Nel dibattito sull’adozione dell’intelligenza artificiale (IA) e produttività pesano le attese spesso disilluse della rivoluzione informatica: nel 1987 il Nobel Robert Solow notava che l’informatica era “dappertutto tranne nelle statistiche sulla produttività”.
Un paradosso smentito solo tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, e soprattutto negli Stati Uniti. È anche qui una delle cause della perdita di competitività dell’economia europea.
Per questo contano l’uscita quasi contestuale dei nuovi dati Eurostat (e Istat per l’Italia), un rapporto OCSE sulle PMI e uno studio del FMI sugli scenari di impatto.
In effetti, il grado di adozione dell’IA nelle imprese è una determinante fondamentale dei possibili aumenti di produttività. Nelle sue stime sugli impatti dell’IA sulla crescita statunitense, il Nobel all’Economia 2024 Daron Acemoglu attribuisce scenari meno ottimistici rispetto ad altre previsioni soprattutto a una diffusione meno rapida e pervasiva di quanto spesso si immagini.
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Adozione dell’IA nelle imprese: i dati 2025 in Italia e nella UE
Arrivano buone notizie, anche se con diversi caveat, sul fronte dell’adozione dell’IA nelle imprese italiane. I dati pubblicati nei giorni scorsi mostrano un raddoppio in un solo anno: nel 2025 le aziende che hanno utilizzato almeno una tecnologia IA sono il 16,4% del totale, contro l’8,2% dell’anno precedente.
Italia in recupero, ma sotto la media UE
Il tasso di adozione resta inferiore alla media UE, pari al 19,9% nel 2025 contro il 13,5% dell’anno precedente. Tuttavia, si riduce in modo significativo il distacco: da 5,3 punti percentuali a 3,5. Questo consente all’Italia di scalare posizioni in classifica, passando in un anno dal ventiduesimo al diciottesimo posto.
Un risultato incoraggiante, ma con ancora molta strada da fare per ridurre il gap non solo con la media UE, ma anche con i Paesi più avanzati. Il trio di testa — Danimarca, Finlandia e Svezia — veleggia già oltre il 35%.

Non è solo boom di IA generativa
Nella performance italiana va sottolineato che non è soltanto il boom dell’IA generativa a spiegare il cambio di passo tra 2024 e 2025. Secondo l’approfondimento di Istat, solo l’1,7% delle aziende utilizza esclusivamente IA generativa, contro il 6,7% di imprese che adottano soltanto IA non generativa e l’8,0% che usa entrambe.
È un segnale di sophisticazione e di adozione più ampia delle tecnologie, che non può che essere incoraggiante. Allo stesso tempo, proprio questa lettura rende più evidente dove si concentra il ritardo: non tanto nella curiosità verso l’IA, quanto nella capacità di integrarla in processi e funzioni diverse.
Il divario tra grandi imprese e PMI si allarga
Guardando al lato meno positivo della medaglia, il principale elemento critico dei dati 2025 è l’aumentato distacco tra grandi imprese e PMI. Istat sottolinea che, se nell’ultimo biennio per i principali indicatori di intensità digitale il divario dimensionale diminuisce (pur rimanendo elevato, soprattutto nell’uso dei dati e di alcuni software), sull’IA si amplia: da circa 20 punti percentuali nel 2023, a 25 nel 2024 e addirittura 37 nel 2025.
La conseguenza è il decollo nell’adozione dell’IA nelle grandi imprese italiane, che ha superato la soglia del 50%. Un salto che, da solo, rischia di lasciare indietro una parte decisiva del tessuto produttivo.
Sicurezza ICT: la divergenza più preoccupante
Ancora più preoccupante, l’ambito aziendale con la maggiore divergenza dimensionale nell’uso dell’IA è la sicurezza ICT. Sappiamo quanto l’IA consegni maggiori munizioni agli attacchi informatici, ma è anche vero che fornisce maggiori difese a chi intende proteggersi.
Se però i difensori non tengono il passo degli attaccanti, diventa difficile immaginare che la partita possa chiudersi almeno con un pareggio. In questo senso, la qualità dell’adozione — e non solo la quantità — diventa un tema di resilienza oltre che di produttività.
Manifattura ancora sotto media
Ad aggiungere preoccupazioni c’è il dato sul settore manifatturiero, che continua a evidenziare un tasso complessivo di adozione inferiore rispetto alla media, pari al 14,7%. Considerato il peso della manifattura nell’economia italiana, questo scarto ha un impatto potenzialmente rilevante sulla capacità di tradurre tecnologia in produttività misurabile.
Adozione dell’IA nelle imprese: cosa emerge dallo studio OCSE sulle PMI
Per consolidare il cambio di passo e ridurre i divari dimensionali servono politiche mirate per le piccole e medie imprese. Lo indica lo studio OCSE “AI adoption by small and medium-sized enterprises”, pubblicato su richiesta della presidenza canadese del G7 come discussion paper per la ministeriale Industria, Digitale e Tecnologia svoltasi a Montreal dal 7 al 9 dicembre.
Lo studio presenta dati aggiornati al 2024 per i Paesi UE dell’OCSE, ma spiccano due elementi interessanti e complementari rispetto a quelli pubblicati da Eurostat e Istat.
Confronto internazionale e aggiornamento dei dati
Innanzitutto, i Paesi europei, pur nella forte eterogeneità, non sembrano sfigurare rispetto ad altri Paesi sviluppati. L’unico a far meglio è la Corea del Sud, ma per le nazioni non UE pesa un minore aggiornamento dei dati: 2023 per Corea e Canada, 2022 per Australia e Nuova Zelanda e addirittura 2021 per Giappone, Svizzera e USA.
Questo dettaglio conta, perché rende più prudente ogni confronto “secco” e invita a leggere i ranking come una fotografia parziale del timing di diffusione.
Il gap grandi imprese–PMI: l’Italia è il caso più squilibrato
Inoltre, l’OCSE analizza con un indicatore specifico il gap di adozione tra grandi imprese e PMI. Se è vero che il divario è forte in tutti i Paesi, l’Italia risulta la nazione con il maggiore squilibrio, e per distacco.
Non è una buona notizia per un Paese in cui il ruolo delle PMI è così centrale: se la crescita dell’adozione resta concentrata nelle grandi aziende, l’effetto sulla produttività aggregata rischia di essere più lento e diseguale.
Le 4 tipologie di PMI che adottano l’IA
L’aspetto più interessante del paper OCSE è la tassonomia delle PMI che adottano l’IA e le conseguenze in termini di policy. In base a due dimensioni — scopo dell’applicazione e complessità d’uso — vengono individuate quattro categorie: AI Novices, AI Optimisers, AI Explorers e AI Champions.
Le prime sono imprese appena affacciate al mondo dell’IA; le seconde utilizzano soluzioni presenti sul mercato per ottimizzare funzioni di base senza spingersi verso soluzioni su misura; le terze sviluppano modelli customizzati per bisogni specifici; le quarte sviluppano modelli in house per un ampio numero di funzioni aziendali.
Policy su misura: informazione, formazione, dati e scala
La tesi principale del paper è che le policy vadano adattate alle esigenze di ciascuna tipologia. Le AI Novices hanno bisogno soprattutto di informazione e orientamento; le AI Optimisers di formazione per diventare capaci di sviluppare un’IA “in casa”; le AI Explorers di capacità computazionale, dati e accesso ai finanziamenti; le AI Champions, che operano alla frontiera, vanno aiutate a scalare tramite aggregazioni e collaborazioni ecosistemiche.
Produttività in Europa e IA: cosa dice lo studio del FMI
L’adozione è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per aumentare la produttività delle imprese. Se però non si parte dalla prima, non si ottiene neppure la seconda. Ecco perché è importante fare tesoro dei dati forniti da Eurostat e Istat.
In uno studio recente del Fondo Monetario Internazionale, Florian Misch, Ben Park, Carlo Pizzinelli e Galen Sher si chiedono se l’IA possa fornire una spinta tanto necessaria alla produttività economica dell’Europa. Notano che grandi benefici dipenderanno dall’impegno verso riforme pro-crescita e dalla disponibilità a mantenere flessibile la regolamentazione, così da aiutare la tecnologia a prosperare.
Senza riforme, guadagni modesti nel medio termine
In assenza di riforme, la ricerca mostra che il guadagno di produttività nel medio termine derivante dalla sola IA varierebbe tra i Paesi e, per l’Europa nel complesso, sarebbe piuttosto modesto: circa 1,1% cumulato nell’arco di cinque anni.
Con riforme pro-crescita, tuttavia, nel lungo periodo sono possibili guadagni molto maggiori. Il punto, quindi, non è solo l’IA “in sé”, ma la combinazione tra tecnologia e condizioni abilitanti.
Benefici diseguali: reddito, servizi e incentivi salariali
I Paesi europei ne trarrebbero beneficio in misura diversa. Quelli a reddito più elevato tendono a guadagnare di più perché hanno una maggiore presenza di servizi “white collar”, risultando quindi più esposti all’IA. Inoltre, livelli salariali più alti aumentano gli incentivi ad adottare tecnologie che riducono il fabbisogno di lavoro.
Ad esempio, la Norvegia potrebbe ottenere guadagni fino al 5% nello scenario più ottimistico. Per le economie a reddito più basso i benefici sarebbero più limitati, con il rischio che l’IA ampli temporaneamente le disparità di produttività: la Romania potrebbe registrare un aumento inferiore al 2% anche nello scenario ottimistico.
Italia: posizione intermedia, leggermente sotto media
L’Italia si trova, come spesso accade, in una situazione intermedia, leggermente inferiore alla media europea. La crescita cumulata nello scenario più realistico sarebbe vicina all’1%, e in quello più ottimistico dell’1,7%.
I guadagni potrebbero risultare maggiori in tutti i Paesi se il costo dei sistemi di IA diminuisse più rapidamente. E, su un orizzonte più lungo, il miglioramento delle capacità dei modelli suggerisce che gli effetti potrebbero diventare molto più consistenti.
Effetti trasformativi e ricerca: nuovi settori e farmaci
Nel lungo periodo, l’IA potrebbe avere effetti più trasformativi, creando nuovi settori e catene del valore. Potrebbe inoltre aumentare in modo più permanente la crescita della produttività accelerando la ricerca e sviluppo, definita in letteratura come “invenzione nel metodo di inventare”.
Esistono già ampie evidenze che l’IA acceleri e migliori lo sviluppo di farmaci. Questo canale, se confermato e scalato, renderebbe la relazione tra IA e produttività meno “incrementale” e più strutturale.
Mercato unico, capitali e regole: le condizioni abilitanti
Secondo gli economisti del Fondo, per sfruttare appieno il potenziale dell’IA l’Europa deve rimuovere barriere che limitano diffusione di competenze e tecnologia e crescita delle imprese. Approfondire il mercato unico sarà fondamentale per contrastare la frammentazione nazionale.
Coerentemente con le indicazioni OCSE per le imprese “campioni”, l’obiettivo è rendere più facile per le imprese innovative nel campo dell’IA accedere a una base clienti più ampia a livello UE. Ciò richiede eliminazione di ostacoli ai servizi transfrontalieri, apertura dei settori protetti e armonizzazione degli standard.
Il finanziamento degli investimenti rischiosi che sostengono lo sviluppo dell’IA — spesso basati su attività immateriali come software e proprietà intellettuale — richiede mercati finanziari più forti e integrati. Un’Unione dei mercati dei capitali ben funzionante può aumentare la disponibilità di capitale di rischio, convogliando risparmi verso iniziative tecnologiche in fase iniziale e ad alto rischio.
Infine, la regolamentazione deve rimanere flessibile. Pur affrontando temi cruciali come dati, etica e sicurezza, dovrà essere calibrata dinamicamente per gestire il compromesso tra mitigazione dei rischi e promozione della crescita attraverso l’adozione dell’IA. In caso contrario, anche alcuni dei moderati dividendi di produttività dei prossimi anni potrebbero andare perduti.
Spunti di policy: dall’adozione al “come” si usa l’IA
L’adozione è il primo punto di accesso agli aumenti di produttività auspicati. Nel medio-lungo periodo, man mano che nuove imprese adotteranno l’IA, la vera questione diventerà non più se la si utilizzerà, ma come la si adopererà.
Finché questo non accadrà, policy che mirino a informare e orientare le PMI restano più che utili. Tra l’altro, secondo le raccomandazioni del paper OCSE, possono essere decisive anche per le imprese con il livello di sofisticazione più basso, le AI Novices.
Perché però l’adozione produca nel tempo risultati significativi — e porti a incrementi di produttività non solo per singole imprese o settori, ma per l’intera economia — servono policy specializzate sui fattori rilevanti (dati, capacità computazionale, regolamentazione snella e flessibile) e interventi orizzontali che rimuovano i blocchi: in particolare un mercato davvero unico dei beni, dei servizi e, non ultimo, dei capitali.














