INNOVAZIONE SOCIALE DIGITALE

Agopuntura Digitale Urbana: dati ubiqui, sfera pubblica e governance ecosistemica

Con l’Agopuntura Digitale la città è interpretata sotto forma di flussi, relazioni e informazioni, proprio come un organismo vivente. Il caso di Human Ecosystems Relazioni, promosso dal Comune di Bologna

Pubblicato il 22 Feb 2017

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Alla recente Digital Social Innovation Fair ha debuttato HER – Human Ecosystems Relazioni, iniziativa del comune di Bologna per reinterpratare la città come organismo vivente. Sotto forma di flussi, relazioni e informazioni.

Neonata, ma con una storia alle spalle, quella di Human Ecosystems, progetto che dal 2013 ci vede impegnati nell’osservare la mutazione dello spazio pubblico contemporaneo.

Anni in cui, collaborando con centri di ricerca, università, festival internazionali, istituzioni culturali e tante città nel mondo – le tecnologie e le metodologie che andavamo sperimentando, da prototipi sono diventate strategie

Il progetto

Come trasformare edifici, territori e intere città in “generatori di dati”?

Come trasformare i dati in cultura?

Come renderli parte dello spazio pubblico, riducendo l’asimmetria di potere fra grandi gestori di piattaforme e utenti (cittadini, ma anche pubbliche amministrazioni, università, imprese, società civile organizzata)?

Il progetto si evolve spinto dalla necessità di rispondere a queste domande

Il primo passo è l’infrastruttura tecnologica, progettata per catturare e analizzare sorgenti di dati (quali social network, sensori, device IoT etc…), elaborarli (attraverso tecniche quali machine learning, analisi di linguaggio naturale, network analysis, emotional analysis, georeferenziazione, topic discovery etc…), e visualizzarli, mantenendo alta l’attenzione al tema della multiculturalità: l’analisi avviene attualmente in 29 lingue, un tentativo per avvicinarsi alla complessità culturale di ogni città contemporanea.

Il secondo passo è la creazione di una sorgente opendata, che include le API e il pieno accesso ai parametri della ricerca. Si tratta di un passaggio fondativo per affermare, anche dal punto di vista formale, la dimensione pubblica dei dati e la possibilità di criticare, modificare e appropriarsi della loro interpretazione. I nuovi opendata sono inoltre di un tipo particolare: ai livelli infrastrutturali (ad esempio i consumi energetici e così via), demografico/statistici, burocratici e di servizio, si aggiungono le microstorie, quelle generate per lo più inconsapevolmente dalle persone. Ad esempio, una foto delle nostre vacanze dà informazioni sul reddito, i gusti, le mete turistiche, le cerchie di amici e così via. Da un gesto semplice e assolutamente ingenuo, si estraggono enormi quantità di informazioni e conoscenza che restano opache e inaccessibili a chi le produce, a beneficio dei pochi che le posseggono (gli operatori) o che possono acquistarle (grandi player di mercato): attualmente non ci sono politiche in grado di indirizzare questa vastissima questione, resa sempre più urgente dal mercato IoT in espansione.

Il terzo passo è l’RTCM, il Museo in Tempo Reale della Città, il luogo dell’immaginario in cui i dati si incarnano nello spazio urbano. In mostra è la vita in tempo reale della città, con le sue comunità, i flussi, le conversazioni e le relazioni dei suoi abitati rappresentati attraverso visualizzazioni ad alto impatto estetico che descrivono mappe tematiche, grafi sociali, timeline. È qui che le persone possono combinare temi, emozioni, linguaggi per “fare domande alla città”:

“Chi ha paura di perdere il lavoro in spagnolo?”
“Chi è felice della propria scuola?”
“Chi prova ansia per il cambiamento climatico in inglese?”

L’RTCM ospita processi formativi costanti e un laboratorio, grazie a cui i cittadini imparano a usare i dati:

  • I cittadini possono imparare a capire di più sulla loro città, o su come organizzarsi intorno ai propri temi di interesse (dalla pulizia di un parco, a un processo decisionale condiviso, a una campagna di crowd­funding per un’azione civica e quanto altro);
  • i bambini possono apprendere e usare nuovi strumenti per scoprire la loro città, trovando altri bambini con cui creare progetti scolastici sul proprio quartiere, con il coordinamento degli insegnanti;
  • i nonni possono familiarizzare con le nuove tecnologie e incontrare i propri nipoti, stabilendo dialoghi tranbs-generazionali;
  • Studenti e ricercatori possono accedere e usare la nuova sorgente di dati per le loro ricerche nei campi più disparati: l’antropologia, la sociologia, la linguistica, la psicologia, l’urbanistica, il design, l’ecologia, l’economia e altro;
  • gli artisti possono creare nuove opere basate sulle emozioni, i temi, le relazioni della città;
  • i designer e gli imprenditori possono creare nuovi concept, prodotti, servizi di utilità sociale ad alto potenziale di innovazione;
  • gli amministratori pubblici possono monitorare temi sensibili in città (come la mobilità, la sicurezza, la salute, l’ambiente, l’istruzione), imparare e usare nuovi strumenti per capire come coinvolgere le comunità e diverse culture in azioni partecipative di decision making a policy shaping, favorendo e coordinando l’emergere di modelli organizzativi peer­to­peer per affrontare temi complessi quali mobilità, energia, ambiente, riciclaggio, educazione, salute, benessere, socialità, e altro ancora.

Si chiude il ciclo di trasformazione dei dati: catturati, processati, visualizzati e inseriti nello spazio urbano, da risorsa accessibile possono diventare cultura per generare nuovi comportamenti, nuove opportunità, nuovi modelli di business.

Il rientro in Italia

Nel 2015 il progetto torna in Italia con una importante sperimentazione promossa dal Comune di Bologna e patrocinata dell’ANCI. HUB – Human Ecosystems Bologna affianca le politiche di collaborazione del Comune, “Collaborare è Bologna” :

  • per un anno il sistema osserva e analizza le espressioni pubbliche sui principali social network (Facebook, Twitter Instagram) sul tema “collaborazione in città”;
  • per tre mesi, una mostra presso lo Urban Center della Sala Borse ospita una versione temporanea dell’RTCM;
  • il Comune efettua il primo rilascio di opendata , generando un precedente importante e unico nel suo genere;
  • un report analitico in italiano e inglese viene diffuso, presentato e discusso in contesti multi-stakeholder cittadini, con particolare riferimento agli attori della collaborazione: il report viene incluso da Robert Madelin, allora direttore della DG Connect, fra le fonti del volume “Opportunity Now: Europe’s mission to innovate

A dicembre del 2016 Human Ecosystems torna formalmente in Italia, ampliandosi in HER – Human Ecosystems Relazioni, istituto di ricerca con sede a Roma, in Via dei Rutoli, nel cuore dello storico quartiere di S. Lorenzo.

L’Agopuntura Digitale Urbana alla Digital Social Innovation Fair: la metodologia

Sempre nel 2016 esce DUA – Digital Urban Acupuncture, primo volume pubblicato da Springer International, dedicato alla metodologia e supportato da una serie di casi di studio realizzati dal 2013 – con le interviste a Gilles Clement, Carlo Ratti, Massimo Canevacci, Luigi Capucci, Massimo Casagrande.

La Digital Social Innovation Fair è la prima occasione internazionale di presentare il libro e la metodologia, nel panel “Redesign Research”, che ripercorriamo brevemente insieme.

In Human Ecosystems la città è interpretata sotto forma di flussi, relazioni e informazioni, proprio come un organismo vivente. Servendosi di metodologie quali la netnografia e l’antropologia ubiqua, le tracce digitali lasciate da attori umani (e non) vengono analizzate con gli strumenti descritti sopra per comprendere la vita di questo complesso organismo, in particolare:

  • i modi in cui si formano gruppi e comunità;
  • ii ruoli che gli attori assumono (hub, influencer, bridges…);
  • i modi in cui informazioni, opinioni, conoscenza, emozioni fluiscono all’interno a attraverso le comunità;
  • la loro trasformazione nel tempo, nello spazio e attraverso i temi;
  • i modi in cui si interconnettono e disconnettono.

In questo processo, proprio come nell’agopuntura tradizionale, è possibile individuare interventi puntuali, anche minimi, volti a genere effetti sull”intero ecosistema.

Immaginate ad esempio che il vostro obiettivo sia promuovere una politica culturale. Osservando l’ecosistema potrei accorgermi dell’esistenza di nuovi operatori culturali non codificati (influencer che spostano i consumi di cinema, teatro, spettacoli, o “ponti” che connettono connettono comunità differenti e così via): come entrarci in contatto? come creare le condizioni per un coordinamento diffuso? E’ il caso che abbiamo studiato osservando l’ecosistema culturale a Roma dove sono stati identificati oltre 7.000 operatori affiancati da un vastissimo strato operatori non formalizzati, che fanno musica, arti e attività culturali in una estrema varietà di forme, usando i dati e le visualizzazioni in vasti eventi multi-stakeholder organizzati dal I Municipio.

Oppure immaginate di dover fronteggiare la crisi idrica di una metropoli di 15milioni di abitanti. Che emozioni esprimono le persone? Come si comportano?Chi si attiva e come? Come coordinarsi? E’ questo il caso di S. Paulo, dove nuovi mestieri, pratiche collaborative (come la lavatrice e i pranzi di condominio), pratiche illegali (come how-to per riconoscere e usare speciali tombini destinati alle riserve d’acqua per gli ospedali, perfettamente documentati), storie d’amore, opere artistiche e poetiche sono emerse dall’osservazione realizzata nel 2014. Vedi ad esempio questo video.

Immaginiamo ora che questi dati/informazioni/conoscenza siano a disposizione dei policy maker e dei cittadini:

  • il policy maker acquisisce nuovi strumenti che lo trasformano in esperto dell’ecosistema. La sua più grande competenza è quella di conoscere i network relazionali e facilitare il flusso di informazioni fra i nodi, sapendo dove e chi connettere per ottenere il massimo risultato con il minimo impiego di risorse,
  • i cittadini si trovano in una situazione speculare: anche loro possono osservarsi, comprendere i loro network organizzarsi, supportati e facilitati dal decisore pubblico, nel ruolo di “piattaforma abilitante”.

Un nuovo modello di governance ecosistemica fondata sulle (ormai relativamente) nuove possibilità di descrivere il reale, offerte dalle tecnologie digitali.

Conclusioni

Concludiamo con alcune riflessioni sul progetto e sulla metodologia, che beneficiano del confronto avvenuto alla Digital Social Innovation Fair, e un piccolo ringraziamento ad Antonella Passani e a tutto il team di T-6 per il lavoro svolto:

  • Human Ecosystems configura un modello di smart city in cui i “sensori” sono i cittadini, con le loro relazioni, le discussioni, la capacità di creare luoghi e spazi abitandoli;
  • Il progetto indirizza la riappropriazione dello spazio pubblico digitale, attualmente di dominio quasi esclusivo dei grandi gestori di piattaforme: il ruolo delle città – e più estesamente del pubblico – è in questo momento cruciale;
  • gli opendata sono una infrastruttura necessaria, ma da soli non bastano a innescare processi si trasformazione sociale, economica e culturale. Per farlo è necessario dotarsi di strumenti in grado di stimolare l’immaginario, come l’arte, la comunicazione, il design concepiti come catalizzatori dell’innovazione: vanno in questa direzione programmi europei quali STARTs – ICT and the Arts https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/ict-art-starts-platform;
  • in Human Ecosystems la ricerca esce dalla separazione del laboratorio per diventare ricerca partecipante: il suo laboratorio è la città intera, in cui tutti allo stesso tempo possono osservare ed essere osservati. Se fin dalla nascita della fotografia l’etnografia ha “messo in mano” alle persone (letteralmente) le tecnologie come consentendo loro di auto-rappresentarsi (e rompendo per sempre la dicotomia osservatore/osservato, soggetto/oggetto e rimettendo in questione ), questo passaggio riguarda ora la presenza dati, degli algoritmi e delle tecnologie ubique di rete: sulle scelte che faremo in questi ambiti – rispondendo come ricercatori, amministratori pubblici, cittadini e imprese a domande come “a chi appartengono i dati che produciamo con ogni gesto quotidiano”? – dipendono le configurazioni delle nostre città quanto dei diritti fondamentali delle persone per come li abbiamo finora concepiti.

Non è infine un caso che un progetto come Human Ecosystems sia nato in Italia (e più in generale in Europa). Le nostre città sono organismi intelligenti dalla storia millenaria: senza la profonda concezione di spazio pubblico e di “piazza” (agorà) che le caratterizza molti dei concetti qui espressi probabilmente non esisterebbero.

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