Il percorso che porta le imprese a utilizzare efficacemente l’intelligenza artificiale non dipende soltanto dalla disponibilità di tecnologie avanzate, ma dalla capacità di costruire un ecosistema che renda l’AI parte naturale dei processi decisionali.
È la prospettiva illustrata da Emanuele Gallo, Senior Manager di Data Reply, che durante il convegno Data & Decision Intelligence del Politecnico di Milano ha descritto ciò che distingue un’organizzazione realmente “AI ready” da una che si limita a sperimentazioni frammentate. Il nodo centrale, secondo il relatore, è trasformare l’adozione dell’AI in un percorso strutturale e continuativo, in cui dati, persone e piattaforme collaborano per generare valore sostenibile .
Indice degli argomenti
Dalle sperimentazioni alla continuità: uscire dalla logica dei PoC isolati
Negli ultimi anni molte imprese hanno affrontato l’AI attraverso Proof of Concept e progetti pilota destinati a testare singoli use case. Gallo descrive questa fase come una stagione di esperimenti frammentati, utili per osservare potenzialità ma insufficienti per generare un impatto reale. «L’approccio è stato spesso sperimentale, basato su PoC che, se di valore, venivano portati in produzione. Ma questo è anche il limite di una visione non strategica», afferma.
La conseguenza è una proliferazione di soluzioni non integrate, difficili da scalare e incapaci di dialogare tra loro. Per fare il salto di qualità, sottolinea Gallo, serve una capacità sistemica e continuativa di sviluppo, che renda l’AI parte integrante dei processi aziendali, non un insieme di esercizi isolati.
I tre pilastri dell’AI readiness: dati, piattaforma, cultura
Gallo identifica tre elementi essenziali per costruire un ecosistema di adozione aziendale dell’AI.
Il primo è la qualità dei dati. «L’AI è un amplificatore di possibili errori presenti nei dati», ricorda. Una governance robusta è quindi indispensabile: gestire, pulire e validare i dati rappresenta la condizione minima per sviluppare modelli affidabili. La formazione degli utenti che governano il dato diventa parte integrante della strategia.
Il secondo pilastro è la piattaforma tecnologica, che deve garantire controllo e flessibilità. «Serve una piattaforma che consenta di accelerare il time to market delle soluzioni, garantendo controllo e coerenza a livello aziendale». L’obiettivo è trasformare gli esperimenti in applicazioni operative, riducendo tempo, complessità e ridondanze.
Infine, il terzo pilastro riguarda la cultura organizzativa. «L’AI non si può fare a silos», sottolinea Gallo. Team multidisciplinari, processi condivisi e integrazione tra competenze tecniche e conoscenze di dominio sono prerequisiti indispensabili per soluzioni che abbiano reale utilità per il business.
Generative AI: opportunità e rischi di un uso non governato
La diffusione della Generative AI ha amplificato interesse e sperimentazioni, ma ha anche esposto le imprese al rischio di un utilizzo non controllato. Gallo paragona questo momento alla diffusione dei personal computer negli anni Ottanta, quando «ci fu una corsa all’uso degli strumenti, spesso in modo selvaggio e non controllato».
Oggi si assiste a un fenomeno simile: la disponibilità di modelli generativi facilmente accessibili ha favorito un’esplosione di casi d’uso, spesso privi di una strategia condivisa. «Molti progetti sono rimasti isolati», osserva Gallo, risultato di un approccio orientato al risultato immediato più che alla coerenza complessiva.
Per garantire un’adozione sostenibile, la questione centrale diventa controllo e sicurezza: come assicurare che i modelli generativi operino in modo tracciabile, coerente e allineato alle politiche aziendali?
Verso una piattaforma unificata per l’AI
La risposta, secondo Gallo, passa da una piattaforma condivisa, progettata per accompagnare l’evoluzione dell’AI dall’esplorazione alla maturità. Non un insieme di strumenti eterogenei, ma un’infrastruttura unificata che integri governance, controllo e monitoraggio.
Le caratteristiche chiave includono:
- un gateway centralizzato per l’accesso ai modelli, che consente ai team aziendali di scegliere gli strumenti più adeguati all’interno di un perimetro controllato;
- una repository di modelli riutilizzabili, utile per evitare duplicazioni e aumentare efficienza;
- meccanismi di verifica della qualità delle risposte, necessari soprattutto quando l’AI è rivolta all’esterno;
- metriche di valutazione chiare, indispensabili per misurare il valore generato.
Questa impostazione richiede un investimento iniziale significativo nella progettazione, ma una volta avviati i meccanismi di riuso e monitoraggio, i benefici diventano evidenti: sviluppo più rapido, maggiore qualità e affidabilità, e un percorso ordinato di scalabilità.
L’ecosistema come misura della maturità AI
Per Gallo, la vera adozione aziendale dell’AI non si misura dal numero di progetti attivi, ma dalla capacità di creare un ecosistema in cui dati, modelli e persone lavorino in sinergia. La tecnologia è un abilitatore, non un punto di arrivo. L’AI produce valore solo quando è sostenuta da una governance efficace, da infrastrutture solide e da una cultura che ne comprenda le implicazioni.La sfida principale non è dunque scegliere il modello più performante, ma creare le condizioni per un’evoluzione continua e controllata, in cui l’AI si integri con le strategie aziendali e diventi componente naturale dei processi decisionali.













