Negli ultimi anni, aziende e ecommerce si sono trovati a gestire una mole crescente di dati (click, visualizzazioni, tassi di conversione, carrelli abbandonati, ecc.) provenienti da numerose sorgenti e canali differenti (canali social e advertising, email marketing, motori di ricerca, Chatbot LLM, ecc.).
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Generare un impatto reale sui margini di profitto grazie ai dati
Il problema è che più crescono le informazioni a disposizione, più si complica la capacità di orientarsi tra i numeri all’interno di report e dashboard.
In questo contesto, il vero collo di bottiglia per imprenditori e marketer non è più l’accesso ai dati, ma il tempo — e la competenza — per leggerli, capirli e agire di conseguenza, generando un impatto reale sui margini di profitto grazie ai dati.
Di conseguenza, la sempre maggiore competizione obbliga così le aziende e i decision maker a passare dai report ad azioni corrette e mirate per ottimizzare le proprie strategie e campagne marketing.
In questo articolo approfondiremo cosa sono, i vantaggi e gli elementi chiave dei dati azionabili, fornendo una proposta di framework concreto da applicare nei progetti dei nostri clienti per estrarre insight significativi e prendere decisioni più profittevoli.
Cosa sono i dati azionabili (e perché sono diventati indispensabili per il business)
Il concetto di actionable data è oggi centrale per distinguere tra chi si limita ad analizzare e chi, invece, riesce a prendere decisioni concrete basate sui dati.
Non si tratta di un concetto astratto, ma di un principio operativo che deve rispettare dei principi essenziali: un dato è azionabile solo se porta a decisioni chiare, concrete e allineate ai reali obiettivi di marketing aziendali.
Per essere davvero azionabile, ogni dato deve soddisfare alcuni criteri essenziali:
- deve essere specifico (non generico o grezzo), mettendo in evidenza un problema o un’opportunità (ad esempio “Il tasso di abbandono nel checkout da mobile è aumentato del 18% nell’ultima settimana”);
- deve essere allineato agli obiettivi di business definiti a livello strategico. (ad esempio, se l’aumento del Customer Lifetime Value del 5% in 3 mesi è un obiettivo di business, allora il dato del calo del Bounce Rate sulle pagine prodotto non è un KPI azionabile);
- deve essere aggiornato, per evitare decisioni basate su informazioni obsolete o decontestualizzate;
- deve essere chiaro e calato in un contesto, così da poter essere interpretato nel modo corretto (ad esempio. Il tasso di apertura medio dell’ultima campagna di email marketing è del 23,6%: dato non azionabile. Il tasso di apertura dell’ultima campagna è del 23,6%, in calo del 27% rispetto alla campagna precedente alla medesima lista: dato azionabile)
Quando questi elementi sono presenti, il dato non è più solo un’informazione da osservare, ma diventa uno strumento sia strategico, sia operativo. Indica dove intervenire, cosa migliorare, dove riallocare risorse. In altre parole, è già un primo passo verso l’azione.
La qualità del dato: la base di un’analisi corretta
A questi elementi si aggiunge un fattore spesso sottovalutato: la qualità del dato. Se l’informazione di partenza è incoerente, incompleta o raccolta in modo scorretto, tutto il processo che ne deriva — dall’analisi alla decisione — risulta compromesso.
È il principio noto come garbage in, garbage out: dati inaccurati producono insight fuorvianti, sprechi di budget e azioni inefficaci. Garantire la qualità dei dati significa quindi adottare tecnologie di raccolta dati avanzate (ad esempio, il tracking Server-Side) e metodi per validare la correttezza dei dati in entrata.
Per capire davvero cosa distingue un dato utile da un dato non utile al fine del processo decisionale, facciamo un esempio concreto.
Dato grezzo: “50.000 ticket di assistenza ricevuti nel mese.”
Dato azionabile: “Il 30% dei ticket ricevuti riguarda problemi di login su mobile, comparsi dopo l’ultimo aggiornamento.”
Nel primo caso, sappiamo che c’è un volume. Nel secondo, sappiamo cosa fare in modo specifico: indagare sull’update, coinvolgere il team tecnico, inviare comunicazioni ai clienti, ecc.
Questa è la differenza che separa la semplice osservazione dei dati dall’individuazione di problemi da rimuovere o di opportunità da cogliere.
Come passare dai dati all’azione
Passare dalla visualizzazione dei dati all’identificazione di azioni concrete non è un processo immediato e può essere time consuming se non viene fatto dotandosi di un metodo.
Infatti, così come prima di un decollo i piloti di linea si affidano a checklist per prendere le decisioni corrette con il minor margine di errore e nel minor tempo possibile, allo stesso modo, per passare dai dati ad azioni è fondamentale fare affidamento su un processo che consenta di agire in modo rapido ed efficace.
Il processo di data-driven decision-making: misurazione, visualizzazione e azione
Tale processo data-driven può essere sintetizzato in quattro elementi chiave:
- Misurazione corretta e di qualità – Se i dati raccolti non sono affidabili, aggiornati o pertinenti non possono essere azionabili. Il principio “garbage in, garbage out” resta più vero che mai.
- Visualizzazione e reporting efficaci – I dati devono “parlare”. Non basta visualizzarli: vanno organizzati in modo da evidenziare anomalie, pattern, opportunità. Le dashboard devono essere intuitive e su misura per chi le usa (una dashboard con i KPI rilevanti per il Marketing Manager, una dashboard per il team di comunicazione, ecc.).
- Insight significativi – Gli insight sono il ponte tra numeri e decisioni. Devono rispondere a domande concrete e in linea con gli obiettivi di business e di marketing definiti. Quale campagna è in ROI positivo? Quali canali sono in perdita? Ecc.
- Azioni misurabili e tracciabili – Ogni insight utile deve generare una possibile azione. Ma anche qui serve metodo: non tutte le azioni hanno lo stesso impatto o la stessa urgenza.
Questo approccio consente di scalare un sistema in cui più dati significano più insight, e dove più insight generano più azioni ad alto impatto su ROI e performance di maketing e advertising. Ma come strutturare un processo del genere senza perdersi nei dettagli tecnici?
Una strategia pratica per passare dai dati nei report ad azioni efficaci
Il primo pilastro di un efficiente processo di Data Actionability è il piano di misurazione.
Spesso trascurato o ridotto a un documento tecnico compilato “a valle” di un progetto di digital analytics, in realtà questo strumento è la bussola strategica da cui dipende l’efficacia di tutto ciò che verrà effettuato dopo.
Dal funnel di marketing, al budget advertising, fino agli annunci di remarketing, il piano di misurazione è la traduzione operativa degli obiettivi di business in tracciamenti dati specifici e accurati di tutti i diversi touchpoint aziendali.
Non si tratta solo di decidere cosa misurare, ma di chiarire perché quei dati vanno raccolti, che ruolo giocano nell’incrementare i risultati e nel raggiungere gli obiettivi aziendali, e soprattutto come devono essere raccolti per diventare informazioni affidabili e utilizzabili.
In sostanza, se un’azienda vuole aumentare le vendite del 20% nell’arco dell’anno, il piano di misurazione serve a tradurre questo obiettivo in KPI concreti e azioni osservabili: tasso di conversione, valore medio dell’ordine, sorgenti di traffico più performanti, micro-conversioni significative. Ogni dato raccolto ha senso solo se è ancorato a un obiettivo preciso.
L’importanza della Data Visualization
Sapere quali dati raccogliere e raccogliere i dati giusti è solo il primo passo. In seguito, è necessario riuscire a presentare i KPI raccolti in modo comprensibile e utile. È qui che entra in gioco la Data Visualization – ossia, il processo di rappresentazione visiva dei dati tramite grafici, tabelle e dashboard interattive.
Una buona visualizzazione dei dati consente a chi prende decisioni — anche senza competenze analitiche avanzate — di cogliere in modo rapido e semplice le informazioni più rilevanti: anomalie, trend in crescita o decrescita, variazioni significative rispetto a benchmark di precedenti campagne pubblicitarie, ecc.
In questo contesto, un metodo fondamentale per una Data Visualization efficace è di progettare template di report personalizzati per i vari stakeholder aziendali: dal Marketing Manager al team Legal; dal Sales Manager al reparto IT.
In questo modo ogni interlocutore si concentrerà solo sui KPI rilevanti e specifici per il proprio ambito, risparmiando tempo nella creazione o aggiornamento di dashboard di analisi ed evitando così:
- perdite di tempo
- di cadere in bias di analisi
- di prendere decisioni errate
Tuttavia, perché la fase di analisi dei dati sia accurata ed efficace al 100%, occorre prima segmentare i dati che verranno visualizzati.
In altre parole, occorre scomporre i dati e contestualizzarli per analizzare i comportamenti dei diversi tipi di utenti, o delle reali performance di annunci pubblicitari; informazioni che altrimenti sarebbe impossibile estrarre analizzando dati generici o aggregati.
Pensiamo, ad esempio, a un eCommerce con un tasso di conversione medio del 2%. Apparentemente, un dato mediocre ma accettabile. Se però segmentiamo i dati, scopriamo che su desktop il tasso è del 3,8%, mentre su mobile scende sotto l’1%. E che da Facebook Ads si converte poco, mentre da traffico diretto la performance è ottima. A questo punto, il dato medio smette di avere valore: non è più utile. Ciò che conta sono le dinamiche specifiche dentro i segmenti.
Estrarre il vero valore dai dati
Infine, ottenute dashboard accurate e specifiche, si può procedere ora a estrarre il vero valore, ossia quando quei dati — una volta interpretati — portano a una lista di possibili azioni concrete su cosa fare. È a questo punto che parliamo di insight, ossia intuizioni basate sui dati che rivelano un’opportunità o un problema reale da risolvere.
Ad esempio, sapere che il tasso di conversione su mobile per gli utenti provenienti da Facebook Ads è più basso del 20% — rispetto al tasso di conversione di utenti provenienti da annunci Google Ads — evidenzia un problema specifico su un canale advertising e un dispositivo specifico che sta generando un danno ai margini di guadagno.
A questo punto, ogni insight identificato deve necessariamente tradursi in una proposta di azione concreta.
Questo passaggio — dall’insight all’azione — è il cuore pulsante di una strategia data-driven. Ed è anche la parte più spesso trascurata. Perché se è vero che oggi molte aziende hanno accesso a strumenti di visualizzazione e di analisi dati avanzati, sono ancora poche quelle che riescono a trasformare sistematicamente gli insight in decisioni operative. Il rischio è quello di restare nel limbo della “consapevolezza sterile”: sapere che c’è un problema, ma non fare nulla per risolverlo.
Dati azionabili e vantaggio competitivo
Rendere i dati davvero azionabili significa superare il livello della semplice osservazione per arrivare a decisioni rapide, concrete e misurabili, con un impatto diretto sulla redditività aziendale.
È un processo che richiede metodo, qualità nella raccolta, visualizzazione efficace e capacità di trasformare insight in azioni. Ma soprattutto, richiede un cambio di mentalità: smettere di inseguire tutti i dati e concentrarsi su quelli che contano davvero.
Le aziende che sapranno costruire un sistema data-driven orientato ad azionare i dati avranno un vantaggio competitivo concreto, traducendo le analisi in azioni e in risultati tangibili su campagne, conversioni e ROI.











