il rito snaturato

Maturità o reality? Quanti danni se i genitori oscurano i figli per un like



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La presenza dei genitori all’orale della maturità è un fenomeno sempre più diffuso in Italia. Non si tratta più solo di un sostegno esterno, ma di una partecipazione attiva che ridefinisce il significato del rito di passaggio scolastico

Pubblicato il 11 lug 2025

Rossella Rizzatto

Dirigente Scolastico Liceo Artistico "G. Sello" di Udine Coordinatore I.T.S. Academy Istituto Tecnico Superiore Legno e Arredo navale e nautico – Sostenibilità del prodotto, eco design di Udine



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Negli ultimi anni si è diffuso un nuovo costume sociale: la presenza dei genitori, spesso della madre, talvolta anche del padre e in qualche caso di entrambi, al colloquio orale dell’esame di maturità.

La nuova consuetudine dell’orale condiviso

Non si tratta solo di accompagnare i figli fuori dall’aula o di attenderli nel corridoio al termine del colloquio, i genitori assistono alla prova orale, siedono tra il pubblico, chiedono di fotografare, di filmare, partecipano emotivamente annuendo alla risposta, ma talvolta anche fisicamente all’esperienza del colloquio.

Al termine dell’esame orale scatta un rito di passaggio mutuato dall’università, cioè, la consegna del mazzo di fiori e, addirittura, si assiste allo spargimento di coriandoli come se si stesse celebrando una laurea o persino un matrimonio. Scene queste immortalate e condivise sui social in un trionfo di orgoglio genitoriale e di estetica del successo scolastico.

Il senso simbolico della maturità e la sua trasformazione

Ci si domanda quale senso viene dato oggi alla “maturità” e cosa comporta la fusione tra dimensione familiare e prova individuale. Si tratta forse di una naturale evoluzione dei costumi o di un’involuzione simbolica che mette a rischio il valore formativo di un esame pensato per marcare il passaggio all’età adulta. L’Esame di Stato — come suggerisce il suo stesso nome — dovrebbe essere un momento in cui lo Stato, e non la famiglia, riconosce l’ingresso del giovane nella cittadinanza adulta, ma se al fianco dello studente ci sono ancora mamma e papà chi è davvero chiamato a crescere?

Origine e funzione dell’esame di maturità in Italia

L’origine dell’esame di maturità in Italia risale agli anni Trenta del Novecento, ma è negli anni Sessanta, con la riforma del sistema scolastico e l’apertura dell’università alle masse, che questo esame assume una forte connotazione simbolica perché è il primo vero banco di prova pubblico, ufficiale, riconosciuto dall’autorità dello Stato al di fuori della cerchia familiare o della comunità scolastica quotidiana. Non è infatti un caso che il termine “maturità” evochi qualcosa che si compie e che si distacca dal grembo protettivo dell’infanzia.

Non si parla di “esame finale”, come nel lessico anglosassone, ma di “maturità” nel senso più antropologico del termine: un momento che segna l’ingresso nella vita adulta, anche se solo formalmente che comporta una responsabilità personale.

L’oralità dell’esame, cioè la capacità di esprimersi, di argomentare, di dimostrare di saper padroneggiare la pluralità delle discipline simboleggia proprio la necessità di uscire dal guscio scolastico e affrontare il giudizio dell’altro.

Mamme all’orale: una presenza che modifica l’esperienza dello studente

In questo contesto, la presenza del genitore rischia di inficiare l’esperienza, sovrapponendo all’autorità pubblica quella affettiva e trasformando un rito collettivo in un evento familiare.

Fino a pochi anni fa, assistere a un esame orale era prerogativa dei compagni di classe, dei docenti che hanno accompagnato i ragazzi nel percorso di crescita, degli amici sostenitori e di qualche dirigente scolastico. Oggi, invece, la presenza dei genitori sta diventando routine. Le motivazioni a supporto della presenza sono l’ansia, l’orgoglio, il senso di vicinanza e di partecipazione, il desiderio di sostenere i figli.

La conseguenza, tuttavia, e la spettacolarizzazione del momento perché ogni colloquio diventa una prestazione pubblica in cui il ragazzo o la ragazza devono mostrarsi performanti non solo agli insegnanti, ma anche ai familiari, agli amici e alla platea virtuale subito dopo.

Come hanno sottolineato diversi pedagogisti, questa dinamica non è a costo zero. L’interiorizzazione dello sguardo genitoriale in un contesto che dovrebbe premiare l’autonomia genera, anche inconsapevolmente, tensione, imbarazzo oppure, al contrario, una recita compiacente. Si assiste così a una trasformazione dell’identità dello studente il quale non è più un soggetto in formazione, ma un oggetto di una rappresentazione sociale.

Il rinvio dell’autonomia nell’età adulta

Se fino a qualche decennio fa la maggiore età segnava simbolicamente – spesso anche concretamente – l’uscita da casa, l’ingresso nel mondo del lavoro o dell’università portando con sé una nuova fase di autonomia, oggi l’età adulta sembra continuamente rinviata e non solo per ragioni economiche — come la precarietà del lavoro o l’aumento del costo della vita — ma, pure, per un cambiamento culturale profondo che coinvolge il ruolo della famiglia.

Il fenomeno della “mamma all’orale” è solo una delle tante espressioni di una nuova relazione tra genitori e figli, più simbiotica, più affettiva, ma anche più invasiva. La genitorialità contemporanea, spesso descritta come “intensiva” o “iperprotettiva”, tende a costruire un legame di presenza costante, in cui ogni tappa della crescita del figlio è vissuta come una co-esperienza, quasi a diventare una coproprietà. Di fatto, non è solo il figlio che si diploma, ma è la famiglia tutta che “ce la fa”.

La genitorialità intensiva e il protagonismo familiare

In questa logica, il successo scolastico diventa un riflesso della riuscita educativa dei genitori stessi. Il mazzo di fiori consegnato alla fine del colloquio non sono semplici gesti di affetto, ma segni di una partecipazione emotiva totalizzante che trasforma l’esame in un evento familiare, come una festa di compleanno o un anniversario.

L’impatto sul percorso di crescita individuale

Come può un adolescente interiorizzare l’esperienza di un passaggio simbolico, se a viverlo con lui, spesso prima di lui, sono mamma e papà? Così facendo, non solo si priva il giovane della responsabilità e del merito personale, ma si alimenta una forma di adolescenza prolungata, in cui l’autonomia è sempre rimandata e i momenti decisivi si trasformano in rituali di famiglia anziché di crescita individuale.

Confronto con altri modelli educativi europei

Il fenomeno della presenza genitoriale all’orale è tipica del contesto italiano, difficilmente riscontrabile, almeno con la stessa frequenza e intensità, in altri sistemi scolastici occidentali.

In molti Paesi europei, l’equivalente dell’esame di maturità (come il Baccalauréat in Francia o l’Abitur in Germania) è considerato un atto solenne e personale, che appartiene al giovane e alla sua relazione con le istituzioni, non con la famiglia.

In Francia, ad esempio, i colloqui orali si svolgono in ambienti formali e riservati, e la presenza dei genitori non è prevista né richiesta. In Germania, l’idea che un genitore possa assistere al colloquio del figlio sarebbe considerata una forma di ingerenza, nel Regno Unito, dove gli esami A-level si svolgono in forma scritta, la valutazione è un fatto esclusivamente scolastico e il coinvolgimento della famiglia è marginale.

In questi contesti, l’autonomia dello studente non è solo un valore pedagogico, ma anche un principio civico. L’esame rappresenta una prova di responsabilità personale e ogni interferenza esterna, emotiva, familiare o mediatica, è percepita come un indebolimento del processo formativo.

Ridefinire i ruoli per restituire significato all’esame

Il caso italiano, dunque, appare come un’anomalia culturale, un Paese in cui la famiglia non solo accompagna, ma occupa lo spazio del figlio in un ordine di scuola in cui i genitori dovrebbero prendere le distanze e accompagnare i propri figli verso un’educazione all’autonomia.

Il problema non è – solo – la presenza dei genitori all’orale, ma il messaggio che questa presenza trasmette. Se l’esame di maturità perde il suo valore simbolico di rito di passaggio significa che sta venendo a mancare la cornice culturale che ne riconosca la funzione. Recuperare il senso dell’esame significa restituire centralità allo studente come individuo in crescita, capace di affrontare una prova da solo, senza la necessità costante del sostegno genitoriale. Significa anche ridefinire i ruoli: quello della scuola come istituzione che guida, valuta, orienta; quello della famiglia come luogo di supporto e non di sostituzione; quello del giovane come soggetto responsabile della propria formazione.

Serve un’educazione all’autonomia che cominci ben prima del quinto anno delle scuole superiori che insegni ai ragazzi ad esporsi, a fallire e a superarsi. Serve, soprattutto, una cultura genitoriale che sappia arretrare, lasciare spazio e fidarsi. In fondo, l’etimologia di “educare” è chiara: ex-ducere, condurre fuori, non trattenere dentro. L’esame di maturità non è solo un punto d’arrivo, ma un esercizio di separazione poiché non basta applaudirli, bisogna lasciarli andare.

Il vero esame è quello dei genitori

Se davvero si crede che quei fiori consegnati, quei coriandoli sparsi e quei selfie festosi suggellino la partecipazione alla “maturità” dei propri figli, il vero esame non è quello che affrontano loro, ma quello che si affronta come genitori. L’esperienza del colloquio della maturità è il diploma di un ragazzo, o una ragazza che, per qualche ora,  deve esistere da sé senza il calendario emotivo dettato  dal genitore. Non è dimostrazione di affetto, è protagonismo. Non è autonomia, è costante supplenza, è un’espressione di affetto in un remake di protezione perenne e controllo su quelle situazioni in cui potrebbero fallire.

Seppur comprendendo la buona volontà genitoriale, è importante che si impari a lasciare l’orgoglio fuori dall’aula, diversamente, il ricordo dell’esame resta, ma il suo significato sfuma e il protagonista “assente” sarà proprio il giovane cui quell’esame era dedicato.

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