Approvata nel 2023 ed entrata in vigore nel dicembre 2024, la legge concorrenza doveva essere la norma capace di mobilitare le risorse della previdenza verso l’economia dell’innovazione: doveva essere una svolta copernicana per il sistema venture italiano, ancora asfittico. E’ stato proprio il ruolo di quei fondi a fare decollare il venture capital americano, infatti, dagli anni ’80.
Ma la misura introdotta con la legge concorrenza del 2023 si è arenata tra interpretazioni divergenti, riferimenti europei troppo stringenti e un sistema del venture capital ancora fragile. Così non ha trovato mai piena applicazione.
Di qui la necessità di una svolta attuativa reale. Ora in arrivo.
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Venture e fondi pensione, cosa cambierà dal 2026
Per beneficiare dell’esenzione fiscale sui redditi finanziari, casse e fondi pensione già ora sarebbero obbligati a destinare una quota dei propri investimenti a fondi di venture capital. Tuttavia la legge della concorrenza ha fatto riferimento a una definizione di venture capital diversa da quella usata dal mercato.
Il riferimento, introdotto per semplificare i rapporti con Bruxelles sugli aiuti di Stato, ha finito per restringere eccessivamente la platea dei fondi eleggibili, escludendo gran parte dei veicoli italiani, compresi quelli gestiti da CDP Venture Capital.
Il governo, attraverso un’istruttoria congiunta del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e del Ministero dell’Economia, sta lavorando a un emendamento a una legge ancora da individuare (forse la Legge di Bilancio) per correggere la definizione di fondo di venture capital e superare il vincolo al regolamento UE 651/2015 (GBER).
La nuova formulazione dovrebbe eliminare il collegamento diretto al GBER, consentendo di includere un ventaglio più ampio di fondi operanti a condizioni di mercato.
In parallelo, la partenza del nuovo regime slitterà di un anno: le soglie minime di investimento obbligatorio (3% nel 2025, 5% nel 2026, 10% dal 2027) saranno ricalibrate con avvio effettivo dal 2026.
Le definizioni che la nuova norma intende superare
Nel quadro normativo attuale convivono due definizioni operative di fondo di venture capital.
- La prima è quella contenuta nel decreto del 27 giugno 2019, relativo al Fondo di sostegno al venture capital, che identifica i fondi come soggetti che investono in PMI innovative in regime di esenzione ai sensi del GBER.
- La seconda, più ampia, consente investimenti “a condizioni di mercato”, anche quando i requisiti GBER non sono rispettati.
Il nuovo intervento mira a unificare queste due logiche in una definizione unica, capace di includere anche operatori nazionali e internazionali che agiscono su criteri di mercato, ma con finalità di sviluppo tecnologico e industriale. Una semplificazione necessaria per attrarre nuovi capitali e superare un impianto normativo che ha frenato più che stimolato gli investimenti.
Un potenziale effetto leva da 2 miliardi l’anno dai fondi pensione
Dietro quella che può sembrare una correzione tecnica, si nasconde un cambio di passo politico e strategico. Il governo stima che la misura possa generare fino a 2 miliardi di euro aggiuntivi l’anno a beneficio del venture capital italiano, oggi ancora in una fase di maturazione. In Italia operano circa 80 fondi attivi, contro i 140 della Francia, con un asset under management medio di 60 milioni di euro (meno della metà dei valori francesi e tedeschi).
L’obiettivo non è solo quantitativo: creare una base di investitori istituzionali stabile, capace di sostenere le fasi di crescita delle imprese innovative, favorendo la nascita di filiere tecnologiche e la crescita industriale nel medio periodo.
Venture e fondi pensione: i problemi da superare
Il nuovo schema dovrà comunque passare al vaglio della Commissione europea, poiché la rimozione del riferimento al GBER comporterà una notifica preventiva. Se l’autorizzazione dovesse tardare, la norma rischierebbe un ulteriore slittamento. C’è poi un tema di capacità interna: per molti fondi pensione e casse di previdenza la gestione di asset ad alto rischio richiede competenze e governance diverse rispetto a quelle tradizionali.
Senza un rafforzamento delle competenze e un allineamento tra politiche pubbliche e strategia industriale, la norma rischia di restare un tentativo incompiuto. Ma se applicata con visione, può finalmente aprire al Paese una stagione di crescita basata sull’innovazione finanziata anche dalla previdenza privata.
In sintesi, che succede dal 2026
Dal 2026 l’Italia potrebbe finalmente disporre di un quadro più chiaro e competitivo per il venture capital, con la previdenza complementare chiamata a svolgere un ruolo di attore attivo nello sviluppo industriale.
Una norma che nasce per correggere errori tecnici, ma che potrebbe diventare la chiave di un riequilibrio strutturale del nostro ecosistema dell’innovazione.






