Negli ultimi decenni si è registrata una progressiva disaffezione dei giovani nei confronti delle istituzioni politiche tradizionali, quale sintomo del più ampio processo di depoliticizzazione.
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La depoliticizzazione come strategia di governo
Colin Hay definisce la depoliticizzazione come «un insieme di strategie attraverso le quali i governi cercano di evitare la responsabilità politica trasferendo competenze e decisioni a istituzioni indipendenti o ad attori privati» [1].
Peter Burnham è invece convinto che la depoliticizzazione non equivalga a una riduzione del potere politico, ma piuttosto a un suo riassetto, che ne cambia i luoghi e le forme di esercizio[2]. Questa prospettiva è ripresa anche da Giulio Moini, che sottolinea come «la letteratura internazionale […] interpreta la depoliticizzazione come strategia di governo che mira a ridurre la responsabilità politica e a presentare le scelte come necessità tecniche» [3].
È evidente che le dinamiche di depoliticizzazione ridisegnano lo spazio pubblico riducendo l’ambito del conflitto e del dibattito, generando nei cittadini, e in particolar modo nei giovani, la percezione di una politica lontana e poco capace di incidere realmente sulla vita quotidiana.
Tra astensionismo e nuove forme di partecipazione
La conseguenza è duplice: da un lato il venir meno della partecipazione tradizionale con il fenomeno dell’astensionismo e della sfiducia nei partiti, dall’altro la ricerca di nuove forme di politicizzazione alternative, che sono sentite e fatte proprie soprattutto dai giovani.
Questi ultimi che non rappresentano soltanto una categoria anagrafica, ma debbono essere considerati come uno dei più importanti e preziosi elementi del sociale, di cui ne determinano il mutamento e la trasformazione, proprio perché non sono semplicemente “in attesa” di diventare adulti, ma producono modi di pensare e di agire innovativi.
Nonostante queste potenzialità, sempre più spesso i giovani vengono rappresentati come una “generazione silenziosa”, con una ridotta visibilità nello spazio pubblico e con poche capacità di mobilitazioni, che non sono paragonabili a quelle che hanno invece caratterizzato gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Questo viene giustificato dal fatto che «i giovani sono stretti tra un sistema di welfare familistico che li trattiene e un mercato del lavoro che li respinge» [4].
Una sorta di limbo, che contribuisce a renderli meno protagonisti della vita politica e più inclini a un atteggiamento di disillusione e disaffezione. I fattori strutturali che contribuiscono a questa situazione sono parecchi, come ad esempio un mercato del lavoro precario, dove la diffusione di contratti temporanei e intermittenti rende instabile la condizione esistenziale dei giovani; ma anche il cosiddetto welfare familistico, che affida gran parte della protezione sociale alla famiglia, e che viene rinforzato anche dalla carenza di politiche abitative rivolte ai ragazzi, rendendo ancor più difficile l’acquisizione di autonomia.
Giovani e politica: tra disincanto e trasformazione dei linguaggi
Questi fattori innescano quel processo di moratoria psicosociale, che induce i giovani a rinviare le scelte decisive per la vita adulta, come un lavoro stabile o la formazione di una famiglia. Una situazione che ha conseguenze anche sul piano politico, proprio perché i giovani, fagocitati da precarietà ed incertezza, tendono a ridurre il loro coinvolgimento nei processi collettivi, manifestando disaffezione anche per i canali istituzionali della politica.
Uno dei più importanti indicatori della debolezza del rapporto tra giovani e politica tradizionale è l’astensionismo, che rivela come una parte significativa delle nuove generazioni non si riconosca nelle proposte e nei linguaggi della politica istituzionale, preferendo altre forme di espressione sociale.
La crisi delle ideologie e la progressiva perdita delle grandi narrazioni hanno ridotto l’attrattiva dei partiti e delle organizzazioni tradizionali e le nuove generazioni non ereditano più le identità politiche dei genitori, ma costruiscono appartenenze differenti, determinando un diffuso senso di disincanto e di distanza dalla politica tradizionale.
Dall’impegno collettivo all’attivismo individuale e tematico
Il sociologo Anthony Giddens interpreta questo processo sottolineando che «la politica moderna non si fonda più su grandi visioni collettive, ma su una pluralità di battaglie individuali per l’emancipazione» [5]. L’impegno giovanile è rivolto a forme di partecipazione più frammentate, legate a cause specifiche come l’ambiente, i diritti civili, le questioni di genere, e non più a progetti complessivi di trasformazione sociale. Questo passaggio dal movimentismo al disincanto non rappresenta una semplice perdita di interesse, ma una trasformazione delle modalità di partecipazione: dalla militanza organizzata ad un attivismo tematico e intermittente, dalla comunità politica stabile alla rete fluida di relazioni, che avvengono prevalentemente in rete. Giddens, a tal proposito, introduce il concetto di secolarizzazione della politica, secondo il quale la politica non si interessa più delle tradizionali fratture ideologiche (classe, religione, appartenenza di partito), ma si concentra sempre più su temi legati all’esperienza quotidiana, come la qualità della vita, i diritti individuali, l’ambiente, la parità di genere: «la politica della vita riguarda decisioni collettive che toccano direttamente le scelte personali e la costruzione dell’identità individuale» [6].
La personalizzazione della politica e le nuove pratiche giovanili
Un altro aspetto interessante della secolarizzazione della politica è la personalizzazione che ha preso il posto della fedeltà ideologica, con la conseguenza che i cittadini tendono a orientare le loro scelte più sui leader che sui partiti, questo contribuisce a trasformare anche la modalità di partecipazione, soprattutto per le nuove generazioni, che non hanno abbandonato la politica, ma hanno rinnovato il repertorio delle loro azioni, preferendo forme meno convenzionali e più orientate all’espressione individuale, inventandosi pratiche che uniscono dimensione personale e impegno collettivo e che prevedono la partecipazione a cortei e manifestazioni, ma anche a campagne di boicottaggio di prodotti o aziende non etiche, o ad un attivismo culturale e artistico, che si propaga soprattutto tramite la divulgazione online.
Rigenerare la democrazia attraverso la partecipazione giovanile
I giovani, quindi, dimostrano di non essere affatto apatici o indifferenti, anzi, riescono a reinterpretare la politica, dando vita a forme di partecipazione nuove e inedite, che trovano espressione nei movimenti transnazionali, nell’attivismo digitale, nell’associazionismo, nel volontariato e nelle battaglie per i diritti civili e ambientali, che testimoniando un impegno civico diffuso, ma meno visibile sul piano politico-istituzionale. Questo dimostra come la mancanza di certezze e di punti di riferimento stabili può condurre al disimpegno, ma può anche portare ad aprire spazi di creatività politica [7]. La riduzione delle relazioni tradizionali e di conseguenza del capitale sociale comporta importanti conseguenze per la democrazia, limitando la capacità dei cittadini di operare in modo collettivo proprio perché la forte tendenza all’individualismo, che comporta un declino del capitale sociale, riduce le opportunità di costruire comunità politiche solide, ma tutto questo non necessariamente esclude la possibilità di rigenerare nuove reti di partecipazione, che trovano terreno fertile tramite le piattaforma digitali [8].
Un’importante sfida per il futuro consiste nel riconoscere e valorizzare le nuove forme di politicizzazione giovanile, senza ridurle a semplici fenomeni marginali o sintomi di disaffezione [9]. Le istituzioni politiche devono saper dialogare con le nuove pratiche, creando spazi di confronto inclusivi, capaci di considerare e integrare le rivendicazioni giovanili nelle decisioni pubbliche, perché «la democrazia del XXI secolo non può limitarsi alla rappresentanza, ma deve arricchirsi di nuove forme di partecipazione e di vigilanza civica» [10]. Questo implica un rafforzamento dei meccanismi della democrazia partecipativa e deliberativa, che dovranno essere in grado di promuovere il coinvolgimento dei giovani non solo come elettori, ma anche come soggetti attivi dei processi decisionali.
Note
[1] C.Hay, Why We Hate Politics, Cambridge, Polity Press, 2007.
[2] P.Burnham, Depoliticization: Depoliticization: Concepts, Theories and Critiques, Palgrave, 2014.
[3] G. Moini (a cura di), Politica e azione pubblica nell’epoca della depoliticizzazione, Roma, Sapienza Università Editrice, 2015, 17.
[4] P. Donati, La società dell’umano, Milano, FrancoAngeli, 2001, 89.
[5] A. Giddens, Oltre la destra e la sinistra, Bologna, Il Mulino, 1996, 89.
[6] A. Giddens, Modernità e identità del sé, Bologna, Il Mulino, 1995, 214.
[7] D. Della Porta, Movimenti e cambiamento climatico. L’ambientalismo giovanile in Europa, Bologna, Il Mulino, 2022.
[8] M. Castells, Reti di indignazione e di speranza. Movimenti sociali nell’era di Internet. Milano, Egea, 2012, 123.
[9] R. Biorcio, La generazione degli indignati. Movimenti giovanili e crisi della politica, Milano, Feltrinelli, 2012, 34.
[10] P. Rosanvallon, La legittimità democratica. Imparzialità, riflessività, prossimità, Milano, Raffaello Cortina, 2010, 112.











