Le persone che svolgono professioni in cui la propria prestazione presenta un carattere intellettuale di gran lunga superiore a quello “fisico”, durante la giornata lavorativa, sono interrotte mediamente ogni quattro minuti.
Le statistiche indicano che, in media, si trascorre un giorno e mezzo ogni settimana fra riunioni, videochiamate, ecc… Questo comporta una perdita di tempo e spinge le persone a cercare di adottare una modalità multitasking, almeno due volte ogni ora, per tenere il passo con il ritmo del lavoro.
Non siamo fatti per essere multitasking: ecco il costo dell’economia dell’attenzione
Un quadro sugli effetti negativi dell’economia dell’attenzione
Ovviamente tutto questo non ha senso, e soprattutto, è piuttosto costoso per le aziende. Vera Starker del think tank “Next Work Innovation”, grazie ad uno studio che ha condotto assieme al proprio staff, ha saputo quantificare questi costi. Non solo, grazie a questo studio ha saputo individuare alcune possibili soluzioni per ridurre questi costi e migliorare il benessere digitale dei lavoratori.
La psicologa Vera Starker ha valutato in questo studio i danni causati dall’uso degli strumenti digitali e dei relativi metodi di lavoro che richiedono l’uso di questi ultimi sui lavoratori di Siemens, un’azienda con 303.000 dipendenti in tutto il mondo, e sui dipendenti di 25 altre grandi aziende tedesche appartenenti a settori differenti.
Se è vero che il tessuto imprenditoriale tedesco differisce da quello italiano, è altrettanto vero che i modelli organizzativi e gli stili di vita degli europei sono molto simili. Questo ha determinato che lo studio della dottoressa Starker divenisse subito un prezioso quadro sullo stato degli effetti negativi dell’economia dell’attenzione in Europa.
Il risultato emerso dallo studio è incredibile. Ogni anno si perdono 58 miliardi di euro perché le persone sono continuamente interrotte nel loro flusso di lavoro.
Il gruppo di ricerca di Vera Starker ha calcolato che ogni lavoratore e lavoratrice subisce un’interruzione ogni 4 minuti (circa 15 interruzioni per ogni ora lavorata).
Lo studio ha anche determinato che per essere in grado di concentrarsi di nuovo su un compito che si stava svolgendo prima di un’interruzione, una persona ha bisogno dal 15% al 24% di tempo in più rispetto al tempo che è stato necessario per concentrarsi quando si è iniziato quel compito.
Tenendo in considerazione anche solo il valore più basso, il 15%, possiamo determinare che ogni lavoratore ed ogni lavoratrice passa in media tre interi giorni lavorativi al mese per recuperare la concentrazione dopo un’interruzione.
Lo studio è stato focalizzato nel cercare di capire cosa avviene nel cervello sia quando la distrazione è dovuta da un fattore esterno che da un fattore interno. La gran parte degli studi condotti fino ad oggi, hanno valutato gli impulsi esterni (messaggi, telefonate o una persona che richiede attenzione) che distolgono l’attenzione dal compito che si svolge, ma non sugli impulsi interni che ci spingono a distrarci.
Più il lavoro è digitale più è frammentata l’attenzione
Lo studio ha messo in evidenza per la prima volta, attraverso un approccio empirico, che maggiore è il grado di digitalizzazione del lavoro e maggiore è la frammentazione dell’attenzione, e di conseguenza maggiore è lo stress che ne deriva.
Questa conclusione ha confermato l’ipotesi di partenza. Spesso le aziende introducono nuovi strumenti digitali partendo dal presupposto di rendere il lavoro efficiente, senza però valutare l’impatto degli stessi strumenti digitali sull’organizzazione del lavoro.
Si continuano ad adottare nuove soluzioni digitali volte a risolvere i problemi generati dagli stessi strumenti digitali. Applicazioni come Slack, ad esempio, sono introdotte per fermare il flusso di e-mail. Ma il risultato è solo un ulteriore aumento dei messaggi da gestire, ovviamente senza essere riusciti a ridurre il flusso delle e-mail.
Ai partecipanti allo studio è stato chiesto di tenere un diario del proprio lavoro quotidiano: il fattore più frequente di interruzione è dato dalle e-mail. In media le e-mail sono la causa di 3,3 interruzioni ogni ora.
Le e-mail sono spinte al secondo posto fra i fattori di distrazione là dove sono introdotti i servizi di chat e/o le app per la gestione ed il monitoraggio dei progetti.
Non tutte le interruzioni sono colpa del lavoro, purtroppo non è solo la notifica di una e-mail che ci distrae. Potrebbe essere una notifica dello smartphone, una notifica dai social media, un veicolo che passa in strada, o il pensiero di bere l’ennesimo caffè della giornata.
Le abitudini che incidono sulla produttività
Lo studio ha rilevato che i partecipanti hanno sbloccato i loro telefoni 56 volte al giorno e li hanno guardati 88 volte. Per lavoro? No! Prevalentemente il motivo era legato al fatto di usare i social media e controllare le notifiche. Lo studio raccomanda, infatti, di lasciare il telefono lontano dalla scrivania.
Le persone che svolgono professioni intellettuali possono essere bandite dagli smartphone sul posto di lavoro come un bambino di quinta elementare? No ovviamente.
Non è possibile. Tanto quanto non è fattibile dire ad un dipendente di andare a fare una passeggiata per rilassarsi senza telefono durante la pausa pranzo, anche se questo è un comportamento che si è dimostrato essere molto rilassante per il cervello, piuttosto che con un panino in una mano e lo smartphone nell’altra. Tuttavia, un confronto su questi temi può creare una maggiore consapevolezza sulle abitudini di una persona, che possono incidere notevolmente sulla riduzione della creatività e della produttività.
Se lo smartphone deve essere costantemente sbloccato perché si ricevono messaggi di lavoro, anche i messaggi privati e le notifiche social saranno, ovviamente, visualizzati naturalmente. Ci vuole sforzo per ignorarli. Questo consuma energia che manca di concentrazione.
Una domanda che lo studio si è posta è la seguente: la frammentazione dell’attenzione è aumentata drammaticamente con la pandemia?
Solo in parte. Qualcosa, infatti, è cambiato: la fonte della distruzione. Abbiamo un aumento del 148% delle riunioni online, come misurato dallo studio di Microsoft Trends intitolato Large Scale Analysis of Multitasking Behavior During Remote Meetings.
Secondo questo studio è emerso come molte persone tendono a spegnere la telecamera durante le riunioni e a cercare di continuare a fare il proprio lavoro mentre ascoltano la riunione. Ma come emerge dallo studio di Microsoft, questa modalità multitasking ci rallenta, ci rende improduttivi e produce risultati mediocri.
Perché continuano a verificarsi le interruzioni
Secondo lo studio, uno dei principali fattori che contribuiscono a questo problema è che i luoghi di lavoro spesso mancano di processi e strutture di comunicazione chiari, il che porta le persone ad avere aspettative poco chiare.
Molte cose che sono state ritenute utili in termini di misurazione delle prestazioni, oggi, sono concetti obsoleti. Cose che portano, in effetti, al presentismo digitale: straordinari, partecipazione ad ogni riunione e posticipazione delle ferie.
Milioni di persone a causa dalla pandemia sono state costrette a lavorare da casa. In mancanza di soluzioni davvero ottimizzate e di una cultura del lavoro agile, non hanno affatto vissuto questa esperienza in modo positivo. In tantissimi casi le persone hanno visto esaurirsi velocemente le proprie risorse cognitive.
Un approccio sbagliato al tema del lavoro agile
Il tema del lavoro agile, infatti, spesso è stato approcciato in modo scorretto. Quando si valuta il lavoro agile come opzione ci si deve chiedere di cosa hanno bisogno le persone, cosa serve loro per essere creative e performanti, sia dal punto di vista degli strumenti, sia dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente in cui si lavora da casa.
Tutti vogliono lavorare da casa? No, perché la persona che lavora da casa è spesso una persona estroversa a cui piace avere il “controllo” di ciò che fa. Una persona che ama prendere decisioni in modo autonomo e sentire un certo grado di libertà. Questo vale per un 20% dei lavoratori e delle lavoratrici. Una percentuale molto più alta, dal 30% al 40%, è costituita da persone introverse, e in alcuni ambiti professionali queste percentuali sono ancora più alte.
Secondo lo studio “Next Work Innovation”, i metodi che le aziende adottano per misure le prestazioni delle persone sono obsoleti: numero di ore di straordinario, numero di presenze alle riunioni in presenza e on-line, rinuncia a giorni di ferie e di permesso.
Al contrario, si dovrebbe premiare una cultura che vede un collaboratore o una collaboratrice che finisce un lavoro in 4 ore, ma che per questo non veda ridotto il numero delle proprie ore giornaliere. Lo studio mostra come sia importante una cultura volta al raggiungimento dei risultati.
La persona ha portato il risultato che doveva portare, in modo che tutti gli altri possano continuare a lavorare e il risultato complessivo è quello voluto? Se la risposta è sì non si dovrebbe valutare altro. Invece si continua a misurare ridicolmente la produttività del lavoro intellettuale in giornate di otto ore e si sponsorizzano lezione di yoga o attività simili in modo che la salute fisica non ne risenta. Questi sono solo cerotti per i sintomi del problema.
Ridurre i costi dell’economia dell’attenzione con la metacognizione: cosa possono fare le aziende
Individuare le cause dietro i sintomi
Come si arriva alle cause dietro i sintomi?
Lo studio ha fatto emergere un elemento davvero interessante. Molte persone che hanno partecipato allo studio hanno detto che ciò che fanno gli piace davvero, ma è il come lo devono fare che non gli piace. Ecco perché la cultura dell’azienda dovrebbe evolvere verso una cultura che permetta ai dipendenti e alle dipendenti di lavorare come vorrebbero (ovviamente entro limiti e regole chiare).
Da dove viene questa contraddizione?
I progetti sono spesso non allineati con gli obiettivi dell’azienda e organizzati verticalmente senza connessione con gli altri. Le vendite fanno una cosa, il reparto risorse umane ne fa un’altra, gli sviluppatori fanno qualcosa di altro.
Quando chiedo ai dipendenti di un’azienda dove sono i punti deboli, la risposta più comune che ottengo è che tutti vogliono essere lasciati di svolgere il proprio lavoro in pace. Non voglio correre da una riunione all’altra ed essere sempre in ritardo. Non vogliono essere interrotti, o distolti dal lavoro per via dell’ennesima urgenza “per ieri”.
Di cosa ha bisogno il cervello per funzionare al meglio
Dobbiamo portare più conoscenza nelle aziende su cosa ha realmente bisogno il cervello per dare il meglio di sé. È lo strumento di lavoro più importante che abbiamo e dobbiamo saperlo usare al meglio.
Un manager deve essere in grado di criticare quando qualcuno non fa le pause e criticare quando qualcuno fa costantemente gli straordinari. Deve anche impedire il multitasking, semplicemente perché sa che questo consuma solo energia, ma non ne crea di nuova.
Che dire di quelle belle idee creative ed innovative che ci vengono quando facciamo la nostra corsa mattutina o quando “stacchiamo la spina”? Non è un gran bel risultato?
Tutti odiano le riunioni video ma queste vengono fatte lo stesso. La mia ipotesi è che le riunioni servano anche come mezzo per organizzare la giornata, sostituendo l’auto-organizzazione. Com’è piacevole che la giornata sia strutturata con dieci inviti a riunioni. Questa è esattamente la sfida del nuovo modo di concepire il lavoro: richiede di assumersi la responsabilità di sé stessi e di essere capaci di organizzare la propria giornata in modo tale da poter essere efficaci, di essere consapevoli degli strumenti digitali, così che da ottenere da questi il massimo e non esserne, invece, distratti.
La digitalizzazione può aiutare in questo?
Moltissimo. Gli strumenti digitali, utilizzati in modo mirato, fanno compiere enormi passi in avanti. Non solo nella comunicazione e nel trasferimento delle conoscenze ma anche nel rendere l’organizzazione del lavoro più efficiente ed efficace. Tutti i processi che possono essere automatizzati, perché ripetitivi, devono essere affidati agli strumenti digitali.
Questo è un bene per il nostro cervello e la nostra mente, che non amano affatto ciò che è ripetitivo e noioso. Una delle condizioni che rende ancora più suscettibili alle distrazioni, cioè alle interruzioni.
La digitalizzazione delle attività ripetitive consente di risparmiare energia per compiti che richiedono concentrazione e creatività. Se riusciamo in questo obiettivo il cervello rilascia dopamina e di conseguenza concludiamo la nostra giornata lavorativa con uno stato di soddisfazione.
I lavoratori e le lavoratrici che oggi si spostano fra casa e ufficio sono lontani anni luce da questa condizione.
Riunioni, riunioni, riunioni. Ma serviranno?
Chi svolge una professione intellettuale trascorre un giorno e mezzo lavorativo della propria settimana lavorativa in riunioni online, in presenza, in confronti con colleghi e superiori. È così che nasce il costo esorbitantemente alto che le aziende pagano per processi digitalizzati inefficienti, secondo lo studio: altri 56 miliardi di euro vengono persi perché più di un incontro su tre è considerato inutile dai partecipanti.
Quante volte ci si domanda quando è produttiva una riunione? Soprattutto se svolta online?
La riunione è efficace se ha un ordine del giorno, così che i partecipanti possano prepararsi e se la scaletta della riunione è rispettata rigorosamente.
Chiediamoci: una riunione è rilevante per il lavoro? L’occasione e il contenuto sono importanti? Ha rilevanza? Si può svolgere il lavoro altrettanto bene senza la riunione?
Il 35% delle persone ritiene che la gran parte delle volte le riunioni non hanno una vera rilevanza.
Quello condotto dalla dottoressa Vera Starker non è l’unico studio. Ci sono altri due studi interessanti da tenere in considerazione. Uno mostra una correlazione tra l’efficienza delle riunioni e il successo aziendale (https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/1046496411429599). Ciò significa che le riunioni “produttive” ripagano. Un altro studio evidenza come sia importante che nel corso della giornata le riunioni siano svolte in precisi momenti. Come, ad esempio, nella tarda mattinata prima della pausa pranzo (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36289421/), così da ridurre le possibilità che le persone adottino un comportamento “multitasking” durante la riunione. Permettere di sfruttare le ore “migliori” per eseguire i compiti che richiedono le maggiori risorse cognitive permette di affrontare la riunione in modo più rilassato. In oltre l’incombere della pausa pranzo si trasforma in un buon deterrente per evitare che le riunioni si prolunghino eccessivamente.
Coloro che possono lavorare consapevolmente due ore al mattino in pace e tranquillità passeranno la giornata in un modo completamente diverso. Il livello dell’ormone dello stress e del cortisolo nel sangue diminuisce in modo sensibile. Tuttavia, il prerequisito è che l’azienda crei le condizioni per questo tipo di concentrazione. Durante questo periodo, ogni dipendente dovrebbe essere in grado di dedicarsi alle attività senza interruzioni. Non è necessario leggere e rispondere a nuove mail.
In molte aziende, l’accessibilità ai dispositivi digitali è parte del lavoro, e quindi la distrazione è spesso parte integrante del lavoro.
Come gestire le continue distrazioni
Come gestire questa condizione?
Concentrarsi rigorosamente sul come vanno utilizzati i canali di comunicazione interni ed esterni all’azienda è fondamentale. Le questioni urgenti devono passare attraverso un solo canale (telefono? chat?). Un argomento è importante ma non è urgente? Magari va veicolato tramite e-mail, una riunione è utile? O conviene adottare brevi e veloci confronti? E così via…
La maggior parte delle aziende ha regole per e-mail, Trello, Slack, Asana, WhatsApp e così via. Ma non funzionano se le regole non le rispettano tutti e tutte (incluse le persone che hanno il compito di dirigere l’azienda).
Questo accade fin troppo spesso perché siamo presi dall’illusione di dover correre e fare sempre più cose nel minor tempo possibile, senza renderci conto che questo comporta solo svantaggi.
In poche parole, fare una cosa per volta, attraverso un’organizzazione volta a rendere le persone autonome nella gestione del lavoro e attraverso una cultura consapevole dell’impatto degli strumenti digitali è l’unica via per garantire all’azienda “lunga vita e prosperità”.