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Piracy Shield fa scandalo anche in Europa: la riforma è urgente, ecco perché



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Va avanti il Piracy Shield, la piattaforma anti-pirateria sviluppata da AGCOM con l’ambizione di mettere la parola fine alla trasmissione illecita di eventi sportivi. E ora solleva anche l’attenzione della Commissione europea. Ecco perché e i rimedi da attuare subito

Pubblicato il 11 lug 2025

Giulia Pastorella

Deputata della Repubblica italiana, vicepresidente di Azione e Consigliera comunale a Milano



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Era un po’ che non sentivamo parlare del Piracy Shield, la piattaforma anti-pirateria sviluppata da Agcom con l’ambizione di mettere la parola fine alla trasmissione illecita di eventi sportivi e altri contenuti audiovisivi protetti dal diritto d’autore. Eppure il sistema va avanti e ora solleva anche l’attenzione della Commissione europea.

Un’attenzione negativa. Critica, per l’Italia.

Piracy shield: i problemi

Fin dalla sua nascita questo strumento ha generato non pochi problemi, arrivando a bloccare i servizi di Google, ed è stato al centro di critiche, polemiche e perfino spaccature interne all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Per chi si fosse perso gli ultimi 15 mesi di polemiche Piracy Shield è una piattaforma a disposizione dei detentori di diritti audiovisivi che serve per segnalare l’esistenza di una trasmissione illegale che viola il diritto d’autore e permette di rendere irraggiungibili i siti che la stanno diffondendo

Fin da subito, tuttavia, sono emersi gravi problemi: l’opacità della piattaforma, il rischio di overblocking (cioè la rimozione di contenuti leciti), i problemi nella presentazione dei ricorsi, e una governance poco trasparente.

Il caso ha sollevato l’attenzione anche a livello europeo, spingendo la Commissione Europea a esprimere formalmente le proprie osservazioni sull’impianto normativo italiano, come previsto dalla procedura di notifica ai sensi della Direttiva (UE) 2015/1535.

Le osservazioni della Commissione europea su Piracy Shield: cosa funziona e cosa no

Partiamo dalle cose positive: nella lettera inviata il 13 giugno 2025 al ministro Antonio Tajani, la Commissione Europea ha accolto positivamente gli sforzi dell’Italia nella lotta alla pirateria online, ribadendo come la tutela dell’industria creativa sia anche una priorità comunitaria. In particolare, è stato apprezzato il fatto che Piracy Shield, benché focalizzata sui contenuti di carattere sportivo, fosse pensata per estendere il proprio meccanismo di tutela anche ad altri tipo di contenuti audiovisivi, come le prime visioni cinematografiche e gli spettacoli d’intrattenimento.

Insomma, la Commissione ha riconosciuto all’Italia di essersi mossa nella direzione corretta, cercando anche di fare suoi i principi contenuti nel Digital Services Act (come avevo chiesto in un mio ordine del giorno accolto dal Governo), in particolare l’articolo 9, che disciplina le condizioni per l’emissione di ordini di rimozione di contenuti illegali da parte delle autorità nazionali.

Tuttavia, non basta rispettare il DSA sulla carta, e proprio sul piano della coerenza complessiva con il DSA e il rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla norma la Commissione Europea si è fatta sentire.

La Commissione è partita dagli aspetti formali, segnalando che la norma italiana non rispecchia integralmente le condizioni procedurali previste dal DSA, come ad esempio il requisito linguistico che impone che gli ordini siano redatti in una lingua comprensibile per i destinatari (art. 9.2(c) DSA). Un limite che rischia di compromettere l’efficacia e la legittimità degli ordini stessi, data la natura globale di Internet.

Ma ancora più rilevante è la preoccupazione espressa dalla commissione per gli effetti collaterali sulla libertà di espressione e d’informazione, visto che meccanismo di blocco previsto da Piracy Shield si attiva immediatamente, con possibilità di ricorso molto limitate e, secondo Bruxelles, inadeguate. I destinatari degli ordini di sospensione, infatti, hanno solo cinque giorni per presentare reclamo e non esistono misure preventive per evitare la rimozione di contenuti leciti; inoltre, il sistema di sblocco per errore – da attivare entro le 24 ore – è considerato arbitrario e sostanzialmente insufficiente a calmierare eventuali danni.

Infine, la Commissione ha espresso riserve sul rischio che la responsabilità del contrasto alla pirateria venga scaricata eccessivamente sugli intermediari tecnici (linea sostenuta dal Commissario Agcom Massimiliano Capitanio anche su queste pagine), contravvenendo allo spirito del DSA, che invita a coinvolgere solo quegli attori che abbiano una reale capacità operativa di intervenire sul contenuto illegale.

Le raccomandazioni di Bruxelles all’Italia

Alla luce delle gravi criticità emerse, la Commissione ha rivolto una serie di raccomandazioni puntuali per migliorare Piracy Shield.

  1. Adeguamento pieno all’articolo 9 del DSA, inclusi tutti i requisiti formali e sostanziali (come la lingua, la trasparenza, la notificazione e la proporzionalità degli ordini).
  2. Maggiori garanzie procedurali per i destinatari degli ordini, al fine di evitare blocchi erronei e tutelare i contenuti legittimi. Si raccomanda l’introduzione di meccanismi efficaci di prevenzione dell’overblocking e tempi di reazione più ampi e flessibili per le contestazioni.
  3. Inclusione nel testo normativo di alcune salvaguardie già presenti nel manuale operativo di Piracy Shield, come:
    • l’obbligo per i richiedenti il blocco di presentare una relazione tecnica dettagliata che dimostri il carattere prevalentemente illecito dei contenuti;
    • la richiesta ai flagger di operare con diligenza e prudenza, consultando l’Autorità in caso di incertezza.
  4. Rispetto del principio di proporzionalità, limitando le richieste ai soli soggetti che possano effettivamente intervenire per rimuovere il contenuto illecito, e preservando l’accessibilità delle informazioni legittime.
  5. Riaffermazione della centralità dei diritti fondamentali, in particolare del diritto alla libertà di espressione, come richiamato dal considerando 39 del DSA.

Piracy Shield, una riforma da non sbagliare

Il giudizio della Commissione non boccia l’impianto italiano, ma ne evidenzia le fragilità strutturali. Se da un lato è legittima e condivisa la necessità di tutelare i diritti d’autore e reprimere la pirateria, dall’altro lato emerge con forza la richiesta di garanzie adeguate al fine di evitare che uno strumento nato per proteggere finisca per censurare o danneggiare contenuti leciti.

Non sono novità, visto che dentro la stessa AGCOM la commissaria Elisa Giomi aveva dichiarato che Piracy Shield comportava «rischi semplicemente non sostenibili, per le aziende e per gli utenti» arrivando a proporne una sospensione temporanea di fronte ai grossi problemi emersi.

E non è pensabile, come hanno dichiarato il Ministro Lollobrigida rispondendo a una mia interrogazione e il Presidente di AGCOM in Audizione in Commissione Trasporti, che il problema possa risolversi quando tutti gli operatori avranno inserito in white list tutti i siti che ritengono sicuri. L’ha scritto nero su bianco la Commissione Europea: il buon funzionamento di questa piattaforma non può essere affidato interamente alla volontà e all’impegno dei soggetti privati e degli intermediari tecnici.

Alla luce della nota della Commissione è dunque opportuna una riflessione politica, soprattutto da parte di chi nella maggioranza al Senato ha compromesso in modo devastante il funzionamento del Piracy Shield modificando la legge originaria con un articolo del Decreto Omnibus nel 2024. Se serve, si riapra la norma una seconda volta, emendandola per adeguarla a quanto previsto dal DSA o – quantomeno – per riportarla alla sua formulazione originale. Non c’è motivo per non rivedere una norma per migliorarne il funzionamento, anzi il policy making dovrebbe tenere sempre in considerazione i risultati ottenuti, e per una volta sarebbe un buon esempio di utilizzo dei dati in politica. Come opposizione, così come abbiamo votato la norma originale consci dei sacrosanti principi che andava a tutelare, allo stesso modo ora saremmo pronti a collaborare a una sua revisione in senso migliorativo. Però facciamolo velocemente, prima di trovarci di fronte a un nuovo blocco indesiderato.

In questo confronto tra velocità ed efficacia, da un lato, e diritti e trasparenza, dall’altro, l’equilibrio non è solo auspicabile ma va attivamente ricercato. Ecco perché l’Italia ha ora la responsabilità di recepire le osservazioni della Commissione e correggere la rotta, prima che un sistema potenzialmente utile si trasformi in un precedente pericoloso per l’ecosistema digitale europeo.


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