La decisione di Google di produrre uno spot interamente attraverso strumenti di intelligenza artificiale non è solo un esperimento creativo. È un segnale. E come ogni mossa di Big G, fa rumore. Non parliamo del singolo video, ma di un’industria — quella pubblicitaria — che sta entrando nella sua fase di transizione strutturale: la produzione non è più solo questione di set, troupe, regia e post-produzione.
Due esempi recenti lo dimostrano: Google – come detto – ha lanciato il primo spot creato con il suo modello video generativo Veo 3 e Coca-Cola ha pubblicato, per il secondo anno consecutivo, una nuova campagna natalizia sviluppata interamente con l’AI generativa.
Non due curiosità, ma due cartine di tornasole: una company big tech che punta a normalizzare l’AI come strumento mainstream, e un gigante consumer che fatica ancora a bilanciare tecnologia, estetica e sensibilità del pubblico.
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Come cambia la pubblicità con l’intelligenza artificiale
“I video pubblicitari generati interamente con strumenti di intelligenza artificiale stanno passando da fenomeno emergente a vera e propria pratica professionale. Le aziende più strutturate stanno già integrando l’AI nei propri flussi creativi per accelerare la produzione, testare un numero molto maggiore di varianti e migliorare la personalizzazione dei messaggi. Stiamo iniziando a vedere campagne di brand globali — come il caso di Coca-Cola — che utilizzano l’AI soprattutto nelle fasi di concept, testing e produzione, aprendo la strada a un nuovo modo di fare comunicazione” chiarisce Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia.
Google e lo spot AI: nuovo standard o esperimento?
Il primo spot del colosso di Mountain View interamente generato dall’intelligenza artificiale mostra un tacchino di peluche che, tramite la modalità AI di Google Search, scappa dalla fattoria verso una destinazione dove non si festeggia il Giorno del Ringraziamento.
Una creatività AI che non viene dichiarata
Il punto non è la trama, ma la scelta strategica: Google ha scelto di non etichettare l’annuncio come prodotto da AI. Per Robert Wong, co-fondatore e vicepresidente di Google Creative Lab, il gruppo di marketing interno del gigante della tecnologia, “Ai consumatori non importa se una pubblicità è stata realizzata con l’intelligenza artificiale o meno, al pubblico interessa solo se lo spot è appassionante oppure no”.
Wong ha ribadito che Google non prevede di realizzare tutti gli spot tramite l’AI, ma che l’intelligenza artificiale “diventerà uno strumento tecnologico comune, proprio come lo è Photoshop”.
Veo 3 e la normalizzazione dell’AI nei flussi produttivi
Veo 3, il modello video-generativo di Google, infatti, ora è in grado di gestire immagini, audio, dialoghi ed effetti ambientali con un livello di coerenza che prima era impensabile. Lo strumento è accessibile in diversi mercati — Italia compresa — e oggi rappresenta per Google un tool evoluto e lo spot lo dimostra.
L’obiettivo però è chiaro: non è abolire il set, ma cambiare la scala di produzione. È un messaggio politico, prima che creativo.
Coca-Cola e la pubblicità con l’intelligenza artificiale: velocità e scetticismo
Se Google ha lanciato una svolta, Coca-Cola continua a far discutere. Dopo le critiche del 2024 (“spot senz’anima”, “immagini troppo artificiali”), il brand ha rilanciato con una nuova versione di “Holidays Are Coming”, la storica campagna natalizia realizzata insieme a due laboratori creativi: Silverside AI e Secret Level, che hanno, assieme a un team di circa 100 persone, rifinito le 70mila clip generate.
“Prima, quando ci occupavamo delle riprese e di tutti i processi standard per un progetto, iniziavamo con un anno di anticipo. Ora, puoi finire tutto in circa un mese”, ha detto Arroyo, capo del marketing di Coca-Cola.
Il giudizio dei creativi sulla qualità degli spot AI
Il risultato? Si riconoscono miglioramenti rispetto all’anno precedente, tuttavia, le reazioni continuano a essere ambivalenti.
Nicola Bigi, Presidente di Tiwi Studio, è chiaro: “Prendiamo lo spot di Google: un’animazione molto ben costruita, idea molto interessante, ottimo ritmo. Non è nulla che non potesse essere fatto anche senza l’uso dell’AI, in circa un mese di lavoro con un team di 4-5 persone in produzione. La notizia, quindi, sarebbe se fosse stato realizzato in metà tempo. Lo spot Coca-Cola – invece – è un progetto più complesso dal punto di vista tecnico, ma, anche in questo caso, non è niente che non si potesse fare prima e, quindi, ancora una volta il vero metro di giudizio è quanto tempo è stato risparmiato”.
Nel caso di Coca-Cola – aggiunge Bigi – “direi, senza mezzi termini, che non è all’altezza di quanto si sarebbe potuto fare senza AI. È probabile che la strategia sia quella di comunicare la notizia di una modernità del brand, ma dal punto di vista tecnico, il risultato è un pelo deludente. Mentre lo spot di Google si stacca dalla realtà costruendo un’estetica di animazione anni 90, in modo eccellente, l’estetica di Coca-Cola è un misto di realismo e animazione che risulta freddo”.
Secondo un sondaggio della piattaforma di ricerche di mercato Attest, il 46% dei consumatori in USA, UK, Canada e Australia non è d’accordo con l’uso dell’AI negli spot. Eppure, secondo System1, società americana di pubblicità su internet, la campagna di Coca-Cola ha performato bene tra il pubblico abituale del brand: il che suggerisce che le persone sono poco interessate all’uso dell’intelligenza artificiale negli spot e che la distanza tra industria e consumatori può essere più psicologica che reale.
Promesse e limiti della pubblicità fatta con l’intelligenza artificiale
Le IA generative hanno già ridotto i tempi di storyboard, animatic e montaggio preliminare. Ma la produzione video resta un territorio con margini di controllo ancora incompleti: movimento, coerenza stilistica, espressività emotiva non sono ancora automatizzabili. Da qui il paradosso: serve ancora un team di decine di persone per correggere ciò che la macchina genera.
E lo conferma la stessa Coca-Cola: “Gli spot AI non si creano premendo un pulsante. Si lavora fotogramma per fotogramma, spesso pixel per pixel.”
Il fattore chiave diventa quindi non cosa si ottiene, ma quanto tempo e quante risorse servono per ottenerlo.
Per i marketer la riflessione da fare è se ci troviamo davvero davanti a un passaggio tecnico e culturale oppure la realizzazione di spot con l’utilizzo di software AI è una bolla destinata a sparire in poco tempo. Per Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia “Si tratta di un cambiamento strutturale nei processi creativi e produttivi, non riteniamo affatto che l’AI generativa sia una bolla passeggera, né in Italia né nel resto del mondo”.
“L’attuale fase è certamente dinamica e carica di entusiasmo, ma dietro c’è un’evoluzione tecnologica destinata ad accelerare ulteriormente. Nel medio periodo l’AI diventerà una infrastruttura stabile dell’industria pubblicitaria, capace di ridurre i costi, accorciare drasticamente i tempi di produzione e aumentare la capacità di adattare i messaggi ai diversi contesti e pubblici. È un’evoluzione irreversibile, che richiederà nuove competenze, nuovi standard e nuove forme di collaborazione tra creatività, tecnologia e dati. Si tratta di un passaggio tecnologico ma soprattutto culturale e noi di IAB Italia stiamo lavorando anche con altre associazioni, vedasi l’esempio dell’evento “Intersections”, per riuscire a gestire questa importante discontinuità”. Aggiunge Noseda.
Verso spot AI first tra creatività e omologazione
Secondo l’Interactive Advertising Bureau, il 30% dei video advertising globali nel 2025 sarà creato o migliorato usando AI generativa (erano il 22% nel 2024). Entro il 2026 si salirà al 39%. Il trend è già consolidato.
Il vero punto, però, non è la diffusione ma il rischio di omologazione visiva. Se tutti usano gli stessi modelli generativi, la differenza la farà l’idea creativa e la cura del dettaglio. E la qualità tornerà a costare: in tempo, in budget, in talento.
Come spiega Bigi: “Non importa quale piattaforma si utilizzi o quanto sia allenata, sia che si faccia animazione, o che si voglia simulare una ripresa, il problema è sempre il controllo. Quando si produce un contenuto di intrattenimento complesso, spesso sono i particolari a determinare la costruzione del significato. L’assenza di controllo su questi particolari può ridurre l’efficacia del video. Un altro elemento figlio del non controllo totale è spesso la mancanza di consistenza fra singole scene. Ovviamente questo può anche diventare un linguaggio. Dopotutto, negli anni ‘80, al modello di animazione Disney si oppose quello giapponese dei cartoni: più semplice e meno poetico, ma non per questo inefficace, se utilizzato in modo intelligente”.
“In generale, se parliamo di animazione, i risultati sono molto interessanti. Ci sono ancora tanti limiti di controllo e consistenza, ma il fatto che si possa animare un’illustrazione originale, non fatta con l’AI, permette di avere un risultato molto interessante, spesso risparmiando molto tempo soprattutto sulle transizioni più complesse, anche per produzioni televisive. Sul girato, invece, ci sono ancora enormi limiti. C’è comunque una patina di ‘fake’ ancora fortissima” conclude Bigi.
La battaglia, quindi, non è tra uomo e macchina: è tra chi userà l’AI come leva strategica e chi l’userà come scorciatoia.
Dalla regia al concept AI-ready e alla gestione del rischio
Siamo in una fase di transizione che ricorda l’avvento del digitale negli anni ’90: l’AI non elimina la creatività, ma sposta il punto di vista. Le capacità che faranno la differenza non saranno più solo la regia o la scrittura, ma la progettazione di concept adattabili all’AI, la capacità di dare direzione estetica agli output generativi, il controllo della coerenza narrativa, la gestione del rischio reputazionale, la capacità di integrare dati, insight e creatività umana.
La tecnologia può accelerare il processo, ma senza visione resta un acceleratore privo di senso, con il rischio – concreto – di produrre mediocrità.
Gli esperimenti di TIWI Studio tra reale e generativo
TIWI Studio sta testando alcuni sviluppi che riguardano la fusione di riprese reali con transizioni o brevi movimenti di camera fatti con l’AI.
Uno degli sviluppi è la possibilità di creare velocemente modelli 3D di uno spazio fatto in ripresa. “Se prendiamo, ad esempio, il settore automotive, stiamo sperimentando la possibilità di fare delle riprese in movimento di una vettura molto veloce e di creare l’ambiente 3D con l’AI, per poi usare dei movimenti di camera irrealizzabili in altro modo” spiegano i creativi dell’agenzia con sede a Reggio Emilia.
Google con la sua svolta e Coca-Cola che insiste con gli spot AI based indicano chiaramente una direzione che, come ha chiarito anche IAB Italia, il chapter italiano della più importante associazione nel campo della pubblicità digitale a livello mondiale: l’AI generativa entrerà stabilmente nell’industria pubblicitaria.
Le competenze per contenuti di valore: non basta un click per rimanere impressi
Non si tratta solo di una questione che riguarda i grandi player: l’impatto dell’AI nel mondo degli spot si sentirà anche, e soprattutto, in spot low-budget, in prodotti locali, varianti di mercato (lingue diverse, ad esempio) e test. Ma non basterà premere un pulsante per restare impressi nella cultura pubblicitaria di massa.
Chi userà l’AI per moltiplicare le possibilità creative e velocizzare i tempi di produzione avrà sicuramente un vantaggio. Attenzione però: in molti casi serviranno team numerosi e multidisciplinari per raggiungere risultati di alto livello. Chi si limiterà a delegare alle macchine la propria brand identity rischia di ottenere contenuti mediocri, indistinguibili e ad alto rischio irrilevanza.
Al pubblico sembra interessare poco la tecnologia che c’è dietro a uno spot: interessa di più la storia e le emozioni che scaturiscono guardando lo spot.
Non basta generare, infatti. Bisogna ancora essere in grado di emozionare. E lì, per ora, è il tocco umano a fare la differenza.














