internazionalizzazione

PMI, reti d’impresa e altre strategie per esportare meglio

L’internazionalizzazione è ormai una scelta obbligata per le PMI italiane. Ecco come prepararsi nel modo migliore, cosa sono i contratti di rete e perché rappresentano uno strumento importante per massimizzare i vantaggi del processo di export

Pubblicato il 26 Giu 2018

Stefano Toro

avvocato d'affari, consulente e startupper

pmi e globalizzazione

Sebbene la fase acuta della crisi sembri ormai alle spalle, le aziende sono sempre alla ricerca di strumenti idonei per recuperare competitività, nell’ambito del mercato sempre più globalizzato, sfruttando le proprie caratteristiche distintive.

Come noto l’Italia è composta principalmente di PMI, portatrici di eccellenza, in diversi settori, ma poco strutturate per competere in mercati internazionali.

Limiti e vantaggi delle PMI

Le caratteristiche delle PMI (imprese familiari, poco strutturate e sottocapitalizzate) rappresentano sia un limite (poca propensione agli investimenti in innovazione, struttura patrimoniale piccola per supportare la crescita sia nel mercato interno che in quello internazionale), sia un vantaggio (ad esempio perché si è più flessibili, è più facile adattare la struttura produttiva alle nuove esigenze del mercato, perché le scelte sono più rapide etc.).

Fino a quando il mercato italiano era sufficiente a sé stesso, nel senso che le PMI potevano vivere e prosperare vendendo i loro prodotti e servizi principalmente in Italia, non ci è mai posti il problema di vendere in altri mercati.

Pertanto fino a non molti anni fa le imprese italiane non guardavano ad altri mercati: limiti culturali (ad esempio la poca conoscenza dell’inglese), limiti strutturali (le PMI non hanno un’organizzazione adatta a gestire una domanda estera) hanno sempre fatto da freno.

Le criticità portate dalla globalizzazione

Con la globalizzazione le PMI si sono trovate di fronte ad uno scenario completamente diverso, con problematiche, prima di poca importanza, improvvisamente diventate cruciali non solo per la crescita dell’azienda, ma a volte per la stessa sopravvivenza dell’impresa stessa.

  • Riduzione del mercato potenziale, per l’arrivo di competitor stranieri;
  • Innovazioni tecnologiche e di business model, con conseguente ingresso di nuovi operatori sul mercato;

Le imprese italiane (e le PMI in particolare) si sono rese conto che, da un lato il mercato italiano è diventato sempre più piccolo (per effetto della crisi) e sempre più affollato (per l’ingresso di nuovi concorrenti, soprattutto stranieri); dall’altro che – per alimentare la domanda dei loro prodotti – esse devono guardare anche ad altri mercati.

Internazionalizzazione, una scelta obbligata per le PMI

L’internazionalizzazione, quindi, non è più un lusso che solo le grandi imprese si possono permettere, ma è una necessità per tutti, sia per combattere la crisi che per crescere.

Ma cosa si deve intendere per internazionalizzazione?

Nella percezione comune essa corrisponde alla possibilità di vendere i propri prodotti o servizi in altri paesi: in realtà si tratta di un vero e proprio processo, il cui risultato (ovvero l’esito sperato) è l’acquisizione di quote di mercato in un paese straniero attraverso la vendita continuativa dei propri prodotti.

Non è possibile, quindi, ridurre il processo di cui sopra alla partecipazione a fiere di settore e al lavoro di agenti di vendita, focalizzati sull’estero.

Occorre invece considerare l’internazionalizzazione una scelta strategica, che ha un forte impatto sui processi interni, sulla struttura organizzativa e sulla strategia complessiva dell’impresa.

Come prepararsi all’internazionalizzazione

Da un lato, quindi, occorre effettuare una analisi preliminare per valutare:

  • in quale paese esportare, sulla base della domanda di mercato per i propri beni;
  • quale sarà il posizionamento dei propri prodotti rispetto ai competitor;
  • quali canali di vendita utilizzare.

Dall’altro occorre tenere presente l’Impatto dell’internazionalizzazione sulla struttura aziendale, ad esempio con riferimento a:

  • problemi linguistici;
  • magazzino e logistica
  • organizzazione produttiva
  • struttura finanziaria

È evidente, infatti, che lo scopo dell’internazionalizzazione non è raggiungibile attraverso azioni sporadiche e non coordinate (quali ad esempio la partecipazione più o meno periodica a fiere internazionali), ma solo attraverso un processo strutturato di medio lungo periodo.

Una strategia per step

A questo punto apparirà chiaro che se l’esportazione è un processo complesso, che non può essere improvvisato, esso richiede competenze specifiche: ma è possibile avviare tale processo in modo graduale?

Anche se è facile immaginare che per le PMI il budget da dedicare all’export non sia ingente, è opportuno affrontare tale investimento in modo strutturato, procedendo per step inseriti all’interno di un progetto più ampio che comprenda:

  • L’analisi preliminare/strategica sul perché e sul dove esportare (quali prodotti per quali paesi, politiche di pricing, attività di marketing etc.)
  • Il piano strategico sul come esportare, per adottare le modifiche organizzative in azienda e per pianificare le attività sul mercato (missioni commerciali, branding, fiere, contatti commerciali etc.), sia

È opportuno tener presente che, affinché l’investimento sia proficuo, occorre dotarsi di una presenza stabile (anche attraverso propri rappresentanti) nel paese straniero:

  • sia per ottenere feedback dal mercato ed adattare le proprie politiche di marketing e di vendita;
  • sia per valutare, nel breve e medio periodo, i risultati in termini di costi e benefici del processo;
  • sia per mantenere il controllo della rete commerciale.

Caso per caso si potrà valutare se affidarsi ad un professionista esterno (i cosiddetti Temporary Export Manager, il cui costo può essere in parte finanziato attraverso i voucher concessi dal Ministero dello Sviluppo Economico), oppure se formare una risorsa interna all’azienda (che si occuperà stabilmente di tale attività).

Contratto di rete, cos’è e quali sono i vantaggi

Se è vero che l’unione fa la forza, allora anche nell’export è utile tenere in considerazione l’utilità dello strumento (ormai consolidato, essendo stato introdotto nel 2009, con la Legge 9 aprile 2009, n. 33 (art. 3, commi 4 ter, 4 quater e 4 quinquies) e modificato con la Legge 17 dicembre 2012, n. 221) del contratto di rete.

Tale strumento è una forma di aggregazione più leggera rispetto alla costituzione di una società e più organica e flessibile rispetto alle associazioni temporanee di imprese e ai consorzi.

Il contratto di rete ha lo scopo di “accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”, attraverso le seguenti modalità:

  1. collaborazione industriale (collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese)
  2. scambio informazioni o prestazioni (di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica)
  3. esercizio in comune di una o più attività

Nel contratto di rete le imprese mantengono la loro autonomia e uniscono le risorse e le competenze per raggiungere uno scopo comune (delineato nel progetto di rete).

Per tali motivi il contratto di rete ben si presta ad essere utilizzato per progetti di internazionalizzazione, nei quali più imprese, produttrici di beni e servizi tra di loro complementari, possono affrontare in modo strutturato le attività già descritte.

Il contratto consente di ridurre i costi del progetto, che può prevedere la creazione di un’immagine coordinata e di un marchio comune, e di sfruttare economie di scala derivanti dalle risorse, materiali ed immateriali, delle singole imprese che ne fanno parte.

Per tali motivi il contratto di rete deve considerarsi un ottimo strumento per la realizzazione di processi di internazionalizzazione.

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