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Leone XIV e la svolta digitale: Chiesa e media si riconciliano



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Il rapporto tra Chiesa e media si sta trasformando, grazie a un rinnovato protagonismo comunicativo che coinvolge il pontificato di Leone XIV e la fase finale di Papa Francesco

Pubblicato il 25 lug 2025

Mario Morcellini

Professore ordinario emerito in Sociologia della Comunicazione e dei Media digitali alla Sapienza Università di Roma



Papa Leone XIV

Ad una testata digitale attenta a monitorare i cambiamenti non deve sfuggire quanto è successo negli ultimi mesi nel rapporto dialettico tra Chiesa, comunicazione e informazione.

Un cambio di rotta nella comunicazione della Chiesa

Riassumendo bruscamente i temi che si affacciano all’analisi, proviamo anzitutto a sintetizzare l’autentica novità che abbiamo di fronte: per la prima volta in modo così intenso e costante, è maturata un’attenzione del sistema comunicativo longitudinale nel tempo e per di più connotata da una più intensa disponibilità al coinvolgimento da parte degli operatori dei media[1].

Non ho mai dubitato della verità dei segni, Adso. Sono la sola cosa di cui l’uomo dispone per orientarsi nel mondo. – Umberto Eco, Il nome della rosa, 1980

È il segno evidente che gli eventi tra la malattia e la morte di Papa Francesco e l’avvento del nuovo pontefice vanno interpretati entro una cornice più audace: una tregua non breve del processo di vistosa secolarizzazione nel clima culturale contemporaneo.

Non si ricorda, in tempi recenti, un indicatore di aumento nella magnitudo comunicativa paragonabile a quanto successo negli ultimi mesi, non trascurando peraltro che ciò ha significato un ennesimo rilancio dell’immagine di Roma e del Vaticano. Se tutto ciò è vero, e lo documentano anche le cifre della partecipazione fisica di fedeli e non, vistosamente sostenuti dai dati di audience televisiva, giornalistica e soprattutto digitale, siamo in presenza di un network di dati indicanti un’imprevista sospensione nelle linee di tendenza, entro quel processo di progressiva evanescenza che la comunicazione ha decretato da tempo nei confronti della fede e del Credo.

Siamo, in ogni caso, di fronte ad un episodio tutt’altro che irrilevante di ridimensionamento di quella “laicizzazione di maniera” intesa come acquiescenza alla sottile campagna di persuasione volta a rinunciare alla religione e alla trascendenza.

Entro questo contesto si affaccia però un cambiamento più sottile e profondo, e riguarda il sentiment della narrazione comunicativa e del lunghissimo storytelling attivato dai media. Esso risulta manifestamente intrecciato alla fase finale di Papa Francesco, al conclave e all’avvento del nuovo Pontefice.

Leone XIV, infatti, è stato da subito protagonista di un singolare rinnovamento nello stile di rapporto con i media, ma soprattutto nei confronti dei professionisti della comunicazione[2]; ha funzionato da centro di attrazione mediatica senza precedenti per quantità e qualità radicalizzando un trend che, a partire dalla malattia e dalla fine di Papa Francesco, ha innovato almeno in parte le categorie linguistiche e le stesse priorità narrative.

Sarebbe riduttivo in proposito parlare di coincidenze o eventi connessi alla sola dimensione emotiva, perché siamo di fronte ad un fenomeno sociale inatteso, che spinge a riaprire lo sguardo sulla secolarizzazione. Non possiamo ovviamente mettere sullo stesso piano eventi quali la morte e la successione di un nuovo Pontefice, a confronto con la lunga dinamica di esaurimento del sentimento religioso supportata dal clima culturale dominante, e dunque dai media, che lo hanno assunto da tempo come ineluttabile esito della modernità.

Si affaccia invece, e non timidamente, una nuova narrativa adottata anche dal pensiero “laico”, da tempo meno schierato e sicuro di sé, che scorge e interpreta i segni di “resistenza” della Chiesa, la sua capacità organizzativa dal basso e la stessa volontà di rilanciare messaggi di rivendicazione del valore individuale e sociale della religione.

Si tratta di un fenomeno con cui fare i conti sul piano intellettuale per diverse ragioni: è avvenuto inaspettatamente, e sotto gli occhi del mondo, e dunque sarà difficile considerarlo una fiammata poiché ha evidenziato un sistematico aumento dei decibel dell’attenzione mediale per quanto stava avvenendo. Di conseguenza, non a caso, abbiamo avanzato l’ipotesi di una pausa nella rincorsa ideologica della secolarizzazione, alimentata da una diversa attenzione di quel mondo che genericamente definiremo laico, evidentemente divenuto più consapevole di un disagio sul senso e sui valori del nostro tempo.

Il rinnovato protagonismo della Chiesa nello spazio mediatico

È plausibile l’ipotesi che siamo in un nuovo contesto che induce tutti a ripensare e a dichiarare, in modo meno annacquato, priorità e visioni della vita. Senza una premessa di questo genere ovviamente da verificare nel tempo, non avremmo argomenti ed interpretazioni per capire quanto è successo, che non sembra peraltro avviato al ridimensionamento: un rilancio dell’identità cattolica non solo a livello nazionale, il ritorno della centralità di Roma sotto gli occhi del mondo, divenuta ancora una volta la capitale di una nuova attenzione da parte dei media. Ma c’è dell’altro: una più coraggiosa dichiarazione di appartenenza vissuta come reazione alla dittatura della secolarizzazione; si tratta di una visione che dovrà certamente consolidare dati e riscontri di un ritorno di interesse di cui non abbondavano certo le prove.

Qui gli studi delle scienze sociali soccorrono l’obiettivo di questo breve saggio, volto a ricordare a ricercatori e studiosi che le novità teoriche vanno colte anzitutto statu nascenti[3], e cioè nella loro prima insorgenza: i cambiamenti di questo genere sono centrali per capire il nostro tempo per la buona ragione che esprimono bisogni nuovi, dunque insoddisfatti dalla comunicazione e dal clima culturale precedenti.

La prova più consistente va indivisuata nella diffusione di un’aspettativa di fiducia che spinge le persone a spostarsi fisicamente a Roma, scegliendo dunque la fatica del viaggio, che “fa rima” con la parola Giubileo: è così che aumentano le presenze, le platee televisive e quelle digitali.

Questa attesa echeggia una fantastica metafora, del resto tipica della storia della Chiesa, definita pienezza dei tempi[4]: essa ha trovato il suo Papa, e non certo solo per una sovraesposizione comunicativa. Tutt’altro. C’è qualcosa nei doni di questa stagione che spinge a valorizzare emozioni volte ad una diversa testimonianza pubblica della fede. Non a caso Leone ha ripetuto che stiamo vivendo giorni e tempi positivi e addirittura “di grazia”. Si intuisce cosa intende il nuovo Papa riflettendo sulla scelta del nome, che ha rappresentato un immediato ancoraggio alla Dottrina sociale. Un felice atto di coraggio, perché rievoca un importante momento di svolta verso la modernità e per di più sopraggiunge in un contesto culturale e comunicativo ben più affollato di messaggi opposti, puntualmente ispirati ad una apologia della modernità e del nuovo.

Con Leone XIV recupera agibilità un messaggio alternativo che mette al centro un patrimonio dottrinario e spirituale a cui guardano, con rinnovata emozione, platee interessanti di credenti ma anche di persone attente alla crisi della modernità.

Il linguaggio di Papa Francesco e l’eredità comunicativa

L’intreccio fra i due temi finora descritti induce ad un principio di cautela, non trascurando dunque l’ipotesi che il grande tam-tam comunicativo sviluppatosi negli ultimi mesi possa prevedibilmente rientrare in parametri meno lusinghieri. È un trend plausibile, ma non si contrappone del tutto a quanto finora successo: mai infatti gli studiosi hanno potuto annotare una così estesa stagione di ipercomunicazione per i Pontefici, il Vaticano e la Chiesa. In altre parole, si è delineata una diversa relazione documentata dai fatti.

Passando ora ad elencare gli ingredienti di questo singolare movimento di “rianimazione comunicativa” della Chiesa, la prima constatazione riguarda la vicenda biografica e religiosa di Papa Francesco. Di quest’uomo rimarranno nel tempo due singolarità mai verificatesi in modo paragonabile nei pontificati precedenti; la prima è quella di aver contribuito a riscrivere e divulgare frasi, concetti e foto d’epoca di straordinaria risonanza semantica, che Papa Francesco è riuscito “naturalmente” a trasferire addirittura nel linguaggio dello spazio pubblico, ma soprattutto in quello delle scritture giornalistiche.

Gli esempi sono francamente abbondanti: terza guerra mondiale “a pezzi”, periferie sociali ed esistenziali, Ecologia integrale e cura del Creato, social non significa sociale, in un contesto di rinnovata attenzione ai processi di perdita di umanizzazione, del resto connessa al disordine nello scacchiere del mondo. Radicalizzando, si può assumere che Papa Francesco ha influito su quelle che definiamo etichette informative e addirittura titoli di testa di intere pagine. Anche qui dunque si rintraccia una dialettica diversa tra un mondo della comunicazione abbastanza impregnato dal laicismo e, per converso, un contagio verificabile rispetto alle parole forgiate e lanciate efficacemente dal Pontefice.

La portata emotiva e simbolica della transizione tra due Papi

A questa non banale linea di tendenza, che ha sdoganato lo sguardo verso il Vaticano e la Chiesa, si è aggiunto il peso psicologico della lunga malattia e della degenza ospedaliera al Gemelli, concluso peraltro con l’epico momento del rientro a “casa”, poi interrotto dalla morte di Francesco. Impossibile non sottolineare che il giacimento emotivo di una diffusa speranza di ritorno ad una forma di normalità presto frustrata dalla morte, contribuendo indubbiamente alla mobilitazione pubblica, tanto più rilevante perché registratasi in tempo giubilare[5].

L’intreccio fra queste vicende ha qualificato diversamente l’afflusso dei fedeli ma anche dei turisti legati al Giubileo e ai suoi eventi, ottenendo un potenziamento dei numeri che una ricerca dell’Università Cattolica di Milano ha quantificato in quattro milioni e mezzo di presenze fisiche (il dato è stato ampiamente divulgato dai media mainstream); ad essi, il buonsenso chiede di aggiungere l’effetto moltiplicatore che tutto ciò ha sull’esposizione televisiva e sull’attivismo digitale.

Big tech, dominio cognitivo e risposta della Chiesa

Proprio su quest’ultimo tema, è venuto il momento di accendere un focus dedicato alla novità più radicale del nostro tempo: il tentativo di dominazione delle menti da parte delle piattaforme digitali e delle big tech. La vaticanista Angela Ambrogetti[6], delineando un breve ma sapido profilo sulla comunicazione degli ultimi Papi, ha recuperato una perla sul tema risalente al 2012, quando Prevost era Priore Generale dell’Ordine degli Agostiniani. Ascoltiamolo: “Nel mondo occidentale contemporaneo, l’immaginario umano relativo sia alla fede religiosa sia all’etica è largamente modellato dai mass media”. Si tratta di un’acquisizione netta e decisiva, a cui il futuro Papa aggiunge un’ulteriore dimostrazione: “la simpatia alimentata dai media per la scelta di stili di vita opposti al cristianesimo viene inculcata nel pubblico con tanta abilità ed astuzia che, quando le persone ascoltano il messaggio cristiano, esso appare inevitabilmente ideologico ed emotivamente crudele rispetto all’apparente umanità della prospettiva anti-cristiana” (corsivo nostro).

Non siamo solo di fronte  a frasi ad effetto quanto a concetti centrali scolpiti in tempo reale, ed addirittura in anticipo rispetto alle prime diagnosi, ben più timide, provenienti sia dal mondo ecclesiastico che dai media studies più remoti; entrambi allora si misuravano più cautamente con un fenomeno che da poco tempo abbiamo cominciato a definire dispotismo digitale.

Il valore di quelle parole riposa nella loro chiarezza e nella singolare tempestività. Non a caso, all’epoca il dibattito coinvolgeva pochi autori (non sempre di ispirazione cattolica), di solito protagonisti di una tematizzazione coraggiosa del nodo tra educazione, socializzazione e dominazione mediale, il cui studio accelera visibilmente, e in tempo reale, il processo di cambiamento.

Riflessioni sul digitale e la responsabilità della comunicazione

Un collegamento di questo genere non è sfuggito a Roberto Regoli, che lo ritrae, a distanza di tempo e sempre nel citato numero di Formiche, commentando la posizione di Leone sull’Intelligenza Artificiale; con riguardo a questo tema, “si può ben immaginare che le preoccupazioni del Papa… non siano di natura tecnologica, ma riguardino il suo impatto nel modo in cui comprendiamo noi stessi e come ci trattiamo a vicenda”: quasi un breviario sul fondamento sociale della realtà[7].

A partire da queste formulazioni, si delinea uno spazio profondo di conciliazione tra pensiero della Chiesa e visioni sempre più consapevoli adottate da una parte della comunità sociologica applicata a media e tecnologie, che sembrano infatti sovrapporsi alle conclusioni di alcuni saggi[8] e ricerche coinvolgenti tanti ricercatori. E si profila qualcosa di ancor più importante, poiché la presa di coscienza dell’impatto dei media sulle menti e sulla coscienza[9] ha segnato l’incipit di un ritorno di esperti e studiosi ad indagare le trasformazioni della stessa secolarizzazione, lungo un percorso che ha visto nell’ultimo biennio una chiara intensificazione di approcci e contributi[10].

Qui abbiamo l’occasione di richiamare alla mente la fantastica metafora della “pienezza dei tempi”, variegata dal bel riferimento echiano alla potenza dei segni nell’esergo. In questa ottica non può essere un caso che nell’Intervento[11] di fronte ai giornalisti di tutto il mondo, e a pochissimi giorni dalla sua elezione, il nuovo Papa abbia dichiarato che “una delle sfide più importanti oggi è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla Torre di Babele, in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi”.

Altrettanto pertinente è la riflessione sul pensiero di Leone XIV nel saggio di Mauro Magatti dedicato alla “presa di coscienza sulla sfida tecnologica”. Il sociologo osserva che, se la rivoluzione industriale “ha trasformato i corpi e le fabbriche, la rivoluzione digitale trasforma le menti, le relazioni, il modo stesso di abitare il mondo”. E poco più avanti aggiunge: “non basta regolare il cambiamento ma occorre formare le coscienze, educare alla libertà interiore, riscoprire il senso spirituale della tecnica. In gioco non c’è solo il futuro del lavoro e dell’economia, ma il futuro dell’uomo stesso, la possibilità che rimanga soggetto, e non oggetto, di questa trasformazione”. Del resto, “il tempo per agire è ora. Il mondo digitale non aspetta”.

La comunicazione della Chiesa come risposta alla crisi culturale

Le priorità dei temi rilevanti per il futuro della Chiesa finiscono inevitabilmente per intrecciarsi con gli interrogativi sul senso e sulla persistenza dell’umano, evidenti anche nel mondo laico, ma soprattutto nella produzione scientifica che finalmente punta a interrogarsi su come avviene oggi la formazione delle persone.

A fronte di temi come questi, lo stesso pensiero laico è attonito, ma anche la Chiesa rischia, sotto il peso di una fede sempre più individualizzata e negoziabile che implica, nella lettura di Stefano Zamagni “l’affievolimento del pensiero cristiano come esperienza vivente”, riaprendo la questione di una nuova evangelizzazione.

Le stesse scienze sociali sono chiamate, dunque, ad affrontare con decisione l’egemonia culturale delle tecnologie o meglio il nodo di una vera e propria “idolatria delle macchine”[12]. Solo così si staglia il rilievo assunto su questi temi da Papa Prevost; nelle parole di Fabio Fabene egli parla a tutti, “sapendo gettare lo sguardo lontano per andare incontro alle domande, inquietudini e sfide di oggi”[13]. Un messaggio essenziale per gli addetti alla conoscenza e alla ricerca, e dunque quanti vogliono davvero interpretare, e non solo ossequiare, il cambiamento contemporaneo.

Note


[1] Rinvio all’importante e tempestivo monografico dedicato all’elezione di Leone XIV dalla Rivista Formiche (n. 214, giugno 2025). Segnalo in proposito l’insieme dei contributi, la mia rubrica mensile intitolata “La forza propulsiva della Chiesa” e il saggio di Alessandro Gisotti, “Sermo humilis e ascolto. La ricetta di un figlio di Sant’Agostino”.

[2] In coincidenza con il primo mese del nuovo pontificato, il Corriere dell’Umbria ha dedicato una pagina al lessico pubblico introdotto da Leone intitolata “Messaggi e parole dei primi trenta giorni di Leone XIV”, con interventi di Fabio Fabene, “Le sue parole impronta di un tempo nuovo” e Mario Morcellini, “La spinta propulsiva del Papa e quella della Chiesa”, 8 giugno 2025.

[3] Il riferimento è per un “classico” del rinnovamento nel pensiero sociologico, firmato da Francesco Alberoni, Statu nascenti. Studi sui processi collettivi,il Mulino, Bologna 1968.

[4] Tra i tanti esempi di questo conio linguistico, mi limito a citare l’incipit della lapide con cui, nella Cappella del Corporale del Duomo di Orvieto, si ricostruisce la dinamica del Miracolo di Bolsena: “Cum advenit Sacri temporis plenitudo…”

[5] È doveroso citare in proposito il tempestivo testo curato da Francesco Giorgino dedicato proprio ai Giubilei, che conduce un’attenta disamina dei processi di mediatizzazione sia della Chiesa che dei suoi eventi; cfr. F. Giorgino, a cura di, Giubilei, Rai Libri, Roma 2025.

[6] Angela Ambrogetti firma il contributo “Sarà il Leone dei social?”, sempre nel citato numero di Formiche.

[7] Roberto Regoli, “Il suo nome nella storia”; si tratta del saggio introduttivo del numero di Formiche.

[8] Ho affrontato ripetutamente questo tema, poi confluito nell’introduzione al numero monografico della Rivista Paradoxa, dal titolo I guasti della comunicazione, Fondazione Nova Spes, Roma 2014. Hanno collaborato a quel volume Donatella Pacelli, Guido Gili, Giacomo Marramao, Walter Privitera, Stefano Petrucciani, Rolando Marini, Sergio Zavoli e Giovanni Boccia Artieri; aggiungo a parte il contributo di Gianni Losito per la lucidità di un titolo che ha discretamente stimolato un filone di studi: “La crisi, il degrado sociale e culturale, e il potere dei media”.

[9] Ho sviluppato una specifica riflessione sul tema, nel contesto della storia degli studi sugli effetti dei media, nella mia rubrica mensile sulla Rivista Formiche, “Il dominio delle menti”, n. 213, maggio 2025.

[10] Rinvio soprattutto al fascicolo appena edito della Rivista Paradoxa dedicato da molti studiosi e accademici a “Religione e Infosfera. Relazioni pericolose”, a cura mia e di Adriano Fabris. Mimesis Edizioni, Roma 2025. Segnalo anche la Scuola estiva di San Gimignano organizzata dalla Sezione di Sociologia della Religione, entro l’Associazione Italiana di Sociologia, incluse le pubblicazioni connesse.

[11] Il riferimento spetta ad una Analisi critica delle parole di Leone XIV, nel discorso agli operatori della comunicazione tenutosi nell’Aula Paolo VI del Vaticano, 12 maggio 2025, da me presentata una prima volta al Convegno organizzato presso la Fondazione Tercas a Teramo nell’ambito del Premio Zilli per il giornalismo intitolato “Inclusione, questione di genere e giornalismo etico, Giuseppe Zilli anticipatore dei tempi”, ampliata in vista della Giornata di premiazione prevista a Fano Adriano il 5-6 luglio 2025.

[12] Stefano Zamagni, “Pace e IA, le sfide più urgenti”, Formiche, numero 214, cit.

[13] Fabio Fabene, “Amore, unità e pace. La bussola di Robert”, Formiche, cit.

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