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Chatbot all’università, ecco gli utilizzi in Italia

L’utilizzo di chatbot da parte delle Università, per fornire informazioni utili durante la fase di immatricolazione e non solo. I vantaggi e i casi d’uso

Pubblicato il 25 Apr 2019

Federico Giacanelli

product designer Cineca

chatbot

I chatbot i fanno strada all’università, anche in Italia.

  • Una soluzione tecnologica accessibile 24/7;
  • capace di dare risposte in tempo reale;
  • fornire ai futuri studenti universitari tutte le informazioni più adatte alle loro esigenze su corsi, procedure, normative;
  • e in grado, allo stesso tempo, di alleggerire l’eccesso di lavoro che si riversa sugli addetti dell’help desk e costituito da risposte ripetitive;
  • permettendo loro di occuparsi di casi più complicati che necessitano di una risposta personalizzata o di un contatto diretto.

L’Intelligenza Artificiale viene in aiuto, per questi scopi, nella forma di un chatbot, un’interfaccia conversazionale intelligente, sempre disponibile e capace di comprendere domande poste in linguaggio naturale.

Una soluzione che risulta sicuramente più idonea alle abitudini di interazione di un pubblico di utenti abituato a stare con gli occhi su piattaforme di Istant Messaging come Facebook Messenger, WhatsApp, Telegram, o Skype più spesso che sul web. Approfondiamone i vantaggi e i diversi ambiti applicativi.

Iscrizione all’Università: tutte le risposte che servono (e dove trovarle)

Durante il periodo delle immatricolazioni all’università i futuri studenti vanno a caccia di informazioni: oltre a consultare il portale di ateneo e scaricare le guide dello studente in PDF, si rivolgono anche ai colleghi già iscritti o agli amici, fino ad approdare ai numeri di telefono delle segreterie o ai loro indirizzi e-mail.

Si può trattare di richieste di merito (cosa imparo in un dato corso) oppure di metodo (come devo fare per) o relative a procedure o condizioni e sbarramenti imposti dalla normativa universitaria (regole per i test di accesso, agevolazioni per reddito, etc.).

Le informazioni ci sono online, sono scritte bene e per esteso, sono organizzate in forma logica e sono corredate da liste di domande più frequenti, le cosiddette FAQ, collocate nel punto più adatto dell’albero dell’informazione del Portale. Eppure, i destinatari di queste informazioni finiscono sempre più per non leggerle per intero e preferire una richiesta diretta una conversazione con una persona esperta dall’altra parte dello sportello virtuale.

Il “conforto” di una richiesta diretta

La richiesta di informazioni costituisce una sorta di “conforto” per una situazione complicata, un caso particolare non coperto dall’esposizione della normativa sulla guida dello studente, un punto di vista personale o semplicemente la conferma di aver fatto tutto bene.

Il bisogno di sicurezza di un’utenza abituata all’utilizzo prevalente dei social media e delle piattaforme di istant messaging per il reperimento delle informazioni e per le interazioni con gli altri porta a scartare la via canonica della lettura di testi estesi per scegliere quella della conversazione. Il percorso attuale fra la domanda dello studente e la risposta definitiva può essere tortuoso: passa da diversi punti di contatto (portale di ateneo, portali di dipartimento, pagine social di ateneo, help desk, …) e può lasciare nello studente la sensazione di avere un set di informazioni parziali nella moltitudine di informazioni disponibili, un senso di disorientamento, di mancanza di una risposta in tempo reale.

Il risultato sono dei periodi di picco per gli uffici di help desk delle segreterie che possono arrivare fino a 500 messaggi al giorno, molti dei quali chiedono di situazioni simili tra loro o informazioni di base sulla vita universitaria che potrebbero essere reperite facilmente sul portale.

In questo scenario è utile una soluzione tecnologica, uno strumento accessibile 24/7, capace di dare risposte in tempo reale che, oltre a fornire una risposta risolutiva a tutte le domande più frequenti, sia in grado di indirizzare l’utente verso la risposta più adatta non è un sogno avveniristico. Non stiamo parlando di soluzioni avveniristiche e fantascientifiche, ma di chatbot.

Cos’è un chatbot e perché migliora l’interazione studente-università

I chatbot in generale sono software progettati per simulare una conversazione con un essere umano. Il loro funzionamento può essere algoritmico, cioè seguire un insieme anche ampio di regole rigide e parole chiave per guidare l’utente all’interno di un menu ad albero. Molti di questi semplici chatbot sono disponibili ad esempio su Facebook Messenger, per veicolare informazioni e notizie a richiesta, eseguire ricerche o semplici comandi, chiedere le previsioni del tempo, seguire voli aerei.

La conversazione in linguaggio naturale ha tuttavia una potenzialità maggiore, perché tende a gratificare l’utente con l’illusione (consapevole) di parlare con un assistente virtuale: l’utente tende a interpretare come conversazione quanto scrive un chatbot, anche sapendo che ha di fronte un algoritmo molto semplice. Questa predisposizione alla conversazione può migliorare l’interazione dell’utente umano con i sistemi e può produrre, se ben congegnata, maggiore engagement e quindi migliore fruizione delle informazioni veicolate dalle interfacce conversazionali, rispetto all’utilizzo di FAQ e menu.

Non stiamo dicendo che le informazioni pubblicate sui portali siano scritte male, tutt’altro! Stiamo dicendo che risulta più naturale chiedere ad un chatbot “A che ora apre la biblioteca” oppure “Quando riceve il prof. Rossi di Fisica 1” rispetto a navigare due o tre livelli di menu di un portale (Strutture > Biblioteche oppure Personale > Docenti > Insegnamenti) per poi approdare a lunghe liste di informazioni oppure usare una casella di ricerca che deve essere interrogata con una query tradizionale.

Questo tipo di interazione risulta più naturale e in linea con le abitudini di utenti che sempre più spesso si rapportano con assistenti virtuali come Siri, Google Assistant, Cortana, pronti a rispondere alle domande poste in linguaggio naturale al microfono dei propri smartphone. Senza contare che a casa propria conversano con smart speakers come Amazon Alexa, Google Home o Apple HomePod.

Come funziona un chatbot

La comprensione del linguaggio naturale, come tutte le soluzioni di intelligenza artificiale e machine learning si basa sull’allenamento del sistema ottenuto mediante il caricamento di un training set di domande-tipo che rispecchiano le domande che verranno realmente poste dagli utenti in forma libera. Questo implica la raccolta di ogni possibile input utile da parte dell’utenza potenziale (chat con operatori umani, email, ricerche sul portale, interviste) per individuare gli intent, le intenzioni alla base della domanda formulata. “A che ora apre la biblioteca?”, “È aperta oggi la biblioteca?”, “Quali sono gli orari di apertura della biblioteca” equivalgono all’intenzione di sapere gli “orari della biblioteca”.

La raccolta di questi dati, insieme a quella di vocabolari specifici (ad esempio i nomi delle diverse biblioteche di ateneo) comporta una quantità di lavoro considerevole e implica la restrizione del campo di azione del chatbot a un ambito ben definito composto dalle domande poste più di frequente da parte degli utenti. Per le domande meno frequenti il chatbot potrà dirigere l’utente su una knowledge base che deve essere individuata, caricata e mantenuta nel sistema.

Il chatbot perciò non può, allo stato attuale, sostituire la grande mole di informazioni già presenti nei sistemi e portali di ateneo ma deve limitarsi a diventare un canale privilegiato, un “fornitore di scorciatoie” verso tutti quegli atomi di informazione che sono maggiormente ricercati e che, se altrimenti richiesti per le vie usuali, intaserebbero l’help desk.

Le scorciatoie dei chatbot

Le scorciatoie dei chatbot sono sia materiali sia mentali: saltare i pochi clic (o tap) di distanza fra l’utente e l’informazione cercata ponendo domande in linguaggio naturale con diverse formulazioni, permette di abbattere una barriera mentale, il cognitive load, che diversamente premierebbe la pigrizia facendo rinunciare l’utente a ottenere l’informazione sul canale istituzionale e spingendolo piuttosto ad aprire un ticket.

L’analisi dei log della chat, passaggio fondamentale per il miglioramento continuo del livello di comprensione del chatbot, insieme alla sentiment analysis, permette inoltre di catturare informazioni ulteriori sul comportamento dell’utente, che si sente “libero” di conversare con un agente virtuale. Le frasi non capite dal bot ma catturate dai log possono contenere messaggi per l’università, feedback e, talvolta, richieste d’aiuto che altrimenti non sarebbero mai giunte all’attenzione dell’ateneo, anche in presenza di un comune modulo di feedback/contatti.

Il lavoro di progettazione, training e monitoraggio di un chatbot diventa una sfida, un momento di analisi a più mani su come l’ateneo vuole interagire con i suoi utenti. È un lavoro condurre in stretta sinergia fra chi, come Cineca, costruisce la parte tecnologica ma è anche esperto di dominio, e il principale esperto di dominio, cioè l’ateneo stesso.

I casi d’uso dei chatbot all’università, oltre l’immatricolazione

Il caso d’uso dello studente immatricolando o neo immatricolato, è solo il punto di partenza. Un chatbot che risponde alle domande più frequenti in un certo ambito: “Come mi prenoto per un esame?”, “Come faccio a richiedere certificato”, “Non posso venire a ritirare un certificato” trova maggiore utilità quando viene connesso non solo a una knowledge base statica ma a servizi dinamici come quelli per gli appelli di esame o altre informazioni legate all’identità e alla carriera dello studente.

Ecco che, risolto il problema di autenticare lo studente con le credenziali di ateneo e connettersi in maniera integrata al gestionale che ne conosce lo stato di carriera, un chatbot sarà in grado di fornire i prossimi appelli di un dato esame (“Puoi fornirmi la lista degli appelli del corso di management”?), confermare l’avvenuta registrazione di un voto sul libretto elettronico (“È stato registrato il mio voto di Analisi Matematica 2”?) e spiegare i passi successivi da fare nel percorso universitario.

Un bot che conosca l’identità dello studente diventa un primo esempio di nudge technology, tecnologia proattiva che notifica sua sponte lo studente del suo stato all’interno di un certo processo (gli ultimi esami dati, ad esempio) prima che lo studente gli faccia domande, ma che rimanga a disposizione per ulteriori domande di approfondimento o di conferma su altri stati di quel dato processo.

Un bot di questo tipo, un assistente virtuale legato ad un processo di ateneo come la prenotazione esami o il conseguimento titolo, si presta molto bene a risolvere il problema della restrizione di ambito delle domande. La fase di training si lega all’analisi del processo e l’impegno necessario a individuare e selezionare le domande di allenamento del chatbot viene proficuamente impiegato nella copertura degli stati di avanzamento del processo di ateneo e alla produzione di domande informative di contorno.

Delimitando le aspettative dell’utente-studente all’interno di un perimetro ben definito e dichiarato al momento dell’onboarding, la prima interazione, quella in cui il chatbot si presenta e dichiara cosa sa fare, aiuta a preservare l’utilità del chatbot stesso evitando che l’illusione consapevole si dissolva per eccesso di aspettative. Sapere di poter chiedere all’assistente “Il mio relatore mi ha confermato il titolo della tesi”? oppure “Cosa devo fare per laurearmi” dovrebbe risparmiare all’utente la delusione di chiedere invano gli ultimi risultati di calcio o farsi raccontare una barzelletta.

Un canale informativo complementare

Una buona conversazione nasce non solo dalla qualità della progettazione del dialogo ma anche dalla bontà dell’integrazione con il sistema informativo che alimenta il chatbot con i dati strutturati relativi allo studente e al processo in cui si trova (titolo della tesi, relatore, capitoli parziali caricati, domanda di laurea presentata, date di scadenza), nonché con il resto dell’infrastruttura di ateneo. Un assistente virtuale non deve sostituire tutte le funzioni e le informazioni di dettaglio che possono dare gli altri strumenti (non ha senso gestire tutti i passi di un iter di ateneo presenti nelle maschere del gestionale con una conversazione, ad esempio); un chatbot deve diventare un canale informativo complementare agli altri strumenti, perfettamente integrato, in maniera invisibile, con il sito che lo ospita o, se erogato su una piattaforma di chat, perfettamente coerente con le informazioni presenti sulle pagine del portale.

L’insieme di domande censite per il chatbot, specialmente se gestito con uno strumento condiviso di redazione per diversi atenei, può infine diventare un vero e proprio corpus di “intelligenza universitaria” che, insieme all’insieme degli schemi di processo di ateneo, formi un sapere comune da mettere a disposizione di tutte le Università. Autenticazione in Single Sign On, embedding, monitoraggio e gestione delle domande e risposte da parte della redazione di ateneo devono essere parte integrante della soluzione chatbot: l’Intelligenza Artificiale, da sola, non basta.

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