Invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni 2012, con il contributo dell’Unione europea. L’AAI è costruito a partire da quattro ambiti distinti: lavoro; partecipazione alla vita sociale; vita in autonomia, salute e sicurezza; ambienti abilitanti per l’invecchiamento attivo. I primi tre coprono l’esperienza attuale dell’invecchiamento attivo, a partire dalle attività in cui le persone più anziane sono coinvolte e dal loro grado di autonomia nella vita quotidiana. Il quarto ambito focalizza l’attenzione sulle caratteristiche individuali che possono facilitare o meno un invecchiamento attivo. I quattro ambiti sono costituiti da un set di 22 indicatori, calcolati a partire da: EU Labor Force Survey (EU-LFS), European Quality of Life Survey (EQLS), EU Survey of Income and Living Conditions (EU-SILC), European Health and Life Expectancy Information System (EHLEIS),Eurostat ICT Survey, European Social Survey (ESS).

Il Digital Intensity score si basa sul conteggio di quante delle 12 tecnologie digitali prese a riferimento vengono usate dalle imprese. Il risultato è classificato in quattro categorie di “digital intensity”: molto bassa (0-3 tecnologie); bassa (4-6); alta (7-9); molto alta (10-12).

Facendo un confronto tra L’AAI e il Digital Intensity score per gli anni più recenti (rispettivamente 2018 e 2017), si vede come l’Italia finisca per collocarsi, in entrambi i domini, alle spalle, dei suoi principali partner europei, significativamente lontana ad esempio, sia dalla Germania che, in misura ancora maggiore, dai Paesi del Nord-Europa. Ciò mostra in maniera abbastanza evidente come un elevato tasso di partecipazione della popolazione matura al sistema produttivo non sia necessariamente in contraddizione con la capacità da parte delle imprese di adottare l’innovazione digitale.

Sembra quindi impossibile pensare che la quarta rivoluzione industriale possa attecchire senza interessare la quota di lavoratori over 50 che formano ormai una porzione consistente della forza lavoro delle economie avanzate. Semmai appare invece chiaro come la qualità del capitale umano e l’adozione di misure strategiche di age management a livello organizzativo rappresentino due elementi chiave per rinforzare l’occupabilità di questo gruppo in questa epoca di rapide e profonde trasformazioni tecnologiche.

In Italia, tutto questo avverrà in un mercato del lavoro che, dall’inizio del secolo, ha progressivamente abbandonato il modello young in – old out (Contini, Rapiti, 1999; Checcucci, 2013), in favore del prolungamento della vita lavorativa delle coorti più mature. Una scelta di age management, dettata come sappiamo da esigenze di sostenibilità del pilastro pensionistico pubblico, che però, in assenza di una strategia più orientata allo sviluppo e al rafforzamento dell’occupabilità dei silver workers, si è probabilmente tradotta in una sorta di “blocco” (blocking strategy, Thijssen, Rocco, 2010; Checcucci, 2013) nell’avvicendamento giovani-anziani (Boeri, Garibaldi, Moen, 2016).

Lavoratori maturi, una risorsa per le aziende

Alcuni elementi utili a far luce su queste dinamiche possono venire da una ricerca recentemente realizzata dall’INAPP presso un campione rappresentativo di piccole e medie imprese private non agricole, fra i 10 e i 249 addetti, distribuite su tutto il territorio nazionale (Checcucci, Fefè, Scarpetti, 2017). I risultati della ricerca mostrano che, almeno in questo segmento produttivo, i lavoratori maturi vengono considerati una risorsa per la continuità aziendale, il mantenimento del know how e del core business. Essi vengono rispettati per la loro affidabilità ed esperienza, ma non sembra che vengano chiaramente identificate le loro specifiche esigenze, mentre si evidenzia un loro minore coinvolgimento nelle iniziative formative.

In risposta alla domanda concernente le competenze da sviluppare nella prospettiva di un allungamento della vita lavorativa degli individui (grafico 2), il punto di vista imprenditoriale conferiva immediata priorità al consolidamento delle competenze specialistiche della forza lavoro matura, in coerenza con l’aspettativa ad essa rivolta di essere garante delle continuità del know how aziendale e di essere garanzia di affidabilità, in qualunque situazione.

Le competenze da sviluppare

Grafico 2 – Competenze da sviluppare nella prospettiva di un allungamento della vita lavorativa (v.%) Fonte: INAPP, 2014.

Accanto a questo, però, sembrava emergere la consapevolezza della necessità di introdurre e/o rafforzare le skills connesse alle ICT, unitamente a quelle comunicative, di management e marketing, nonché in minor misura alle competenze trasversali (problem-solving, team working ecc.), ritenute molto utili per favorire l’adattamento ai nuovi processi di lavoro (Bechichi, Jamet, Kenedi, Minea, 2017). Infine scarsa attenzione veniva conferita alle basic skills, il cui livello deficitario in Italia era stato nello stesso periodo messo in luce dall’indagine PIAAC (Ibidem).

Questo sembrerebbe confermare che Paesi come l’Italia, che mostrano di avere una forza lavoro mediamente piuttosto specializzata, potrebbero risultare meno pronti alla digitalizzazione, dato che i loro lavoratori possiederebbero in minor misura le skills cognitive, comunicative, di management, marketing e STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), più utili per adattarsi flessibilmente ai cambiamenti, eventualmente rafforzate dalle skills trasversali, quali pensiero critico e creativo, problem-solving, capacità decisionale e comportamento collaborativo (Ibidem).

Appare quindi quanto mai urgente che la ricerca approfondisca ulteriormente le scelte strategiche relative all’adozione delle nuove tecnologie, analizzandole in relazione alla concreta struttura demografica delle organizzazioni e valutando il peso di quest’ultima in sede di programmazione del cambiamento. In secondo luogo va ricostruito il percorso di trasformazione del processo produttivo, identificando all’interno delle funzioni coinvolte l’impatto atteso sui sistemi di competenze, sulle mansioni e ruoli ricoperti dai lavoratori maturi, descrivendo inoltre le scelte formative e la considerazione assegnata alle specifiche caratteristiche cognitive degli older workers. Infine, appare necessario comprendere come le varie strategie nazionali e regionali (Piano Impresa 4.0, SMART Specialization Strategy ecc.) stiano tenendo conto anche della necessità di operare per il prolungamento della vita lavorativa degli individui e per il restringimento del differenziale di genere nella partecipazione al mercato del lavoro.

______________________________________________

Bibliografia

Acemoglu Daron, Restrepo Pascual (2018), Demographics and Automation, NBER Working Paper No. 24421, March.

Bechichi Nagui, Jamet Stéphanie, Kenedi Gustave, Minea Andreea (2017), Digitalisation: an opportunity for workers to develop their skills?, OECD.

Boeri Tito, Garibaldi Pietro, Moen Espen (2016), A clash of generations? Increase in Retirement Age and Labor Demand for Youth, WorkINPS Papers, n. 1, luglio.

Checcucci Pietro (2013), Actively ageing: Italian policy perspectives in light of the new programming period of ESF, Intervention to the 2013 Demography Forum, Brussels, May 6th and 7th.

Checcucci Pietro, Fefè Roberta, Scarpetti Giuliana, (a cura di), (2017), Età e invecchiamento della forza lavoro nelle piccole e medie imprese italiane, FSE, INAPP, INAPP, Roma.

Contini Bruno, Rapiti Fabio M. (1999), “Young in, old out” revisited: New patterns of employment replacement in the Italian economy, International Review of Applied Economics 13(3), pp. 395-415.

EU-OSHA, Cedefop, Eurofound and EIGE (2017), Joint report on Towards age-friendly work in Europe: a life-course perspective on work and ageing from EU Agencies, Publications Office of the European Union, Luxembourg.

Harris Karen, Kimson Austin, Schwedel Andrew (2018), Labor 2030: the Collision of Demographics, Automation and Inequality, Bain & Company, Inc.

Thijssen Johannes, Rocco Tonette (2010), Development of older workers: revisiting policies, in: European Centre for the Development of Vocational Training (Ed), Working and ageing – Emerging theories and empirical perspectives, Publications Office of the European Union, Luxembourg, pp. 13-27.

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