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Rete fissa italiana, più veloce ma ancora in rincorsa sulla qualità



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L’analisi congiunta KPMG–Ookla mostra un’Italia che accelera sulla rete fissa, con il Sud urbano in sorpasso su download e upload. Ma la latenza, l’interconnessione e il Wi-Fi domestico mantengono aperto un divario di esperienza rispetto ai partner del G7

Pubblicato il 19 dic 2025

Davide Di Labio

Associate Partner KPMG



5G in banda media (1) mappatura banda ultralarga rete fissa

Per raccontare cosa sta succedendo alla rete fissa italiana, basta cambiare angolo: invece di guardare solo quanti megabit scorrono nei cavi, guardare come questa capacità si traduce – o non si traduce – nell’esperienza quotidiana di chi usa Internet.

L’ultima analisi congiunta di KPMG Italia e Ookla mette a fuoco proprio questo passaggio di fase: l’Italia ha finalmente cambiato marcia, ma continua a correre in rincorsa rispetto ai grandi partner europei.
E soprattutto, il vero divario non è più tanto nella disponibilità di tecnologia, quanto in una catena di fattori che va dalla latenza ai nodi di interconnessione, fino al Wi-Fi di casa.

Rete fissa italiana nel confronto europeo

Nel confronto europeo, l’immagine è chiara. Le prestazioni del fisso italiano restano dietro ai principali Paesi UE, anche nel periodo più recente esaminato (agosto–ottobre 2025).
Le velocità di connessione sono cresciute abbastanza da far migliorare il posizionamento nei ranking globali, ma la risalita parte dichiaratamente da una posizione “poor” e procede con lentezza.

Ancora più rivelatore è il parametro che non compare nelle brochure commerciali, ma che fa la differenza su tutto ciò che è interattivo: la latenza.
Su questo fronte l’Italia è dietro alla maggior parte del G7 – Regno Unito, Svizzera, Giappone, Canada, Francia, Germania – segno che il tempo di risposta della rete, più ancora della “banda”, resta un punto debole strutturale.

La geografia della rete fissa italiana tra Nord, Centro e Sud

Per capire come questo ritardo si distribuisce sul territorio, l’analisi raggruppa i centri urbani in tre cluster. Nel Nord rientrano quindici città, da Milano a Torino, da Genova a Bologna, passando per Venezia, Verona, Padova, Trieste, Brescia, Modena, Parma, Reggio Emilia, Ravenna, Rimini, Ferrara.
Il Centro è rappresentato da Roma, Firenze, Prato, Perugia, Livorno. Il Sud e le Isole includono Napoli, Palermo, Bari, Catania, Messina, Taranto, Reggio Calabria, Cagliari, Foggia, Salerno. È su questa mappa che la storia della rete fissa italiana si fa meno lineare e molto più interessante.

Il sorpasso del Sud urbano su download e upload

Se si torna indietro al 2016 e si guardano le velocità mediane di download in questi cluster, la fotografia è quella attesa: il Nord davanti, con circa 1,4 Mbps di vantaggio sul Sud e 0,3 Mbps sul Centro.
Nel secondo trimestre 2025, la gerarchia risulta capovolta. Le città del Sud e delle Isole sono ormai avanti di circa 2 Mbps rispetto al Nord e distanziano il Centro di oltre 20 Mbps. Quel che per anni è stato il fanalino di coda del discorso sulla connettività appare, almeno nelle aree urbane, come la nuova frontiera delle prestazioni in download.

Upload esplosivi e divari nella rete fissa italiana

Il vero terremoto, però, si vede sul fronte degli upload, il lato che misura la capacità di inviare dati, non solo di riceverli.
Qui il cambiamento ha la forma di una curva quasi esplosiva. Nel Nord, le velocità mediane di upload passano da circa 0,9 Mbps a 83 Mbps, un balzo stimato attorno all’8.400%. Nel Centro, la crescita è da 0,9 a 60 Mbps, circa il 6.500%. Nel Sud e nelle Isole, infine, si sale da 0,8 a 94 Mbps, con un incremento nell’ordine dell’11.400%.

L’esplosione delle prestazioni in salita arriva più tardi in alcune aree – il Centro resta indietro, segno di una minore diffusione di profili con upload “premium” – ma nel Mezzogiorno urbano finisce per generare la curva più aggressiva del Paese.

Latenza, dorsali e nodi di interconnessione

L’altro asse su cui la trasformazione è evidente è la latenza. Guardando alle mediane regionali nell’arco dell’ultimo decennio, si passa da valori nell’ordine delle “high-20s/low-40s” millisecondi a un intervallo che oggi va, a seconda delle aree, da circa 8 a 14 millisecondi.
In termini relativi vuol dire aver ridotto i tempi di risposta della rete di circa il 65–70%. È uno di quei casi in cui il progresso infrastrutturale è leggibile nei numeri prima ancora che nei discorsi.

Eppure, anche su questo fronte, la linea che separa Nord e Sud non è scomparsa. Il divario di latenza fra le due macro-aree resta “materiale”. La diffusione delle tecnologie più moderne ha ridotto il peso del cosiddetto last mile nel determinare il ritardo complessivo, ma non ha uniformato il resto del percorso.
Le città del Sud sono collegate da tratte in fibra più lunghe verso i nodi principali, e molti punti in cui il traffico “esce” verso altre reti e incontra contenuti e servizi – i traffic breakout – restano concentrati nel Nord.

Di fatto, una parte significativa dei servizi digitali a cui ci si connette dal Mezzogiorno continua a essere “più vicina” alle dorsali settentrionali che alle città da cui vengono generate le richieste.

Dalla rete fissa italiana alla qualità percepita

Questo spostamento di prospettiva diventa ancora più netto quando si passa dal piano della rete a quello della qualità percepita.
Per misurarla, l’analisi utilizza un indicatore semplice e spietato: il tempo di caricamento delle pagine web. I tempi vengono suddivisi in quattro fasce, dalle prestazioni “excellent” sotto i 1.200 millisecondi fino alla classe “very poor” oltre i 1.500–1.600 millisecondi, con due gradini intermedi di “good” e “poor”.

Chi è connesso con tecnologie di nuova generazione, in particolare su rete fissa di ultima generazione, tende a collocarsi molto più spesso nelle fasce alte di qualità, con caricamenti sensibilmente più rapidi rispetto a chi è ancora su tecnologie legacy.

Page load time e quality of experience

Ma qui emerge il punto centrale: aggiornare l’accesso, da solo, non basta più. Viene esplicitamente sottolineato che l’ammodernamento del last mile non è una panacea per la quality of experience.
Il divario residuo, soprattutto nel Sud, non dipende solo dalla velocità nominale della linea che arriva in casa, ma dal luogo in cui il traffico incontra i contenuti o la capacità di calcolo – Internet Exchange Point, Content Delivery Network, infrastrutture ai margini dei grandi cloud – e dal modo in cui ci arriva, influenzato dal routing, dalla profondità delle interconnessioni, dal disegno delle reti metropolitane e di core.

In pratica, due famiglie con la stessa tecnologia di accesso possono avere esperienze radicalmente diverse a seconda di come l’operatore ha costruito questo “dietro le quinte” della propria rete.

Il gaming online come stress test della rete

Uno dei campi in cui questa differenza diventa immediatamente tangibile è il gaming online. Qui la latenza non è un dettaglio: è la distanza tra un’esperienza fluida e un servizio frustrante.
Nel secondo trimestre 2025, la latenza verso i principali servizi di gioco risulta oltre il 20% più bassa nelle città del Nord rispetto a quelle del Sud.

Una differenza di questa scala, su applicazioni tanto sensibili, è il segnale di quanto pesi ancora la concentrazione geografica delle infrastrutture di caching e dei nodi CDN. Dove i contenuti vengono serviti da nodi vicini agli utenti, la rete “risponde” meglio; dove il traffico deve percorrere più strada, l’esperienza ne risente, anche a parità di tecnologia di accesso.

Wi-Fi domestico e rete fissa: il nuovo digital divide

Fin qui, il racconto riguarda ciò che accade “sulla rete”. Ma una parte crescente delle differenze che gli utenti percepiscono non nasce nei data center né sui dorsali, bensì dentro casa: sul Wi-Fi.
Ed è probabilmente qui che si è aperto un nuovo digital divide, meno evidente ma sempre più rilevante. Nel confronto europeo, l’Italia si colloca al 15º posto per adozione di apparati Wi-Fi di nuova generazione, con un percorso di miglioramento che rimane sotto la media UE.

Se si allarga lo sguardo alla serie temporale tra il primo trimestre 2024 e il secondo 2025, emerge un Paese in cui il Wi-Fi 5 resta lo standard dominante, mentre il Wi-Fi 6 cresce rapidamente ed è in rotta per superare il vecchio Wi-Fi 4.

Standard Wi-Fi e posizione dell’Italia in Europa

Dietro queste sigle apparentemente tecniche si nascondono differenze concrete nella vita digitale delle famiglie. Gli italiani che utilizzano CPE moderni sperimentano guadagni di prestazioni impressionanti.
Il passaggio da Wi-Fi 6 a Wi-Fi 7 comporta, in media, un aumento di velocità nell’ordine del +335%. Il confronto fra Wi-Fi 4 e Wi-Fi 7, invece, mostra un miglioramento della latenza di circa il 37%.

Le abitazioni che hanno già adottato Wi-Fi 7 e 6E evidenziano tempi di risposta più bassi e più stabili. È la differenza tra una rete domestica che regge senza sforzo streaming, videoconferenze e upload pesanti, e una che introduce micro-ritardi e colli di bottiglia che l’utente, comprensibilmente, attribuisce alla “linea”, quando in realtà nascono nel router appoggiato sul mobile dell’ingresso.

Politiche e visione per la nuova economia digitale

Mettendo in fila tutti questi segnali, si delinea una tesi netta. L’Italia non è più il Paese “senza infrastrutture” che per anni ha popolato narrazioni allarmistiche: la modernizzazione della rete fissa è reale, misurabile nella caduta della latenza e nell’esplosione delle velocità, soprattutto in upload, con il Sud urbano che in diversi casi guida la classifica nazionale.

Il rischio, però, è fermarsi a metà del guado: raccontare solo la dimensione “di rete” e ignorare quella “di esperienza”.
Perché oggi la vera competizione non si gioca più sui chilometri di infrastruttura o sulla banda nominale offerta nelle offerte commerciali, ma sulla capacità di orchestrare ogni anello della catena: dalla posizione geografica dei nodi di interconnessione alla densità delle CDN, dall’architettura del core fino alla scelta e alla qualità dei CPE Wi-Fi installati nelle case.

Se l’ambizione, per il Paese, è smettere di essere “in rincorsa” rispetto al G7 e diventare un laboratorio credibile di nuova economia digitale, questa è la leva da considerare: spostare il baricentro del dibattito – e delle politiche, industriali e pubbliche – dalla semplice disponibilità di megabit alla qualità dell’esperienza che quei megabit rendono possibile.
Perché la vera infrastruttura competitiva non è solo quella che si vede nelle mappe di copertura, ma quella che l’utente vive in millisecondi, ogni volta che apre una pagina, partecipa a una riunione online o entra in una partita in cloud.

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