la mossa contro nvidia

La grande muraglia del silicio: così la Cina scuote il mercato chip AI



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La Cina ha vietato l’acquisto di chip Nvidia. Si intensifica la guerra tecnologica con gli Stati Uniti. Questa mossa mira a ridurre la dipendenza da fornitori esteri e a spingere l’industria nazionale. Vediamo le implicazioni: economiche, geopolitiche, con il rischio di una “biforcazione” in due ecosistemi separati per i chip e l’AI

Pubblicato il 26 set 2025

Gabriele Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio

Nicola Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio



modelli AI llm cinesi

La Cina ha vietato l’acquisto di chip Nvidia. Così intensifica la guerra tecnologica con gli Stati Uniti.

Questa mossa mira a ridurre la dipendenza da fornitori esteri e a spingere l’industria nazionale, e al tempo stesso è una scommessa a rischio elevato. Le implicazioni vanno oltre l’economia, influenzando la geopolitica e il futuro dell’industria globale dei semiconduttori, con il rischio di una “biforcazione” in due ecosistemi separati.

La Cina blocca Nvidia

Da tutti i punti di vista, la recente e perentoria decisione della Cina di vietare l’acquisto di chip AI di Nvidia, in particolare del modello RTX Pro 6000D, segna una decisa escalation nella “guerra dei chip” tra Pechino e Washington.

L’ordine, emesso dalla Cyberspace Administration of China (CAC), non è solo una reazione alle sanzioni statunitensi, ma una mossa strategica che impone una profonda riflessione su tre fronti interconnessi: geoeconomia, geopolitica e tecnica. La posta in gioco è altissima, poiché questa decisione non solo ridisegna il mercato globale dei chip, ma accelera il rischio di una “biforcazione” dell’industria tecnologica in due ecosistemi separati. La Cina, sfidando l’egemonia di Nvidia e del suo ecosistema software CUDA, scommette sull’autarchia tecnologica e sul potenziale dei suoi produttori nazionali, in una mossa che determinerà il futuro equilibrio di potere globale. La mossa di Pechino non è solo una reazione, ma un’affermazione di forza e una dichiarazione di intenti nel quadro di una competizione tecnologica senza precedenti.

Il vaso di Pandora geoeconomico: l’impatto su Nvidia e la spinta all’autarchia cinese

La scossa sui mercati è stata immediata e profonda. Le azioni di Nvidia, il cui valore si è impennato grazie al boom dell’intelligenza artificiale, hanno registrato un calo significativo del 1,5% nelle contrattazioni pre-mercato dopo l’annuncio. Questo perché la Cina non è un mercato qualsiasi: rappresenta circa il 13% delle vendite globali di Nvidia, rendendola uno dei territori esteri più redditizi per l’azienda. Perdere un mercato così vasto e dinamico è un colpo durissimo che impone una profonda ricalibrazione delle strategie commerciali. In precedenza, Nvidia aveva speso ingenti risorse nello sviluppo di varianti “downgradate” dei suoi chip, come l’RTX Pro 6000D e l’H20, specificamente progettate per rispettare i limiti imposti dalle normative statunitensi. Questa strategia ibrida, che mirava a mantenere un piede nel lucrativo mercato cinese, è ora a un punto di svolta.

Il divieto cinese non è un semplice atto di ritorsione, ma una mossa proattiva che Pechino ha studiato attentamente. Il vero obiettivo è l’autarchia tecnologica, ovvero la riduzione della dipendenza da fornitori stranieri, in particolare americani. Le autorità di regolamentazione cinesi hanno motivato la loro decisione sostenendo che i chip prodotti in patria hanno ormai raggiunto, e in alcuni casi superato, le prestazioni dei modelli Nvidia che erano consentiti per l’esportazione. Questo rappresenta un segnale inequivocabile alle aziende cinesi: l’innovazione interna è la priorità assoluta. Colossi come Huawei (con i suoi chip Ascend) e Cambricon sono ora in prima linea per riempire il vuoto lasciato da Nvidia, con l’ambizioso piano di triplicare la produzione di chip AI entro il 2026. La Cina sta di fatto creando un mercato captive per i suoi produttori nazionali, una mossa che, sebbene rischiosa a breve termine, potrebbe accelerare in modo esponenziale il loro sviluppo e la loro scalabilità, alimentati dalla vastissima domanda interna.

L’operazione è un’ingegneria di mercato su scala globale, finalizzata a reindirizzare miliardi di dollari verso le industrie nazionali. Per Nvidia, le perdite non si limitano al mancato profitto immediato, ma includono anche la possibile perdita di future quote di mercato e l’incentivo per i clienti cinesi a investire in ecosistemi concorrenti. La mossa rafforza l’impegno di Pechino nel perseguire il “Made in China 2025” e altre politiche di sviluppo tecnologico, rendendo la competizione tra le due potenze sempre più un gioco a somma zero. Ulteriori segnali di questa strategia provengono dall’apertura di un’indagine da parte della China Association of Automobile Manufacturers su quelle che definisce politiche commerciali discriminatorie degli Stati Uniti nel settore automobilistico, dimostrando che l’offensiva di Pechino si estende su più fronti.

Cina e chip AI, le tappe e le tensioni geopolitiche: un braccio di ferro per la sovranità

Il conflitto sui semiconduttori è un capitolo centrale nella più ampia rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Cina. Le recenti azioni di Pechino non possono essere comprese senza fare riferimento alle provocazioni percepite da parte di Washington. In particolare, una dichiarazione del segretario al commercio statunitense Howard Lutnick, che ha affermato che gli Stati Uniti non stavano vendendo alla Cina “nemmeno la nostra terza migliore roba”, ha innescato una reazione furiosa a Pechino. Questo commento, considerato “offensivo” dai funzionari cinesi, ha fornito la giustificazione perfetta per intensificare gli sforzi per bloccare l’acquisto dei chip. La politicizzazione delle tecnologie è evidente: i chip non sono più solo componenti commerciali, ma strumenti di potere, sicurezza nazionale e influenza globale.

La mossa cinese è una forma di leva negoziale, un chiaro avvertimento che la continua pressione statunitense avrà conseguenze anche per le aziende americane. Il fatto che Pechino abbia citato preoccupazioni per “backdoor e spyware” nei prodotti Nvidia, sebbene smentite con forza dall’azienda, dimostra come la narrazione della sicurezza nazionale sia usata da entrambe le parti per giustificare misure protezionistiche. La decisione di Pechino è una risposta diretta alle sanzioni americane e un tentativo di riaffermare la propria sovranità tecnologica in un contesto globale sempre più frammentato. Il caso dei chip H20, che erano stati prima vietati, poi temporaneamente autorizzati e ora nuovamente bloccati, esemplifica l’instabilità di questa relazione e la complessità di navigare tra normative mutevoli e pressioni politiche. Inoltre, la Cina ha avviato indagini antitrust contro Nvidia, apparentemente basate su presunte violazioni risalenti al 2020, un’ulteriore mossa che appare tanto tecnica quanto politicamente calcolata per mettere pressione sul colosso americano. La tempistica di queste azioni coincide con i colloqui commerciali tra le due nazioni, rafforzando l’idea che la Cina stia usando l’industria dei chip come un’arma diplomatica.

A complicare ulteriormente la situazione, proposte legislative come il “rolling technical threshold” avanzato dal rappresentante John Moolenaar (R-MI) mirano a limitare la vendita di chip a un “miglioramento marginale” rispetto alle capacità domestiche cinesi, una soglia che probabilmente escluderebbe chip più avanzati come il futuro B30A di Nvidia. Questa pressione interna a Washington, unita alla reazione di Pechino, crea un circolo vizioso di restrizioni e contromosse che rendono il mercato sempre più imprevedibile.

La sfida tecnica: i chip nazionali cinesi sono pronti per la grande svolta?

Il nocciolo tecnico della questione riguarda la capacità reale dei chip cinesi di competere con le controparti americane. Storicamente, le aziende cinesi hanno faticato a eguagliare la potenza e l’efficienza dei chip di fascia alta di Nvidia per compiti complessi come il training di modelli AI. Tuttavia, il recente divieto si basa sull’idea che questa lacuna si sia ridotta in modo significativo, almeno per quanto riguarda le versioni “diluite” dei chip di Nvidia che erano consentite per l’esportazione. L’RTX Pro 6000D, ad esempio, è un chip basato sull’ultima architettura Blackwell di Nvidia, ma con una larghezza di banda di memoria di GB/s, appena al di sotto della soglia di 1,4 TB/s stabilita dalle normative statunitensi. Questo lo rende meno potente dei chip Nvidia di punta, ma comunque superiore a molti concorrenti cinesi di prima generazione.

Tuttavia, report da incontri tra regolatori cinesi e produttori domestici indicano che questi ultimi, con chip come l’Ascend 910 di Huawei e le GPU di Cambricon, hanno dimostrato di aver raggiunto le capacità dei chip di fascia bassa di Nvidia. L’attenzione si sta spostando dai chip di training a quelli di inferenza, che rappresentano la maggior parte della domanda di AI. Pechino sembra credere di poter soddisfare questo segmento del mercato internamente già dal prossimo anno, riducendo drasticamente la dipendenza da Nvidia.

Un’altra componente tecnica cruciale è la dipendenza dall’architettura software di Nvidia, in particolare la piattaforma CUDA. Questo ecosistema ha dominato il settore dell’AI, rendendo difficile per i concorrenti guadagnare terreno. La strategia cinese non si limita a produrre chip fisici, ma si concentra sulla creazione di un ecosistema hardware-software interamente domestico, con l’obiettivo di superare la dipendenza da CUDA. Questo potrebbe accelerare lo sviluppo di piattaforme software alternative, favorendo l’emergere di un ecosistema parallelo e indipendente. La scommessa è che il progresso tecnologico interno, unito alla vastissima domanda del mercato cinese, permetterà di superare le sfide di scalabilità e compatibilità in un arco di tempo relativamente breve. La mossa sui chip di inferenza è particolarmente indicativa: Pechino crede di poter soddisfare questo segmento del mercato internamente già dal prossimo anno. Il colosso cinese Alibaba, per esempio, ha già annunciato i propri chip AI, i Pingtouge PPU, che secondo le agenzie di stampa cinesi sono competitivi con l’H20 e l’A80 di Nvidia. Questa non è solo una sfida hardware, ma un’enorme scommessa ingegneristica e di ecosistema, con l’obiettivo finale di creare una “catena di approvvigionamento del silicio” che sia impermeabile alle pressioni esterne.

Il vantaggio strategico: la Cina impara dai modelli occidentali di sviluppo dei talenti

Il “dual-use” dei semiconduttori, cruciali sia per il settore commerciale che per la difesa militare, è una dinamica che Pechino ha riconosciuto pienamente come una vulnerabilità strategica. L’azione della Cina non si esaurisce nella sola sfera commerciale e geopolitica, ma si estende alla pianificazione a lungo termine per la costruzione di un’industria nazionale autosufficiente. Un recente studio dell’Accademia Cinese delle Scienze rivela un piano meticoloso che va oltre la semplice produzione di chip: si concentra sullo sviluppo di una forza lavoro qualificata. Pechino sta attingendo a piene mani dall’esperienza di Paesi occidentali leader del settore per colmare il proprio divario di manodopera e competenze.

Lo studio analizza tre modelli internazionali di successo, che la Cina intende replicare e adattare:

  • Il modello ASML (Paesi Bassi). Definito come una partnership “uno a uno”, questo modello si basa su una stretta collaborazione tra un’unica azienda leader e un’università locale. . L’esempio specifico è quello tra ASML e l’Università di Tecnologia di Eindhoven, dove ASML fornisce finanziamenti, know-how e persino attrezzature per garantire che la ricerca e la formazione dei talenti siano direttamente allineate con le esigenze dell’azienda. La Cina vede questo modello come un modo per coltivare specialisti di alto livello, dedicati a specifiche tecnologie di punta.
  • Il modello IMEC (Belgio). Descritto come un approccio “uno a molti”, questo modello è guidato da un istituto di ricerca centrale che aggrega una vasta rete di partner industriali e universitari. . L’Interuniversity Microelectronics Centre (IMEC) funge da polo di innovazione, fornendo infrastrutture e progetti a oltre 100 dottorandi all’anno. Il governo belga, inoltre, impone a IMEC di destinare una quota dei suoi fondi alla collaborazione con università regionali. Per la Cina, questo modello è un’opportunità per centralizzare la ricerca e la formazione, creando un ecosistema collaborativo che beneficia l’intera industria.
  • Il modello NSTC (Stati Uniti). Questo è l’approccio “molti a molti”, un vasto consorzio pubblico-privato con una strategia nazionale. . Il National Semiconductor Technology Center (NSTC), finanziato con 5 miliardi di dollari, riunisce aziende, università e agenzie governative. La Cina osserva come l’NSTC utilizzi sovvenzioni per finanziare programmi universitari allineati con le necessità del settore. Questo modello offre a Pechino un’idea di come coordinare gli sforzi a livello nazionale per accelerare l’innovazione e superare gli ostacoli posti dalle restrizioni estere.

Lo studio cinese, pur concentrandosi sullo sviluppo dei talenti, svela la consapevolezza che la lotta per i semiconduttori non si vince solo con la produzione, ma con la creazione di un intero ecosistema autonomo e competitivo. La strategia è di costruire una “catena di approvvigionamento del silicio” impermeabile alle pressioni esterne, e la formazione dei talenti è il primo, fondamentale passo.

Cina contro Nvidia, implicazioni di una scelta audace: il futuro del mercato globale

La decisione di Pechino rappresenta una scommessa ad altissimo rischio. Se da un lato l’ambizioso piano di autarchia dovesse avere successo, la Cina potrebbe emergere come una superpotenza tecnologica realmente indipendente, in grado di dettare i propri standard e le proprie regole a livello globale, spingendo a sua volta l’innovazione in Occidente. Tuttavia, il percorso è costellato di ostacoli. La creazione di un ecosistema software alternativo a quello dominante di Nvidia (CUDA) è un’impresa titanica che richiede ingenti investimenti e un’integrazione complessa tra hardware e software. Nonostante i progressi, il divario nella litografia avanzata rimane una sfida critica, data la dipendenza della Cina da apparecchiature straniere, come quelle fornite da ASML.

Questa mossa accelera anche il rischio di una “biforcazione” del mercato globale, dividendo l’industria tecnologica in due ecosistemi distinti e non comunicanti: uno occidentale e uno cinese. . Tale frammentazione rallenterebbe inevitabilmente il progresso complessivo dell’intelligenza artificiale, aumenterebbe i costi di ricerca e sviluppo e creerebbe una complessità inedita per le aziende multinazionali che si troverebbero a dover operare in due mondi tecnologici separati.

La reazione di Nvidia e la posizione di aziende come ByteDance e Alibaba, che pur avendo alternative interne restano legate ai chip americani per i carichi di lavoro più complessi, dimostrano la difficoltà di questo cambiamento. La partita è aperta e il suo esito determinerà non solo il destino di aziende come Nvidia e Huawei, ma anche la futura architettura del potere globale, in cui il controllo del silicio sarà il mattone fondamentale per l’egemonia tecnologica ed economica. Il dibattito è lungi dall’essere concluso, e i prossimi mesi saranno cruciali per capire se la “grande scommessa” della Cina pagherà i dividendi sperati o se si scontrerà con ostacoli tecnici e di mercato insormontabili, dimostrando che l’indipendenza totale nel settore dei semiconduttori è, per ora, un obiettivo irraggiungibile.

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